Napul’è

Bello vivere e visitare una città, sempre stata sulla bocca di tutti ma mai gustata di persona. Finalmente anche io ho potuto assaporare i suoi gusti, annusare i suoi profumi.

Che buona. Era ora.

Napoli mi ha sempre incuriosita, a partire dal suo nome, mi ha sempre dato l’idea di buono, bello, arioso, italiano e saporito.
I detti e le citazioni, le canzoni, i pareri e le dicerie, il caffè, l’accoglienza, la magia, la pizza e la pazzia, la sfogliatella, il mare e il Vesuvio, il cielo, il dialetto e le polpette al ragù.

Ho camminato tanto, assaggiato, ascoltato e finalmente capito. Qualcosa, non tutto. Per il tutto non basterebbe una vita.
Il caffè è buono soprattutto amaro, è cremoso e costa 90 centesimi, non c’è la presunzione ma la consapevolezza, quella vera, quella che tace ma è evidente e ti spiazza.

La città è grande ma non ho ben capito quanto, le persone sono accomodanti, gentili e accoglienti. Dopo qualche minuto di conversazione si è già amici, c’è la voglia di andare a fondo e di conoscersi con naturalezza. Che bellezza. Ci si guarda sorridendo e si canta per la strada. Si ride, si gode.
Mi sento un po’ come loro e la mia origine lo testimonia. Sì, sono terrona e anche con orgoglio, con foga.

Quel dialetto spaccato e stretto, rigido ma quasi melodico, ti arriva a volte dritto in faccia come uno schiaffo, ma nelle canzoni tocca prima il cuore, dolcemente, senza far rumore.

Scrivo di Napoli e sono felice, quanta gioia in questo posto e quanta semplicità tra le persone, libertà di espressione, la moda, lo stile in comunione.
Mi sono aperta al nuovo, mi sono chiusa al vecchio, ho cercato di non perdermi niente, per sbaglio, per giusto, per fortuna, con gusto.

Napoli vive tra le canzoni romantiche e le chitarre degli artisti di strada, galleggia sul mare con maestosità ed è talmente fitta da dare forma alle colline. Case antiche e nuove, ammassate tra panni stesi e signore affacciate ad osservare, a fumare sigarette inquinate da una povera vita, da una tristezza infinita.

La pizza fritta ha sconvolto il mio palato, la compagnia napoletana ha reso il tutto ancor più gustoso, leggero e sicuro, potenziando l’intensità del viaggio. Mi pareva di stare con un Cicerone saggio, ed ero con amiche grintose, curiose, giocose.

Divertente.

Era buona, intendo la pizza.
Ne avrei mangiate fino a scoppiare e aveva un buon gusto d’Italia. Quel gusto verde, rosso e bianco, quello del basilico e del pomodoro, quello della ricotta servita fresca, la mozzarella.

Napoli, quanto sei bella.

La sfogliatella croccante di sfoglia o di frolla, con quel velo di zucchero che ti imbratta la faccia, ti fa tornare bambina. Come quando mangiavi il gelato al cioccolato, con gusto, senza prendere fiato.

Era carnevale, domenica.
I bambini qui ci credono, non hanno messo via i sogni e girano per le strade con le bolle di sapone e le spade nella roccia, corrono in riva al mare tra i palloncini, gli alberghi ed un tramonto sul finale. Senza sosta.

C’è impegno e cura, sporcizia e disordine, c’è caos tra un vento fresco e sottile, tagliente, pungente. Quanta gente.
Napoli la sera sembra estate tutto l’anno, bevi un drink sul muretto, davanti al baretto. Il locale è chiamato così, questa è la dicerìa del ghetto.
Stai in compagnia in maniera naturale, di lavoro non si parla, si vive la vita che passa una volta. Il napoletano ti mostra con orgoglio, ti guida, istruisce. Ti fa cantare, mangiare e ti porta a ballare.

Il napoletano alleggerisce.

Per parlare di scultura e cultura, il Cristo Velato mi ha lasciato a bocca asciutta. Lo guardavo con occhi increduli, Lui, sdraiato e morente, sembrava ancora vivo e non fatto di pietra. Un velo sopra al corpo che sembra di tessuto, s’intravede in trasparenza il viso che soffre, la mano non mente.

Un ultimo giro nella piazza, un negozio vintage di gente squisita, una foto alla pizza e la Coca-Cola Fresca.
C’era il sole caldo che baciava il mio viso e poi quella strana voglia di caffè, all’improvviso.

Erica, anzi Atmosferica.

Questo è il bello.

Un nuovo articolo per festeggiare l’inizio di una nuova realtà, una nuova avventura che prospetta crescita e cambiamento.

Tutto deve sempre cambiare.
Nulla sarà mai fermo.

Il viaggio del “Chissà dove arriverò”,
il viaggio del “Parto da qui”,
è iniziato pochi giorni fa, a Milano, alla fermata Missori della metropolitana.

Settembre e Ottobre,
Due mesi pieni di alti e bassi,
sali e scendi,
energia mancante,
disaccordo emozionale,
accordo astrale,
difficoltà nei volti,
aspettativa negli occhi.

Dal 2 di novembre tutto questo mi ha portato sulla strada del “Da oggi inizio”
e sulla sedia di una scrivania.

La mia.

Un’agenzia di branding dove lo studio del marchio e dei colori sono il centro del mondo ed il primo pensiero giornaliero, quello precedente allo sbadiglio. Io sto dalla parte della gestione del progetto, della supervisione del tutto, dove le responsabilità senza tempo sono sinonimo di impegno.
Fondamentale è il rispetto delle tempistiche, il contatto con il cliente e l’interpretazione delle sue esigenze.

Tutto pane per i miei denti.
Tutta questione di precisione e comprensione, assertività accomodante, puntualità nelle consegne.

Quante parole difficili.
🙂

Sono qui e vorrei fermarmi a guardare il mio posto, il traguardo raggiunto dopo un percorso, dopo giorni di corse e fatica, di grinta mai persa ma qualche volta assopita.
Sono qui e cerco di guardarmi ferma e non già in movimento, mi osservo da fuori e non dall’interno, voglio focalizzare per una frazione di secondo questa realtà di colpo materializzata, diventata improvvisamente “La mia giornata”.

Mi viene in mente il termine in inglese “journey”, una parola che in italiano significa “viaggio” ma che ricorda il suono di una “giornata”.

Appunto.

È proprio vero che non è mai finita.

Mai accadrà di arrivare.

La giornata stessa è un infinito viaggiare.

Questa riflessione mi perseguita dai tempi dell’Australia, della Thailandia, dal mio trascorso in un posto del mondo dove ad andare veloce era solo l’asfalto sotto le ruote, oppure in un altro posto dove avevo tempo, tanto tempo per pensare, riflettere, spaziare.

Ora qui fuori la luce del giorno si riflette nei vetri azzurri del palazzo di fronte e il tramonto scende sulle case, alle 16.45 sempre puntuale. Guardo fuori e la speranza si è fatta realtà, le mille domande trovano risposta nella normalità e io lavoro, con tutta la forza che ho.

Lavoro per il mio futuro e per la mia crescita, lavoro per la mia realizzazione, incastro ogni mia cellula assecondando le mie esigenze,

e quelle degli altri.

È il caso di iniziare a comprendere che la vita va veloce e inutile è cercare di stare dietro alla sua interminabile voglia di arrivare.
È bello e giusto starci dentro, guardando attorno e godendo il momento.

In tutto ciò, vorrei dirti che non appena ho creduto di avercela fatta,
ho iniziato a chiedermi se ce la farò.

Questo è il bello della vita,

Questo è il bello del “Crescerò”.

Erica, anzi Atmosferica.
(Perennemente in viaggio…)

Sydney, il mio film.

Vedo Sydney in tutta la sua possenza, la vedo che scorre tra le immagini veloci di un film.
Non posso fare altro che schiacciare il pulsante “STOP” e osservare, rivivere quella scena insieme ai due attori che giocano con un pallone, lì nel perfetto verde del Royal Botanic Garden.

Un giardino, un parco, un museo di natura parcheggiato ai piedi della città ed affacciato sul mare, sulla baia.
Era infinito e pieno di stradine. Alle radici delle piante un piccolo cartellino diceva il nome e una descrizione. Beh, un giardino botanico, appunto.

Guardando queste immagini veloci, rivivo per un momento le mie passeggiate e sento ancora il profumo dei fiori. Ricordo che durante il mio periodo a Sydney la temperatura era gradevole e quel pomeriggio il sole splendeva alto nel suo cielo sempre immenso.
Dico “quel pomeriggio” perché sì, solo una volta decisi di spingermi a passeggiare tra le piante e le fontanelle di quel parco.
Quel giorno avevo bisogno di ossigeno e aria, quella che non riuscivo a respirare tra i grattacieli che fanno da sfondo. Avevo bisogno di svagare e liberare i pensieri, in giornate in cui tutto sembrava ovattato.

Li vedi i palazzi?

Beh, sembrano nuovi, moderni, quasi dorati.
Non trovi?
Si vede la torre più alta di Sydney, ci sono salita. Girava in continuazione su 360 gradi e lassù, in cima, c’era un ristorante. Tu stavi seduto al tavolo e nel frattempo giravi per la città. Una vera figata.

Pensando a Sydney ritorna il profumo di casa e il pensiero di quelle molle nel materasso che a volte non mi lasciavano dormire. La moquette tanto odiata tappezzava tutte le stanze della casa e quella vista su Darling Harbour ogni sera aveva una luce diversa. La ricordi? Che tramonti, che colori. Ho visto anche qualche alba. Ritorno alle serate con gli amici e alle mattinate a spalmare marmellata su croccanti fette di pane. Quanti ricordi, tutti qui nel cuore.

Guardando queste scene mi sento ancora lì e mi ritengo fortunata. Ho avuto un’idea geniale nel decidere di fermarmi a Sydney per qualche mese, l’ho studiata e vissuta in un momento che ad oggi rivivo come quello “giusto”.
Sto realizzando ora, Sydney…cara.

L’Opera House che simboleggia la città, il vento tagliente e le nuvole sempre troppo bianche.
Io lì ci sono stata.
Io lì ho vissuto.
Vorrei quasi quasi bucare lo schermo e dire a quegli attori che lo so bene dove stanno giocando. Mi sento lì con loro e la sensazione è stranissima.

“Ehi belli, ci sono anche io! Passatemi la palla!”

Ricordo come Sydney mi ha fatta sprofondare in solitudini, mancanze, sofferenze e domande senza risposte. Per non parlare delle malinconie, ora del tutto saziate, guarite. Ricordo quando mi guidava in lunghe passeggiate che seguivo con piacere anche dopo ore di lavoro e con le vesciche ai piedi. Mi faceva incontrare persone e artisti di strada, mi regalava emozioni uniche che non posso spiegare a parole ma posso solo rivivere, annusare.
Sorridere.
Che immenso piacere.

In momenti come questi mi sento piena di esperienza e vita, quei mesi di vita in quella città, sono stati estremamente forti, vivi, difficili e affollati. Ho vissuto normalmente ma forse di normale non c’è stato proprio niente. Ho messo in discussione la mia persona, la mia crescita e la voglia di conoscere ogni mia singola cellula.
Sydney è stata all’altezza ed è stata forte abbastanza.

Sydney si è fatta spesso odiare ma ora, la guardo attraverso questo maledetto schermo con grande ed immenso amore.

Un giorno, presto o tardi che sia, mi vedrà tornare.

Buonanotte Italia, ora vado a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Nuovo Articolo”

Quando seguo la mia mano e l’ispirazione, vado a cliccare quel bottone che dice “Nuovo Articolo” e capita, come oggi, che io inizi a scrivere solo per il piacere di farlo, per la curiosità di vedere che ne viene fuori.

È divertente, è una scommessa, una prova e una sorpresa. Quanti pensieri stanno lì senza essere ascoltati, quanti desideri rimandati e quanti piccoli sogni nascosti dietro a quelli più grandi.
Quando scrivo, questo non può accadere, seguo le mie mani e ogni tasto schiacciato aiuta a pensare al presente, alla piccola azione che il corpo svolge “qui ed ora”. La scrittura è la mia psicologa, la mia più intima confidente e, ogni tanto, sento il bisogno di parlarle.

Sono giorni difficili, molto difficili.

Lo dico e lo ammetto perché non scappo da una sensazione di malessere e insoddisfazione, di insofferenza ed energia incostante.
Sto provando ad ascoltarmi, senza buttarmi giù. Sto cercando la pazienza in ogni angolo delle mie giornate, dove mi trovo a girovagare senza uno scopo ma per un motivo.

La realizzazione dei miei sogni.

La consapevolezza del mio potere.

La continua spinta che mai deve mancare.

Sono determinata in questo, più che mai.

Mi sono ripromessa che devo rendere ogni giorno speciale e degno di essere chiamato “vita”. Il proposito che deve realizzarsi nelle ventiquattro ore è molto semplice:

“Ogni giorno deve succedere qualcosa.”

E se non succede?

Beh, devo farlo succedere io.

Una e-mail, una chiamata, un messaggio, una cena che porta un buon messaggio, un sapore nuovo o un pianto isterico, una grassa risata o un incontro inaspettato, un nuovo taglio di capelli o, che ne so, un’idea nuova di vita e sogno.

Una bella emozione che mi faccia pensare:
“Oh, questa è vita!”

Deve accadere quel qualcosa, devo essere soddisfatta della mia giornata di ricerca, l’ennesima.

Non arriva subito ciò che chiediamo, non bisogna aver fretta. Probabilmente è necessario affrontare situazioni e cogliere occasioni, prima di arrivare lì, dove sarebbe bello arrivare.

I grandi atleti, prima di vincere si impegnano in estenuanti allenamenti, i bravi medici, prima di salvare vite studiano per lunghi anni. Non serve solo impegno ma anche vocazione, serve la chiamata che faccia da luce, motivazione, grinta, passione.

Nel frattempo, mi impegno affinché ogni giorno sia un prezioso ricordo del domani, un pezzo del mio percorso e un insegnamento da custodire.

Solo così, ce la potrò fare.

Io ci credo e continuo a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Qualcosa che non c’è.”

Quando scrivo ho bisogno di sintonizzarmi sulla giusta frequenza.
È come se le mie parole, andassero ad incastrarsi, accordarsi perfettamente al ritmo del mio cuore, e del tuo.
Non penso ci siano altri modi per spiegare.
Riesco a esprimere i miei alti e bassi, solo quando riesco a seguirli e a posizionarli nelle frequenze della scrittura.
Anche lei ha un ritmo, il mio.

Difficile da capire?

Per te nulla è difficile.

Potrei spiegarti che se ti piace leggere ciò che scrivo, significa che siamo sintonizzati sullo stesso canale. Riusciamo a parlare la stessa lingua o, meglio, sei in grado di capire la mia.
Mi permetto quindi, di continuare senza facilitazioni.
Sei forte!

Pensa che succede anche che io vada a rileggere pezzi scritti da me, dalla mia mente, e mi trovo sorpresa da tutti quei giri strani che non mi sembra nemmeno di percorrere tra i pensieri.
Viaggi di riflessioni lunghe e contorte che spesso vanno perse.
Chissà dove.
Tra la scrittura, invece, nulla sfugge.
Nulla passa inosservato.
Non esiste il “non detto”.
Non esistono paure, non sono ammesse mancanze di coraggio o sincerità verso se stessi.

Non c’è spazio per le esitazioni.

Non scrivo da parecchio.

Succede che ti incontro per strada e ricevo da te buoni riscontri, mi dici che spesso vai a controllare se ho pubblicato “Qualcosa”, mi fai sentire che i miei messaggi ti sono arrivati e che mi apprezzi per quel che sono riuscita a comunicarti. Anche io apprezzo te.
Mi dici che dovrei scrivere un libro (GRAZIE!!), che sono migliorata nel tempo e che non devo fermarmi.
Non posso fermarmi.
Non mi nascondi una lacrima di commozione, mi confidi che ti sono stata di aiuto in brutti momenti o che ti ho fatto viaggiare stando fermo quando anche tu eri curioso di farlo o quando avevi bisogno di scappare, riflettere, cambiare.

Per questo vorrei ringraziarti e dirti che ogni volta che sento il nome “Atmosferica” uscire dalla tua bocca, il cuore si commuove e collego tutto a quello, a questa raccolta di parole che forse solo parole non sono state.
Molto di più.
È assurdo come sia riuscita a parlare con te, senza nemmeno immaginare che tu leggessi veramente.
Tu, la mia compagna di banco delle elementari.
Tu, la ex-fidanzata del mio ex-fidanzato.
Tu, che credevo di starti sulle palle.
Tu, che mi hai scritto calde confidenze durante una gelida notte d’inverno.
Tu, che mai avrei pensato di ricevere un “Grazie” da te.

Questa è una figata pazzesca, grazie alle parole ho mantenuto neutralità e spontaneità, ho viaggiato insieme a te senza mai sentire il tuo peso o l’ingombro del tuo bagaglio.

Beh…

Grazie a te.

Oggi ti scrivo per dirti che se quel “Qualcosa” sta mancando da tempo, è solo per il fatto che sto cercando la mia frequenza nel mondo.
Sto crescendo, mi sto evolvendo.
Sto seguendo i miei battiti, sto lavorando su continui sali-scendi di emozioni, oggi le energie ci sono, domani forse saranno un po’ meno.
Devo preservarle e distribuirle in maniera intelligente.
Ogni giorno è una scommessa.
Ogni attimo è una ricerca.

Non è semplice tornare, non è un cambiamento facile da affrontare.
Non è mai finita.

Non mi sentirò mai tornata del tutto, fino a quando non realizzerò pienamente quel che è stato.
Che ho fatto?
Dove sono andata?
A volte mi sento
mai tornata,
altre,
mai partita.
Vedo cose uguali, altre cambiate e distanti anni-luce da ciò che sono.
Sono diventata.

In questi giorni mi succede di addormentarmi viaggiando nei colori australiani, parlando con amici di viaggio o osservando la vita a Sydney. Passeggio tra la natura, ascolto il rumore del mare pucciando i piedi a riva, guardo il cielo e il solito gabbiano.
Mi risveglio pensando che sono qui, nel letto di casa che non è ancora comodo come un tempo.
Che strano.

Per questo volevo scriverti oggi.

Scriverò,
mai fermerò queste mani.

Sto semplicemente tornando.
Sto decidendo come proseguire il mio viaggio, anche se, sto lasciando potere alla vita.
Solo lei ha la capacità di creare e distruggere, di unire e separare.

L’universo.

La scrittura sarebbe una lente di ingrandimento, un’analisi dettagliata di una fase che ora deve scorrere liscia senza subire rallentamenti.

C’è scritto: “NON DISTURBARE”

Sto seguendo il corso delle cose e questo non mi permette di trovare la giusta frequenza per quel “Qualcosa” che, come dice Elisa, ora “non c’è”.

Erica, anzi Atmosferica.


Elisa – “Qualcosa che non c’è”

Coraggio in Provenza.

Ascolto progetti futuri e partecipo a discorsi di lavoro. Vedo persone cresciute ed amici mai stati amici. Sprofondo in perdute certezze che un tempo sembravano tutto e galleggio tra le acque del mare che con il sale purifica il corpo.
Non so se quella troppo diversa è una Erica cambiata, non capisco se è lei a doversi adattare ad una vita sregolata.

Io sono fatta di pensieri e parole, poco alchool e tanto cuore. Sono ricca di occhi e sguardi, consigli e appoggi, connessione e traguardi. Non sono un conto in banca o una macchina veloce, non sono fatta di master o monologhi lobotomizzanti lunghi ore ed ore. Sono luce e novità, forza, anima e controllo, voglia di scoperta che vuole arrivare al fondo.

Qui in Francia ho un balcone, vedo il mondo da un punto alto che mi espone al mare e allo scoglio, rosso. Sono felice di vedere questo, arricchisco le mie idee per il prossimo anno, non mi lascio travolgere dall’ignoto e mantengo mio il centro, il nodo, lo slancio.
La Provenza è color mattone, calda come un maglione, offre spunti di riflessione o semplicemente scorci, prati verdi e vele di aquilone.
Sono sicura che tutto andrà bene, sono presente e vivo in costante osservazione di gente, la mente.

Quante strade strambe potrei prendere, quante storie assurde arrivano puntualmente. Ascolto, penso, ragiono e cerco la via migliore.
Non voglio quella più facile, non voglio essere semplice ma voglio crescere senza limitazione.

Non voglio fare paragoni, non costrizioni.

Viaggi di anima e deserto, fanno oggi da lente di ingrandimento, eliminano il superfluo e scavano fino al nocciolo. Non mi interessa più ridere in sere nere, non sono più ambasciatore e conservo con cura la mia sicurezza personale.
Non faccio regali a caso, non sorrido senza motivi ma canto a squarciagola se mi pare sia il caso di urlare.

La nuova me è in evoluzione, o meglio, ambientazione.
Non so ancora dove andrò, ma questo è un posto dove è bello stare.

Erica, anzi Atmosferica.

“E quindi? Adesso dove vai?”

Ore 8.08
Treno Italo,
Alta Velocità,
Roma Termini – Milano Centrale

Ti ho salutato dalla costa orientale della Sardegna e ora mi trovo qui, seduta al posto numero 4, della quinta carrozza in partenza dalla capitale.

Una mina vagante, una vagabonda. Il concetto di base e la radice di ogni parola, denotano il fatto che io stia vagando.
Alla ricerca di cosa?
Bella domanda.

O forse lo so.

Sono riuscita a creare una similitudine pensata ad hoc per le mie sensazioni, dinamiche di ritorno o forse di continuo viaggio.
Chi lo sa.
Mi paragono senza problemi ad uno scimpanzé che, aggirandosi tra persone e città, si trova totalmente diseducato nel vivere scene di normale convivenza, condivisione e comprensione.
Un animale selvatico abituato ai suoni della foresta e dei grilli, a vivere solo e senza aiuti, senza ritmi imposti ma solo seguendo flussi naturali.
Tutto questo si tramuta in una difficoltà di base che accomuna ogni situazione, nella voglia di continuare a viaggiare, di vivere in movimento, per rimandare continuamente l’impegno dell’adattamento.

Una settimana rigenerante di pura e selvaggia Sardegna, è stata seguita da Roma e dalla sua sabbia bollente ma comunque morbida. Ho cercato di dipingere a modo mio scene e paesaggi, ho creato affreschi e verdi selvatici, ho catturato immagini che possano fare da ponte tra quel che era, e quel che è.

Il nodo della questione, è che sono in difficoltà e che non voglio farmi risucchiare dalla solita banale quotidianità che quasi mai comprende sani colpi di testa o picchi di estremo coraggio. Vorrei non perdere questa mia indole, non potrei vivere senza scatti di cuore e stimoli adrenalinici.

La gente mi chiede quale sarà la mia prossima meta, mi dice che non mi devo fermare, che non posso farlo ora.
Spesso vorrei poter non sentire e ascoltare solo quel che arriva da dentro, non ciò che viene da fuori.
Non me ne volere ma in questi casi penso sia semplice dire:

“E quindi? Adesso dove vai?”

Beh, io non lo trovo per niente semplice, anche un po’ ingiusto. Spero sempre di ricevere domande più aperte di queste ma puntualmente non accade. Per quanto possa sembrare una domanda che urla libertà, è comunque chiusa in un preconcetto.
Chi ha viaggiato deve continuare a farlo, deve continuare a riempirsi gli occhi di vita.
Chi non lo ha fatto, è scontato che rimanga chiuso nel suo nido.

Beh, non credi sia limitante?

Non so cosa accadrà alla mia vita ma penso sia giusto che chi voglia esplorare, si senta libero di farlo con la propria anima.
Me compresa.

Milano, ore 11.34

Grazie vita.

Erica, anzi Atmosferica.

Il vuoto e “La sera del ritorno”.

Ho altro da raccontare, altro che riguarda il mio ritorno. In questi giorni pieni di spostamenti, viaggi in treno e chilometri di cemento, sto cercando di ritrovare il mio posto nel mondo, in Italia.

Un angolo di pace che mi faccia sentire libera.

Continuo a pensare ad una bellissima serata trascorsa in compagnia di Zie e Amiche, qualche giorno fa. Ero tornata da forse 72 ore e una riunione di saluto e connessione nuova, è stata l’idea di Mamma. Un altro modo per darmi il benvenuto, un gesto amorevole per farmi sentire a casa.

Qualche pasticcino, una sana Macedonia e una bottiglia di prosecco per festeggiare. Questi erano i condimenti che rendevano il tutto più colorato e gustoso, frizzante e dolce. Il giardino di casa faceva da sfondo e delle candele colorate allontanavano le zanzare riscaldando l’Atmosfera.

Dopo i primi minuti di confusione e domande accavallate, il creativo Papà Elio è intervenuto con la sua idea. “Facciamo un gioco, mettiamoci in cerchio e ognuno farà una domanda quando sarà il proprio turno!”

Una risata generale è sfociata nell’accordo pieno, ha creato ordine e curiosità. Ero curiosa anche io, mi sentivo al centro dell’attenzione ma con molto piacere.

Il giro delle domande è partito subito in senso anti-orario. Di fianco a me, Papà osservava la scena dal mio stesso punto di vista. Forse accadeva per la prima volta. Guardavamo con gli stessi occhi, ascoltavamo con le stesse orecchie.

Vorrei condividere con te alcune domande e di seguito le mie risposte. Trovo giusto doverti rendere partecipe di una nostra serata, in cui meritavi di esistere anche tu.

“Hai mangiato qualcosa di particolare?”

Ho risposto che non ho mai assaggiato cibo che mi abbia fatto mancare il fiato. Nulla che mi abbia rapito le papille gustative. Certo, il cibo thailandese piccante mi ha tolto il respiro per ovvi motivi, ma per il resto non sono rimasta mai troppo stupita da quel che avevo nel piatto. In Australia sono arrivata a detestare frutta e verdura, avevano sapore e consistenza chimica e non sapevano di natura. Non troppo.
Non ho mai assaggiato la carne di canguro, non ce l’ho fatta. Per tutto il tempo del mio viaggio, ho mangiato solo carne bianca. Non mi sono mai imposta diete particolari, mangiavo quel che mi andava, quel che il corpo chiedeva.
In Thailandia, invece, mi sono depurata e purificata. Verdure cotte e crude, grandi insalate di frutta e riso ovunque. Una vera goduria per il mio palato.

“C’è mai stato un posto che hai chiamato ‘Casa’?”

No. Sydney mi ha cullata e coccolata, mi ha fatta sentire a casa ma non l’ho mai intesa come la mia città. Mi sentivo ad ogni modo ospite anche perché non ho mai pensato di non tornare in Italia.
Piazze, muretti e panchine, mi richiamavano nei momenti di solitudine in cui volevo sentirmi bene. Guardavo al cielo e vedevo le punte dei palazzi, possenti.
Mi piaceva ritornare nei miei angoli di pace, mi piaceva vedere Sydney in tutti i suoi specchi e colori, mi sentivo bene ma non a Casa. Sarà sempre nel mio cuore quella città, tanto cattiva all’inizio ma piena di amore alla fine.

“In un momento di tristezza hai mai pensato di tornare a casa?”

No. Ero sempre consapevole che ogni momento di tristezza e malinconia, era stato preceduto da un momento di benessere e sarebbe stato seguito da un’altro stato d’animo positivo. Credo che affrontare e superare negatività, sia sinonimo di maturità e voglia di conoscersi davvero. Bisogna essere in grado di guardare il proprio malessere dall’esterno cercando di non identificarsi in lui.
Io ci ho sempre provato, con la consapevolezza di voler tornare a casa per felicità.

“Qual è il tuo obiettivo ora? Dove vuoi andare?”

Il mio prossimo traguardo è quello di trovare pace nel niente. È difficile tornare in una realtà dove in ogni fase della vita si ha sempre avuto uno scopo, ma ora la sensazione di appartenenza non è più così forte. Il mio obiettivo è quello di trovare un equilibrio prima di agire per una costruzione, un progetto di lavoro.
Tutti si lamentano del fatto che si lavora troppo e che lo stress porta a correre continuamente, affaticando l’anima al pensiero del futuro.
Accade questo, sì, ma nel momento in cui non si ha nulla da fare, si entra facilmente in crisi, ci si sente persi senza una sfida giornaliera.
Di cosa ci si lamenta allora?
Voglio imparare a godermi un momento di vuoto senza dimenticare che ora sono piena di me, come è giusto che sia.
Da fine agosto, farò fruttare le mie energie e con la dovuta calma, penserò ai miei progetti.

“Chi è stata la persona che ti è rimasta nel cuore?”

Ilaria. Con lei ho avuto un bellissimo scambio di emozioni e insegnamenti. Lei mi ha insegnato una magica dolcezza fatta di fiori e conchiglie colorate, mi ha dimostrato che quel mondo ormai poco conosciuto ed esplorato esiste davvero, basta solo costruirlo giorno dopo giorno. Basta crederci.
Io a lei ho dato un pezzo della mia positività e della voglia di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, le ho voluto dire che “Tutto andrà bene!”.

“Sei rimasta in contatto con Mattia? L’Ingegnere…”

Certo, Mattia è tornato nella sua amata Brescia a Maggio. Una buona opportunità lavorativa lo ha fatto diventare Ingegnere a tutti gli effetti, è sereno.
Sicuramente andrò a respirare la sua realtà bresciana e sarò ben contenta di ospitarlo a Lecco, la mia cittadella sul Lago.

“Cosa ti ha segnato di più nel ritiro spirituale?”

Penso che la convivenza con la giungla sia stata per me la prova più snervate. Continuamente in tensione, cercavo di trovare pace anche se, puntualmente, saltavo in aria al minimo rumore o visione strana. Animali e umidità, caldo e temporali, buio e insetti.
La parte più difficile è stata questa. La giungla e il mistero del silenzio.

“Hai mai avuto paura?”

Sì. Quando abbiamo iniziato la traversata della spianata deserta in Australia, alla prima sosta siamo stati travolti da un temporale ventoso, persino le pentole perdevano il contatto con il suolo e Vando traballava e tremava come una foglia. Lì ho avuto paura, mi sono sentita piccola, indifesa ed impotente nei confronti dell’inaspettata forza della natura. Era appena iniziato un viaggio di migliaia di chilometri vuoti, lungo la costa sud dell’Australia. Si era appena aperta una scommessa e per un momento ho temuto di non essere pronta a vincere o comunque a combattere.
Dopo la tempesta è uscito il sole. I colori sono tornati accesi e le nuvole a fare da cornice.

Ecco queste sono alcune delle domande. Le più importanti. È stata un momento di condivisione emozionante che credo rimarrà tra i miei ricordi come “La sera del ritorno.”


Ora sto partendo di nuovo. Un aereo sta per decollare, il mio cuore sta per volare. Devo ancora abituarmi alla sensazione del vuoto, è vero. Forse è per questo motivo che non riesco ancora a fermarmi. Voglio sentire il petto schiacciato alla poltrona, voglio vedere le nuvole dall’alto. Sto seguendo il mio istinto che non vuole ancora frenare la corsa. Forse non sono fatta per rallentare o forse non è il momento.
Ora so che voglio scrivere e per farlo ho bisogno di stimoli giusti, voglio godermi il niente nei posti più belli, quelli che sono stati creati per me e per le mie storie.

E comunque,
il vuoto,
in cielo,
si sente meglio.

Erica, anzi Atmosferica.

La vita è un viaggio.

Mi devi scusare ma nel momento in cui viaggiare diventa sinonimo di “incontrare”, il tempo per scrivere si riduce drasticamente. Vengo rapita da storie e volti, da altri viaggi.
Il ritiro spirituale continua a maturare conseguenze positive nelle mie giornate. Apprezzo ancor di più i miei momenti di silenzio, rido come una matta e mi lascio trasportare da situazioni curiose, dai discorsi di viaggiatori e persone con strambe storie.

Giulia è ripartita per la sua avventura di tre mesi nel sud-est asiatico, zaino in spalla e sorriso. L’ho vista andare via così, insieme ai suoi divertenti sketch e al suo stile etnico ed inimitabile. Giulia è voglia di crescere e di arrivare, voglia di ampliare conoscenze e di raggiungere degli obiettivi, realizzare sogni.
Giulia mi ha servito generosamente una sostanziosa dose di possibilità, libertà e racconti. Ha ulteriormente aperto i miei orizzonti parlandomi dei suoi viaggi e della voglia di farcela da sola, lontana dalla Sardegna e dalla sua piccola e stretta realtà.
Inghilterra, Messico, Irlanda, Germania, tre lingue, forse quattro, un sorriso luminoso, occhi dolci e la simpatia di una cabarettista.
Mamma mia! Quanta luce!
Quanto c’è da fare, quanto si può salire? Quanto si può volare?
Lei mi ha spinta più su, ha ampliato le mie ali.

Non so, ha aperto nuovi cieli.

Avevo proprio bisogno di questo, l’universo mi ha ascoltato. Avevo bisogno di capire quanto avevo camminato e quanto ancora ci sarebbe da camminare. Affiancarmi a Giulia per qualche giorno, mi ha permesso di accendere nuove lampadine, nuove possibilità per me e la mia vita, nuovi colori sulla mia tavolozza e nuove idee per la mia opera d’arte.
Le alternative sono tante e tutte molto invitanti ma al momento c’è la voglia di esplorare questa terra ancora per un po’, c’è la data di ritorno, c’è la voglia di farcela.

Quella del ritorno è un’immagine sfuocata che spesso mi chiede chiarezza.

Io non la ascolto.
Io non la chiarifico.
Non è il momento.

Mi perdo volentieri in quei contorni poco chiari, colori sovrapposti e soggetti non identificabili. Il mio ritorno deve essere un altro viaggio e un’altra scoperta.
Non sono più per una vita programmata, mi rendo conto ora. Questo un po’ mi fa paura ma ne sono tremendamente orgogliosa.

Ho incontrato anche lui, nato in Svizzera ma cresciuto a Toronto. Ho parlato con il suo accento americano, affascinante e divertente. Per Jeffrey non era un problema dialogare passando dall’inglese allo spagnolo, dal portoghese al francese. Non era difficile capire l’italiano, una lingua espressiva e dolce.
Diceva.
Insomma, anche con lui le porte del mondo si sono aperte, nuovi stimoli sono arrivati forti e chiari e io sono stata inondata dal profumo e dalla fragranza del Canada.

Dalle lingue di tutto il mondo.

Per non parlare poi di Fai.
Ventisette anni, nato a Singapore, maestro di Yoga in India, approdato a Koh Phangan alla ricerca di relax e qualche scuola in cui insegnare. Molto tranquillamente. La proposta di un’amica l’ha guidato fino al centro Kow Tahm dove, come me, ha attraversato il silenzio.
Pazzesco parlare con i suoi occhi a mandorla, venire a conoscenza del significato dei suoi tatuaggi e delle sue credenze. Una persona che è stata in grado di spiegarmi la musica psichedelica, dando profondità ad un suono che avrei percepito piatto, noioso e monotono.
Anche lui mi ha aperto dieci mondi e li voglio esplorare tutti.
Si può?

Certo che si può.

La mia carica elettrica mi spaventa ma d’altronde è la mia verità. Io sono questo e troverò il modo per lasciarmi risucchiare da questi vortici di vita dal cielo senza perdere l’orientamento. Voglio salire e voglio vedere, voglio capire e continuare ad incontrare persone che arricchiscono il viaggio, che aggiungono mattoni alla mia casa.
Al mio mondo.

Erica, anzi Atmosferica.

Il mare che unisce.

È stato bello, ieri, uscire dal lavoro e vedere Luca e Ilaria. Erano lì fuori, sulla panchina del parchetto, aspettavano che finissi per andare insieme a Bondi Beach. La gita del giorno.

“Andiamo in spiaggia?”

La domanda di Luca mi ha fatto pensare a come per me sia normale poter avere il mare vicino e nei suoi occhi ho visto la voglia di vedere il mare. Non lo vedeva da tanto. A volte me ne dimentico.

Il bus 333, da Elisabeth Street, ci ha portati direttamente in riva e la folata di aria oceanica che ci ha travolti appena arrivati, li ha lasciati un po’ senza parole. Ho visto. Ho fatto attenzione.

Spesso non vivo la mia esperienza tramite i miei occhi ma attraverso quelli degli altri. È bello e mi piace notare espressioni, l’approccio e la reazione.

La spiaggia di Bondi si stendeva dorata davanti a noi e non faceva caldo. Ho seguito i loro spontanei movimenti e ci siamo portati alla riva dove le onde sbattevano e i surfisti si lanciavano combattenti pieni di sfida e passione. I gabbiani erano tanti e l’acqua molto fredda. Il cielo di un azzurro intenso e la sabbia umidiccia. Non ci importava.

Lasciandoci sempre trasportare dal momento ci siamo trovati seduti, gambe incrociate e zero teli mare adatti all’occasione. Diretto contatto con la terra, con l’emozione. Abbiamo iniziato a parlare e io ascoltavo le loro sensazioni che magari uscivano ad alta voce. Luca commentava la potenza del mare e solo in un secondo momento si è reso conto fosse OCEANO. Quello vero, quello forte.

Ilaria parlava alla natura stando in silenzio. Scattava foto e si lasciava trasportare dagli impulsi. Si ascoltava.
Si avvicinava al mare quando questo la chiamava, lo guardava quando lo sentiva ed era tutto così, naturale appunto.

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Abbiamo lanciato pezzi di pane ai gabbiani che golosi come al solito facevano la guerra. Era bello puntare verso l’alto e vedere che acchiappavano il cibo al volo senza nemmeno lasciarlo prima cadere a terra, a sabbia. Gabbiani ingordi.
Anche Luca li ha conosciuti, finalmente. Ilaria già li conosceva.

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Non ti dico la mia sensazione nel condividere tutto questo con loro. Io, che fino a qualche giorno fa mi ci portavo da sola in quei posti, stavo offrendo qualche emozione anche a loro. Loro la stavano offrendo a me.

Uno scambio bello che mi mancava. Mi sentivo libera di ridere e oziare anche con loro, di ascoltare e cantare, di rotolarmi nella sabbia appiccicosa senza pensare che mi sarei sporcata i pantaloni. Libertà.

Verso le sedici e trenta la luna bianca alla nostra sinistra iniziava ad alzarsi nel cielo ancora azzurro. Ombra sul mare ma sole là, dalla parte di quelle case arroccate sulla scogliera. Quell’angolo che mi ricorda la Costiera Amalfitana.

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🙂

C’era con noi anche Elena. Una giornata tutta all’Italiana ma comunque nuova. Sto facendo incontrare persone che non si conoscono ma che potrebbero trovare qualcosa che le accomuna. Mi piace unire pezzi come meglio credo e vedere che disegno ne viene fuori. Ieri era bello, divertente e artistico. Era nuovo ed ero troppo felice di essere lì con loro.

È stato forse il primo giorno da quando sono qui, che non ho nemmeno guardato il telefono. Ad una certa ora l’Italia inizia a squillare, le amiche vogliono aggiornamenti e la mamma chiede se va tutto bene. Non volevo perdermi nemmeno un secondo di quel momento, me lo sono goduta in ogni regalo e sorpresa. Semplice.

Oggi è sabato. Stasera si uniranno altri pezzi a questo puzzle improvvisato. La mia collega francese organizza una cena per il suo compleanno e sono curiosa di vedere che ne verrà fuori, anche lì.
Sperimentare, conoscere, raccontare e scoprire.

Non penso ci sia nulla di più bello e stimolante. L’avventura che lega le persone, nel mondo.
Il mare che fa da tramite.

Erica, anzi Atmosferica.