Quattro mesi a Melbourne.

Scrivervi dall’88esimo piano dell’Eureka Skydeck di Melbourne, è una figata pazzesca.

In parole spicce, mi trovo sulla punta del grattacielo più alto da cui è possibile vedere tutto, scrutare le costruzioni e capire la conformazione della città. Da quassù è molto facile capire quanto dista dal mare, seguire il corso del fiume che la attraversa e spaziare oltre la parte centrale dove una zona periferica molto vasta fa da contorno.

Come dice il titolo dell’articolo, inizia oggi il quinto mese di viaggio. Il quarto si conclude, quindi, con l’incontro con Melbourne…

…e che incontro!

La giornata di perlustrazione è iniziata con un giro panoramico sul tram 35. L’unica linea gratuita che compie un tour rettangolare, seguendo il perimetro della parte centralissima della città. Subito sono rimasta sconvolta dal sovraffollamento del mezzo, fiumi di parole, fiumi di persone per la strada e fiumi di diverse culture. È proprio vero che qui si respira un’aria europea tanto che questo corso d’acqua che caratterizza la scena, mi ha ricordato per un momento Londra. Sarà anche il tempo coperto e grigio, sarà che tendo sempre ad associare una città nuova con un’altra già vista e visitata, ma questo è quello che ho pensato.

Decine di costruzioni altissime mi danno l’idea di pienezza e di crescita. Qui credo facciano bene ad innalzare edifici verso il cielo, non c’è più spazio! Una sensazione del tutto opposta me l’ha data Perth, e chi mi legge dagli inizi, ricorda bene l’impressione negativa e vuota che mi davano quei palazzoni di pura facciata.

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Melbourne è viva, variegata e piena di gente di tutti i tipi. Turisti da ogni dove scattano centinaia di fotografie, ragazzoni dallo stile azzardato attraversano a passo spedito con un caffè d’asporto tra le mani, donne eleganti parlano di lavoro al cellulare, molti bambini piangono nei passeggini e le ragazze si esibiscono in lunghe sfilate.

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Questo è quello che vedo insieme a tanti colori. La cattedrale dallo stile gotico, è immersa tra costruzioni pazzesche e super moderne dove il colore fa da linea guida nel progetto. Vetrate rosa, taxi gialli, infrastrutture fuxia e blu. Pennellate qua e là rendono il tutto più sorprendente, insieme alle giostre che colorano il fiume di mille luci.

Sono felice di essere qui e di essere riuscita a farmi un’idea di questa città tanto nominata ma mai spiegata. Ho potuto constatare che mi piace e se l’istinto non mi spingesse verso Sydney, ci rimarrei qualche mese. È molto giovane e arzilla, è ben servita da efficienti linee di tram e treni, da quassù vedo lo stadio, campi da tennis e lunghi vialoni alberati. Vedo un parco, il mare e una piazza chiusa tra bizzarri edifici.

È nuova, è veloce e grande, molto grande.

Beh, è stato un potente incontro che segna l’inizio del quinto mese. Melbourne ha riacceso in me la voglia di città anche se non è ancora questo il luogo e il momento. È come se avessi conosciuto una persona che mi abbia aperto gli occhi verso un nuovo mondo. Un concetto già conosciuto ma mai approfondito o paragonato all’alternativa. È come se ora riuscissi a cogliere l’essenza della città.

Avendo vissuto in luoghi deserti e per niente popolati per questi mesi di viaggio, ora la città mi chiama. È un richiamo che sento forte e chiaro, sento l’adrenalina di una nuova sfida, voglio rivivere tra la folla veloce che cammina spedita prendendomi la calma di osservare.

Sono pronta e consapevole che tutto ciò che vediamo, è il riflesso di quel che siamo. Una città ti sorride se sei tu il primo a sorridere, altrimenti, ti verrà solo voglia di scappare.

Erica, anzi atmosferica.

Il meglio di me.

Ecco che in un batter d’occhio, mi trovo a scrivervi dal Victoria, la Regione che ospita la città di Melbourne. In pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il Western Australia e il South, posizionandoci così ai posti di blocco per una nuova meta. La strada che ci separa dalla grande città si chiama Great Ocean Road e anche solo il nome può dirvi molto. È uno dei tratti più spettacolari dell’Australia a cui è difficile rinunciare scegliendo così di percorrerlo non badando a strade alternative, più brevi.

La connessione Wi-Fi in questo campeggio di Warrnambool è potente e stranamente di durata giornaliera. Posso così prendermi la calma di scrivervi e sbizzarrirmi più tardi sul web facendo un sano zapping tra siti di mio interesse.

Oggi me la godo.

Siamo partiti stamattina da Mount Gambier (Sembra anche a voi un nome francese?) dove abbiamo passato la notte e prima di riaccendere i motori, abbiamo visitato il Blue Lake. Un lago formatosi nella bocca di un vulcano che mette a tacere ogni possibile lamentela o borbottìo. Sulla ringhiera lucchetti colorati, di amici o innamorati, hanno attirato la mia attenzione diventando parte integrante del paesaggio, della visione.

Una giornata grigia e umida ci ha accompagnato fino a qui, per 187 chilometri verso sud-est.

Per combattere con il problemino di cui vi ho parlato ieri, mi sono piazzata alla guida, ricercando stimoli creativi nella concentrazione. Quando si viaggia, tutto passa veloce ma può succedere che pensieri birichini, vogliano essere ancora più veloci azzardando con un sorpasso sulla sinistra (Qui è vietato!!). Ti trovi così sorpreso e impotente davanti a un azzardo del genere, vai su tutte le furie ma devi placare l’istinto di accelerare per corrergli dietro.

È difficile ma devi, altrimenti finisci per farti male.

Nel tragitto abbiamo deviato per Portland, un paesino sulla punta di una piccola penisola, attraversando valli verdi coperte dalla nebbia. Eh sì, una fitta nebbia. Il paesaggio era collinare e la strada seguiva le sue curve, mucche nere nere pascolavano nutrendosi di sana erba e pecore grigie grigie si intonavano con il cielo. Non avrei mai pensato di imbattermi in banchi di nebbia del genere ma appunto per questo, è stato suggestivo. Sorprendente.

Sulla punta di Portland, ho visto l’orizzonte dell’oceano annebbiato e ho iniziato a “canticchiare” inconsciamente quella poesia di Carducci che la Maestra Enza mi aveva fatto imparare a memoria alla scuola elementare.

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar.”

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La prima strofa faceva così e continuavo a ripetere quella perché parlare de  “l’aspro odor dei vini” o dello spiedo che gira sui ceppi accesi scoppiettando, mi sembrava del tutto fuori luogo.

🙂

La Maestra Enza.

Che ricordi che ho rispolverato…

Mi voleva bene ed ero la sua seconda preferita dopo la Bonfanti, la sua cocca nonché mia migliore amica. Ricordo che quando aveva bisogno di un quaderno di italiano per ricordare a che punto si fosse fermata con la spiegazione la lezione precedente, chiedeva sempre il suo. Il mio lo chiedeva solo quando la Bonfanti era assente.

Iniziai così a scrivere come lei e a comportarmi come lei perché sotto sotto, avrei voluto essere io la cocca della Maestra Enza. Ricordo che era una signora di mezza età e portava occhiali da vista con lenti spesse spesse. Sulle sue labbra non mancava mai un filo di rossetto e sulle sue unghie uno smalto rosato. Quando si arrabbiava faceva abbastanza paura e quando si lasciava andare a momenti di dolcezza, mangiava il suo Pocket Coffee che custodiva golosamente nel taschino.

Al momento di imparare le poesie a memoria diventavo matta. Mia mamma mi aiutava e ricordo che ripetevo la stessa manfrina più e più volte, commettendo più e più volte gli stessi dannati errori.

Invece che dire…

“Va l’aspro odor dei vini..”

dicevo…

“Va l’aspro odore del vino…”

Banale errore che toglieva poesia alla poesia. Non riuscivo ad immedesimarmi nello scrittore, nella sua mente, nelle immagini da lui descritte. Studiavo come fossi una macchinetta, senza capire il significato di quei versi in rima che mi facevano impazzire per lunghe ore. Al momento dell’interrogazione, mi batteva il cuore, mi sudavano le mani e ripetevo meccanicamente quel che avevo ripassato fino alla noia, la sera precedente.

Volevo essere perfetta, almeno come la Bonfanti. Volevo prendere un bel voto e tornare a casa soddisfatta dalla mamma. Ogni volta però, qualcosa mi bloccava e non riuscivo mai a dare il meglio di me.

Vorrei incontrare la Maestra Enza, vorrei farle leggere una poesia scritta da me. Magari quella che ho scritto quando “Il deserto, mi ha parlato.” oppure quella che ho scritto su “Una panchina blu e bianca…” in quel poetico 4 Dicembre. Vorrei recitargliela e prendere finalmente un voto, il mio voto.

Il meglio di me.

Erica, anzi Atmosferica.

Se Vuoi, Puoi.

“Parecchi chilometri più avanti, ormai quasi arrivati al primo obiettivo, veniamo colpiti in piena faccia da una visione. A bocca aperta fissiamo un po’ più avanti, a sinistra. Scopriamo il punto di incontro tra il foglio piatto di terra gialla che ci ha accompagnato fino a quel momento ed il mare. Rallentiamo e prendiamo una stradina laterale. Facciamo qualche centinaio di metri e arriviamo al bordo. Ci fermiamo. Siamo estasiati. In trance. La spianata bruciata termina bruscamente e precipita in mare, trasformandosi in scogliere mozzafiato dai colori stratificati, costantemente picchiate dalla forza delle onde che vi si infrangono senza pietà. Da un lato il cielo è ancora carico di nuvole scure ma dall’altro il sole è tutto impettito perché vuole colpire il mare, dandoci la possibilità di osservare avidamente le mille sfumature di azzurro che racchiude in sé. È tutto così selvaggio, crudo, mai toccato dall’uomo, millenario. I confini dell’Australia, quelli più aspri ed esposti, alti, impenetrabili, invivibili. Il vento ci scompiglia i capelli, il sole ci ferisce gli occhi ma non ce ne preoccupiamo. Quello che abbiamo di fronte è quello che tutti sognano di vedere prima o poi nell’arco della propria vita.”

“La storia di un’Immigrata allo Sbaraglio” di Francesca Cabaletti

Sono queste le parole che Francesca Cabaletti, nelle vesti di Immigrata allo Sbaraglio, utilizza nel suo libro per descrivere quella magica immagine che si presenta senza preavviso davanti ai suoi occhi, e a quelli di suo marito, durante la traversata del Nullarbor Plain, il deserto. Credo che sia riuscita a descrivere magnificamente e senza sforzo lo spettacolo che quella visione le abbia scaturito fuori e dentro, un insieme di colori e forze vitali che si incontrano in un punto.

Quel punto.

Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovata anche io a percorrere quella stessa strada infinita.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei potuto constatare la potenza e la verità di quella descrizione che mi aveva tanto affascinata quanto lasciata incredula.

Mi sono trovata così ad inserire parole chiave nella sezione di ricerca del libro digitale che tengo gelosamente nel mio telefono, per andare a rileggere spezzettoni in cui lei descrive con tanta precisione ed emozione quell’indimenticabile esperienza. Quell’infinita traversata. Quelle strane emozioni che risultano incomprensibili fino a che non le si vive in prima persona.

Ora, rileggendo le sue parole, tutto è comprensibile, credetemi.

Ricordo che prima di partire, mi ritrovavo a leggere i suoi libri e i suoi articoli nei miei viaggi in treno che mi portavano al lavoro o la sera, prima di dormire. Fantasticavo dando colori e profumi alla mia immaginazione, chiedendomi se mi sarebbe stato possibile, un giorno, toccare con mano quella sabbia o sentire sulla mia pelle la salsedine trasportata dal vento impetuoso.

Leggevo senza riuscire a programmare perché la pianificazione della partenza era già troppo ingombrante ma, dentro di me, sapevo che mi sarei portata là dove il cuore batte più forte e la vita sembra quasi un sogno. Prima o dopo, mi sarei trovata in quel punto, dove ti rendi conto che tutto è possibile, anche il dolce incontro tra un’arida pianura ed un mare pieno di rabbia.

Mi sono così trovata anche io in quel posto, percorrendo la stessa stradina laterale di rossa terra battuta. Mi sono trovata anche io ad incassare potenti emozioni causate da giocosi scherzi della natura.

Uh…come si diverte.

Nel momento in cui stai respirando, ti colpisce con una folata che ti sposta di mezzo metro. Nell’attimo in cui stai per schiacciare il bottone sulla macchina fotografica, ti accorgi che il cielo ha cambiato improvvisamente colore e rimani lì a guardare pietrificata dimenticandoti di immortalare l’immagine. Nell’istante in cui pensi di aver osservato abbastanza, il mare esprime il suo disaccordo ricoprendoti di schizzi il viso.

Tutto questo è da vivere.

Questo è il motivo per cui sono qui.

Per vivere.

Sono qui per fare mie queste sorprese. Sono qui perché questa terra ti apre talmente tanto che non puoi più pensare di nasconderti dietro a inutili paure, ai “Potrei” e ai “Vorrei”. Sono qui perché se tutto questo esiste, è giusto che vada vissuto e io personalmente, non ci avrei mai rinunciato.

Ringrazio Francesca Cabaletti che nel suo libro autobiografico , ha stimolato all’ennesima potenza la mia voglia di scoperta e di ricerca, mi ha detto in tutte le salse che avrei potuto volare se solo avessi osato e che le storie del “Potrei” e del “Vorrei” sono tutte cazzate.

Quel punto di incontro ne è la testimonianza.

Se Vuoi, Puoi.

Erica, anzi Atmosferica.

Hello from Adelaide.

Tanti cari saluti da Adelaide.

Questo nome suona bene nella mia testa, mi piace.

Sembra quasi una città italiana, mi viene facile pronunciarla a differenza di Perth. Sì perché è sempre stato un problema capire come posizionare la lingua per dire correttamente quel nome. Vi giuro, però, che ho sempre evitato di italianizzarlo dicendo “PEEERT” con la “E” spalancata e la “T” dura come quella di un “TRONCO”.

Chiusa questa parentesi, siamo arrivati qui nella prima città che si tocca nel South Australia, provenendo dal Western. Dopo migliaia di chilometri nel vuoto, mi ha fatto effetto incontrare semafori rossi e dover pazientare in mezzo al traffico. Per un istante mi sono sentita nervosa ed insofferente nel dover aspettare tutto quel tempo. Muovevo le gambe e continuavo a cambiare posizione sul sedile.

“Dai! Forza!! Circolate!”

Se avessi avuto super poteri, avrei sicuramente velocizzato i tempi.

Non ci siamo subito addentrati nel centro preferendo rimanere nella zona residenziale di periferia, dove abbiamo fatto una tappa necessaria al supermercato e prenotato tre notti in campeggio.

Ci troviamo quindi già a casa, il cielo è azzurro e il prato è curato da qualche individuo assai preciso. Vando è parcheggiato su una piazzola di cemento rosso, allineato perfettamente con altri Van e Roulotte. Si sta bene senza le maniche e con le braghe corte, ma non c’è il caldo che abbiamo patito in questi giorni durante la traversata.

I quartieri periferici sono tranquilli. In ampi viali alberati sono disposte con precisione grandi case piatte e larghe, garage puntualmente incorporato nel lato destro della villa e jeep rigorosamente parcheggiato davanti. Sono tutte di colore rosso, marrone o beige e sono tenute alla perfezione, precise, ordinate e apparentemente nuove, pulite e ricche.

Netto contrasto con le case degli ultimi paesi del Western Australia. Nulla a che vedere con quelle zone abbandonate e prive di luce dove vedere una persona seduta in giardino a leggere un libro, sarebbe stato un vero miracolo.

Siamo vicini all’aeroporto e attaccati alla West Beach. Mi prenderò il tempo per andare a curiosare dietro a questa fila di alberi e siepi che mi separano dal mare, come per fare molto altro. Poi vedrete! Sopra le nostre teste, quindi, prendono il volo aerei bianchi e arancioni. Che effetto vederli decollare. Ripenso inevitabilmente a quando ho spiccato il volo e mi trovavo schiacciata dalla pressione a quel sedile che, nel giro di trenta secondi, aveva già preso la mia forma. Guardavo fuori dall’oblò, felice e curiosa di sapere quel che sarebbe stato di me. Ero tranquilla, non avevo paura e mi sentivo comunque al sicuro.

(Avrete già capito che oggi sto andando a ruota libera. Non sto seguendo un filo del discorso, ma è proprio questo il bello. Seguitemi voi!).

Oggi abbiamo quindi viaggiato per 309 chilometri, la distanza che separava Port Augusta da Adelaide. Inutile ribadire che sono state tre centinaia di spazi deserti, gialli e secchi. Due sagome al lato sinistro della strada hanno catturato la mia attenzione.

“Mattia rallenta…”

Ci avviciniamo, erano due ciclisti.

Papà erano due ciclisti!

Lui e lei, erano affaticati e molto attrezzati. Un sorriso di soddisfazione è comparso sul loro viso, quando hanno capito di essere i protagonisti della mia fotografia. Hanno alzato un braccio per salutare e per comunicare gratitudine. Non so da dove siano partiti, non so per quanti chilometri abbiano pedalato. Tenendo conto che nei 1900 chilometri che li precedevano, c’era il deserto più secco e aridamente assoluto che ci possa essere, credo proprio siano partiti da Perth. In questo momento staranno ancora pedalando ma devo dire che ormai sono decisamente a buon punto.

Stima e rispetto per loro.

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Ne approfitto e vi faccio vedere anche il maratoneta incontrato ieri nel tratto da Ceduna a Port Augusta. Ve ne ho parlato nell’articolo precedente e penso che vedere la sua immagine, renda la sua descrizione ancor più toccante. Alle sue spalle potete vedere la strada già da lui percorsa e vi invito a fare una riflessione: prendete quel tratto di circa un chilometro e moltiplicatelo per 1986 volte. Ecco, quell’uomo sta conquistando passo dopo passo ogni singolo metro di quel rotolo bollente che si stende sotto ai suoi piedi.

Un mito.

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Penso che la tenacia, la forza di volontà e lo spirito di avventura di queste persone, superi l’inimmaginabile.

Sono senza parole.


Nei giorni passati, mi sono arrivati parecchi messaggi indiretti da voi che leggete. Vorrei fare un appello a tutti gli amici di amici, parenti di parenti, cugini di cugini, amiche di sorelle e amici di genitori, dicendo che avrei il piacere di parlare direttamente con voi! Sarei curiosa di scambiare due parole con ognuno di voi, avendo così il riscontro che desidero.

Potete scrivermi qui sotto lasciando un commento, oppure se volete lasciarmi un messaggio, un’impressione o una critica in privato, potete farlo sia attraverso la pagina Facebook di Atmosferica  sia con una semplice e-mail a erica.maddaloni@gmail.com

A domani!

Erica, anzi Atmosferica.

Il deserto, mi ha parlato.

Il deserto,
nel suo perpetuo vagare,
Si mostra a scatti scattanti
ma come un infinito mare.

Il deserto, qui, non è di sabbia.
Ci sono anche fitti boschi,
ai lati di una lunga strada,
piena di ritocchi.

Il deserto è calmo, pieno di colori
Per non parlare poi…
Di uccelli neri che volano lontani,
sprizzando libertà,
proprio da tutti i pori.

Il deserto non parla e nessuna cosa dice,
ma se presti attenzione,
grida,
sussurra,
canta insieme a te ogni canzone che ti si addice.

Il deserto è pieno.
Che sia di cielo o di aria nei polmoni,
tutto è saturo.
Mi sembra di essere un alieno.

Il deserto ama la vita.
Grida di paura inseguendo il sole che lo invita.
Si srotola in mille forme, esprimendo indecisione ad ogni viaggiatore conforme.

Il deserto mi voleva, mi chiamava e urlava.
Qui nel nulla maledetto, percepisco quanto già mi amava.
Mi tirava perché era cosa giusta,
mi invogliava senza una frusta,
mi ha rapita senza dita e mi ha trascinata appena dopo che mi fossi capìta.

Il deserto è una riserva piana e senza ostacoli.
Molti maratoneti sono passati di qui,
tanti ciclisti e altrettanti uomini che per attraversarlo hanno fatto miracoli.

Il deserto mi è piaciuto.
Ogni viaggiatore dall’altro lato esprime un saluto.
Ci si intende dalle due parti, ci si scambia un…

“Ciao, buon viaggio!”

con un movimento buffo degli arti.

Fantastico,
che risate,
pare di stare in un gioco infinito,
e una volta finito,
ci si trova tutti a fare battute mangiando patate.

Il deserto mi ha cresciuta,
stravolta e rilassata.
Mi ha amalgamata,
districata e ascoltata.
Mi ha capìta, recepita ma non mi ha mai illusa, non mi ha mai assalita.

Quanta strada ho fatto…

…e quanta ancora ne farò,

ma una cosa è certa…

Per nulla al mondo indietro tornerò.

Erica, anzi Atmosferica.

Ricapitolando, prima del grande passo.

Lasciamo Norseman per procedere verso la East Coast.

Sì, lo sto dicendo veramente, lo sto davvero scrivendo.

Questa è una comunicazione ufficiale.

Salutiamo l’ultimo paesino del Western Australia, con un filo di magone e un forte grazie per tutto quello che, insieme agli altri luoghi visitati, ci ha regalato. Norseman è una piccola frazione situata esattamente al bivio, è una scommessa, un nuovo inizio per chi decida di svoltare verso quella lunga strada che percorre il deserto, il niente, il nulla più assoluto per un migliaio di chilometri. È un arcobaleno, un tramonto rosa, la desolazione e il disagio.

Ve ne avevo già parlato…ricordate?

Vorrei elencare insieme a voi i segnalibri che hanno meritato e richiesto una pausa nella lettura di questo meraviglioso libro. Lasciata la città di Perth il 16 Gennaio, ci siamo diretti verso Wave Rock, nell’entroterra a est.
La meta successiva è stata l’area sud della costa occidentale dove avremmo cercato lavoro in Farm per mettere insieme il giusto gruzzolo per proseguire il viaggio. Le prime soste presso Manjimup e Margaret River, non ci hanno offerto nessuna possibilità di lavoro visto che le stagioni della raccolta non erano ancora iniziate. Una forte perturbazione ha fatto ombra per una decina di giorni, periodo in cui non abbiamo sottovalutato l’idea di esplorare le meraviglie della zona. Dunsborough, Busselton, Augusta e Cape Leeuwin sono state le cittadelle prescelte da aggiungere al nostro itinerario, ognuna con una curiosità da offrire. Di nuovo alla ricerca di lavoro, ci siamo spostati a Pemberton dove nel giro di due giorni ci siamo trovati ad imballare Avocados e soggiornare per tre settimane in compagnia di un simpatico gruppo di Backpackers. Durante la breve, ma non per questo povera, stagione lavorativa, non sono mancate gite di intere giornate ad Hamelin Bay e a Bunbury.

Spettacolari.

Ripreso il viaggio il 17 Febbraio, abbiamo proseguito sulla costa sud del Western Australia, procedendo verso Est. Tappe d’obbligo sono state quelle di Greens Pool, Denmark, Albany ed Esperance.
Da quest’ultima, è stata nostra decisione quella di spostarci verso nord nell’entroterra abbandonando alle nostre spalle l’oceano e la sua grandezza. Ci siamo diretti così a Kalgoorlie dove una miniera d’ORO ha attirato la nostra curiosità facendoci decidere di deviare appositamente.
Ora siamo Norseman, in partenza alla volta della costa est.

So perfettamente di aver gettato nero su bianco troppi nomi senza molta creatività ma l’ho fatto per chi volesse ripercorrere velocemente il nostro viaggio, per chi stia per partire da Perth con la stessa idea e per chi si sia connesso recentemente con la mia storia.

Inserendo i nomi di questi principali luoghi toccati, potreste farvi un’idea ben chiara del tragitto percorso, individuando anche il punto in cui ci troviamo oggi, il bollino rosso di non ritorno.

Un’altra partenza ci vede protagonisti insieme ad amici inglesi e avrò modo di parlarvi di loro prossimamente, sperando di riuscire a trovare una buona connessione per comunicare. Da oggi si volta pagina e si scrive un nuovo titolo, un’esperienza di traversata ci vedrà protagonisti insieme ad emozioni nuove e inimmaginabili.

Il cosiddetto “Nullarbor” è identificato come un’area piatta e desertica, percorsa da una strada ESATTAMENTE DIRITTA per 146.6 km. Nessuna svolta, nessun cartello in un paesaggio arido e secco.

Il NULLA….RBOR

APPUNTO…

🙂

Beh ragazzi, ci sarà da ridere. Sono abbastanza su di giri e sento l’adrenalina in corpo. La sensazione è un po’ come quella del salto nel vuoto, sentirò il cuore in gola e l’infinito addosso.
Riserve di acqua, benzina, olio e liquido refrigerante sono in abbondanza.

Con un nodo alla gola ora vi saluto. Ci sentiamo domani, o almeno spero.

Erica, anzi Atmosferica.

Un vuoto che riempie.

Continua a leggere Un vuoto che riempie.

Un pezzo unico.

Vi do il benvenuto ad Esperance. Siamo arrivati ieri dopo un viaggio di circa sei ore, la temperatura era perfetta per macinare chilometri a differenza di altre volte in cui il caldo ci toglieva le forze. Due soste per sgranchire le gambe di cui una anche per rifornimento carburante e per il resto tutto liscio e regolare. Il vento era lunatico, si scatenava nelle zone in cui la strada scorreva in immense distese secche e senza confine. In quei momenti Mattia diminuiva la velocità e teneva saldamente il volante, governando il mezzo ballerino.

Un viaggio di sei ore che si è concluso con l’arrivo al campeggio nel tardo pomeriggio dove, per la prima volta, mi sono dovuta rapportare con una signora australiana davvero antipatica. In quelle occasioni il mio sorriso vince sempre e il mio inglese dà il meglio, non lasciandosi intimorire da niente e nessuno.

Abbiamo pagato per due notti qui, al Pink Lake Tourist Park, scelto con l’intento di risparmiare, perché posizionato nell’entroterra, e in un punto strategico rispetto al Pink Lake.

Oggi al nostro risveglio il cielo era grigio e fitto, ma anche dopo tre gocce di pioggia, non ci siamo lasciati contagiare dalla sua tristezza. Pochi chilometri ci separavano dal Lago Rosa, il terzo incontrato lungo i nostri tragitti. Ricordo il primo sull’isola di Rottnest e il secondo a nord di Perth nella zona di Port Gregory.

Seguite le indicazioni, ci siamo trovati davanti ad una distesa di sabbia bianca.

Ma come…

Sorpresa deludente ma meravigliosa.

Provo a spiegarvi la sensazione che ho provato nel vedere il lago totalmente prosciugato e nemmeno minimamente rosa. Da un lato la grande aspettativa era crollata all’istante. Quando da dietro i cespugli ho visto quella superficie candida mi sono sentita come una bimba che rimane a bocca asciutta dopo aver scartato un regalo che pensava contenesse il gioco che desiderava da tempo e invece si trova a fare i conti con uno totalmente diverso.

Diverso sì, ma non per questo meno divertente.

Dall’altro lato una meravigliosa sensazione matura, mi faceva vedere quello spettacolo attraverso occhi adulti. Ho capito nel giro di pochi secondi che, se anche non era il gioco che mi aspettavo, quello era il più bel regalo che potessi ricevere.

Egoisticamente volevo scoprire l’ennesimo lago rosa, ma nulla di tutto ciò la natura mi riservava.

Vedevamo in lontananza acqua, ma non colorata. Abbiamo camminato fino a raggiungerla notando sotto ai nostri passi, il cambiamento della sabbiolina compatta e grigia, che piano piano si trasformava in sale grosso.

Una distesa di sale da cucina.

Se mettevo il piede su un punto molto salato, non succedeva niente. Se invece mi appoggiavo in un punto poco salato, il mio piede sprofondava andando a toccare poltiglia argillosa.

Arrivati in riva al lago prosciugato, il sale era sempre di più e una schiuma bianca rifletteva una luce rosata. Sono convinta che se ci fosse stata più acqua, il colore sarebbe stato più vivo. Ho chiesto a Mattia di farmi un video per immortalare e condividere. Credo che una foto non avrebbe reso l’idea. C’era da toccare, da sentire la consistenza e la sostanza. Bisognava parlare e spiegare inquadrando a 360 gradi. Dovevo portarvi lì.
Mi scuso in anticipo per l’audio poco chiaro a causa del vento… Ma quello che dico nel video non è nulla di nuovo rispetto a quel che vi sto dicendo qui.

Abbiamo anche fatto divertire Vando e lui, a sua volta, ha giocato con noi. Una foto sul suo tetto, è stata d’obbligo. Quella distesa di sabbia compatta era invitante e perfetta per un autoscatto pazzo da veri viaggiatori. Questa è la classica foto che stamperò in formato gigante per appenderla nel soggiorno di casa.

Sarà un’emozione pazzesca il ricordo di questo Pink Lake, diventato White senza nemmeno avvisare e un sorriso spontaneo comparirà sul mio viso come quando quella bambina, capì di avere tra le mani un regalo invidiabile, un pezzo unico.

Erica, anzi Atmosferica.

Vorrei dirle…

Albany ci saluta con un po’ di pioggia e un po’ di sole, con un po’ di gioia e un po’ di dolore. Abbiamo fatto bene ieri a decidere di posticipare di un giorno la partenza, non era una giornata da sprecare in viaggio.

Quella di oggi direi di sì.

Anzi, mi correggo. Non è che la giornata in viaggio sia sprecata, tutt’altro. È fantastico, rilassante se vissuto con la dovuta calma, divertente, introspettivo e sorprendente. Quello che intendo dire è che quando la temperatura è ottimale e il cielo blu, viene spontaneo optare per la spiaggia, una gita, una passeggiata o nel caso vostro, per una castagnata.

🙂

Ma ci sono ancora le castagne?

Mi piace pensarvi davanti al camino a mangiare bollenti burolle.

Salutiamo quindi Albany dopo tre giorni meravigliosi. Nulla è mancato. La pioggia e il sole, il freddo e il caldo, spiaggia paradisiaca e altissimi scogli a strapiombo, mare calmo e oceano impetuoso. Sosta fortemente consigliata a chi sia come noi in viaggio, nel Western Australia. La cittadella è atipica rispetto alle altre incontrate fino ad ora. È la seconda in ordine di grandezza, dopo Perth, offre vasta scelta di supermercati, paesaggi, campeggi ed è costruita tra colline e un grande golfo che pare un lago. C’è un centro commerciale, il McDonalds e centri estetici, pasticcerie, macellai e panifici, parrucchieri, negozi di vestiti e banche, rotonde, semafori e passaggi pedonali.

Una piccola città fornita.

Ieri sera, la telefonata su Skype con la mia famiglia mi ha fatto pensare. Con grande sorpresa sono riuscita a parlare anche con la Zia Angela, una fan super presente amante della scrittura. Mi ha fatto domande curiose portandomi a riflettere su aspetti della mia esperienza che non prendo mai in considerazione essendo immersa in questa realtà. Mi ha fatto realizzare il fatto che sto davvero per lasciare il Western Australia e, una volta raggiunta l’altra sponda della Grande Isola, vedrò da lontano questo Paradiso dell’Ovest esplorato minuziosamente insieme al mio compagno di viaggio Mattia.
Mi ha chiesto se sono pronta a trovarmi in città movimentate e ben più vive di quelle visitate fino ad ora.

Le ho detto di sì.

Sono curiosa di vedermi in una metropoli, in mezzo alla confusione e al traffico. Mi sentirò diversa e percepirò tutte le nuove sensazioni che può captare una persona che ha vissuto per mesi in aree deserte e silenziose con il minimo indispensabile in compagnia di poche, pochissime persone.

Mancano ancora giorni prima di avere delle risposte ma al momento opportuno, vi parlerò di come mi sentirò. Sarà bello!

Le mie dolci sorelle mi hanno fatto domande strane. Una di loro mi ha persino chiesto se uso lo shampoo per lavarmi i capelli. La questione mi ha fatto sorridere ma poi ho pensato che sia lecito sospettare che qui sia tutto strano, diverso, capovolto e inimmaginabile.

Beh, come ho detto a lei, uso lo shampoo come il bagnoschiuma. Compro tutto al supermercato e mi lavo in una normale doccia. Ammorbidisco la pelle con crema idratante e dopo una giornata al mare, mi rinfresco con un banale dopo-sole. La sera mi lavo i denti con lo spazzolino, indosso generalmente indumenti estivi o pantaloni lunghi e sciarpa quando fa freddo. Nel mio beauty non mancano la pinzetta per le sopracciglia e una piccola lima per le unghie, i vestiti li lavo a mano perché mi scoccia pagare quattro dollari per fare una lavatrice che non riuscirei mai a riempire. Mangio normalmente frutta, verdura, riso, pasta, carne, pesce e quando voglio strafare non manca la Nutella originale. Sì proprio quella lì.

Insomma, vorrei far capire alla mia dolce sorellina che siamo tanto lontane ma non ho abitudini tanto diverse dalle sue.

Sì ok…qualcosa da segnalare come atipico e inusuale c’è.

Dormo in un Van Mitsubishi, non ho un armadio per i vestiti e dei quadri appesi alle pareti. Non ho un divano e una televisione, non mangio una brioche alla crema da più di tre mesi e non posso sbaciucchiarla come vorrei dallo stesso giorno in cui ho mangiato l’ultimo cornetto al bar dell’aeroporto di Malpensa.
Non ho le coccole della mamma e del papà e non posso chiacchierare con le mie amiche come vorrei. Non posso mangiare una bella pizza con mozzarella di bufala e non esistono affettati. Non ho una vasca da bagno o uno smalto per le unghie, non posso cantare e ballare insieme a lei e non posso vederla crescere come vorrei.

Ok…

…ma vorrei dire alla mia sorellina che, se anche mi ritrovo ad avere abitudini strane, sono felice di vivere con l’essenziale senza sentire la mancanza di particolari benefit. Vorrei dirle anche che quando tornerò da lei, non sarò uguale a prima ma sarò migliore. Le porterò il regalo più strano comprato in un bizzarro negozio australiano e quando glielo consegnerò, le dirò che non vedevo l’ora di vedere il suo sorriso.

Nel frattempo, siamo in viaggio e Vando corre come un matto.

Erica, anzi Atmosferica.

Il giorno che segna la fine…

…e l’inizio, è arrivato!

Ci siamo!

È arrivato l’ultimo giorno di lavoro e l’ultimo Avocados è stato imballato. Le nostre facce esprimono soddisfazione e gratitudine verso questo posto che in fin dei conti ci ha dato il lavoro che cercavamo, i giusti soldini per continuare a viaggiare, un sacco di divertimento e quella stanchezza fisica che serviva.

Grazie alla fatica fatta apprezzeremo ogni singolo chilometro a bordo del nostro Vando, ogni pezzo di strada sarà una scoperta tanto attesa e gusteremo ancor di più queste miglia che ci attendono.

Stima e rispetto per chi questo genere di lavoro lo fa tutta la vita, chi per mantenere famiglia e affetti si spacca la schiena in quattro facendo lo stesso dannato movimento per lunghe ore ogni giorno. Il mio pensiero va ai più anziani che sicuramente, in gioventù, hanno dovuto accontentarsi per campare e per regalarsi un futuro migliore. Hanno fatto di tutto, lasciato la propria terra per cercare fortuna con al seguito una famiglia numerosa, correndo il rischio di fare la fame.

Noi ce l’abbiamo messa tutta! Questi frutti verdi ci hanno insegnato un sacco di cose. Parlando della mia esperienza, vi dico che è stata assolutamente positiva. Ho pensato tanto, riso e cantato. Sono stata travolta da momenti alienanti e ho persino immaginato di avere tra le mani zucchine, fichi o pere.

Allucinanti allucinazioni!

I minuti antecedenti allo spegnimento della grande macchina dei rulli sono stati mozzafiato, una specie di conto alla rovescia. L’ultimo Avocados inscatolato ha segnato la fine di una storia e l’inizio di un’altra. L’ennesima partenza.

È stato bello scambiare sorrisi con i colleghi, se avessi liberato l’adrenalina, mi sarei messa a saltare, avrei abbracciato tutti come quando scatta la mezzanotte l’ultimo giorno dell’anno.
Diverse culture e diverse lingue si sono unite nella contentezza della fine e dell’inizio.

C’è chi cercherà un nuovo lavoro e chi, come Janko, partirà per un viaggio. Come ci ha raccontato, l’ultimo prima di rientrare in Germania dai suoi cari e dalla sua fidanzata. Lo incontreremo sicuramente “on the way” anche perché l’Australia è tanto grande ma la strada è UNA soprattutto se la direzione seguita è la stessa. Con la sua macchinina rossa partirà tra qualche giorno alla volta di Melbourne e lì, venderà il suo piccolo e buffo mezzo per navigare verso la Tasmania. Ci siamo scambiati i numeri di telefono e un “keep in touch” per i giorni che verranno.

Jenny, la nostra supervisor, ci ha ringraziato per il lavoro prestato definendoci un buon team. Siamo felici!

Felpe, magliette e fuseaux indossati sono talmente sporchi che andrebbero bruciati ma li terrò, non si sa mai. Un giorno potrei ritrovarmi di nuovo con le mani nella terra o tra pile di scatole e bancali. In quel caso avrò già la divisa da lavoro pronta all’uso e ritornerò nelle vesti di quella ragazza tanto carina disposta a sporcarsi le mani.

Stasera una cena con gli amici e domani una giornatona con alcuni di loro. La nostra prima tappa sarà Greens Pool, due ore di strada per ammirare uno spettacolo di acqua cristallina coccolata da scogli formando verdi piscine. Stefania, Paolo, Matteo e forse un altro paio di persone ci seguiranno fino a lì dove poi ci saluteremo.

Prima tappa per la notte di domani, quindi, Denmark. Cittadella poco fornita ma ottima per una prima sosta.

Sono carica, si sente?

Finalmente Pemberton ci lascia di nuovo VOLARE!

Erica, anzi Atmosferica.