“Australia” è anche questo.

Per la prima volta dopo due mesi, mi trovo finalmente a scrivere schiacciando velocemente questi tasti neri del mio computer. Io e Mattia stiamo rubando “qualche minuto” di connessione Wi-Fi al McDonald’s di Kalgoorlie consumando un succo di arancia e una Coca-Cola grande.

Sono quasi impacciata ed emozionata nel trovarmi a poter scrivere attraverso la mia vera macchina da scrivere. Quando ho la possibilità di comunicare grazie al computer, la scrittura è molto più fluente, viva, come la vorrei vivere ogni giorno. Purtroppo il continuo movimento e spostamento in aree pressoché deserte, mi costringe a racchiudere i miei pensieri nel telefono, un piccolo dispositivo che spesso ha bisogno del suo tempo per immagazzinare grandi pensieri.

A proposito di aree deserte…

Mi stupisce il fatto di poter avere a disposizione una funzionante e gratuita connessione Wi-Fi in questa cittadella che mi ha servito impressioni contrastanti che non comprendono quella di efficienza, sviluppo e urbanizzazione. Nel percorrere le strade desolate percependo miseria, povertà e degrado, ho individuato McDonald’s, KFC, Hungry Jack’s, K-Mart e Target come fossero dei bei fiori in un grande prato secco e pieno di erbacce. Vedo edifici che portano il nome di grandi marchi con occhi stupefatti, senza riuscire a dare una spiegazione a questa parvenza di sviluppo in una città priva di vita.

La foto che ho messo in evidenza oggi, l’ho scattata chiedendo a Mattia di accostare giusto per il tempo di catturare la realtà in un piccolo riquadro colorato ma scolorito.

“PICCADILLY BUTCHERS”

Macellaio di Via Piccadilly.

Un nome londinese che deriva dal piccolo quartiere, nel sentirlo nominare potrebbe risultare un negozio moderno, normale, avviato. Ma è qui che vi invito a guardare con attenzione l’immagine.

Un edificio trasandato e abbandonato da chissà quanti anni che sta insieme per grazia divina come tutte le case prefabbricate disposte in fila l’una accanto all’altra nelle vie parallele o adiacenti. Il palo della corrente in legno, i cavi dell’alta tensione scompigliati e disordinati. Una porta marcia e scritte illeggibili cancellate dal sole. In questa strada come nel gran numero di quelle percorse nei due giorni passati, la sensazione di abbandono è molto ricorrente. Pezzi di lamiera affaticati, taglienti e sbiaditi che patiscono il caldo senza che nessuno intervenga a mantenerli in vita. Macchine sgangherate abbandonate su marciapiedi e “lavori in corso” mai terminati.

Molte immagini di stanchezza e morte mi sono passate davanti e ogni volta il cuore si stringeva. La popolazione a Kalgoorlie è per lo più aborigena, e la tristezza si percepisce ovunque, anche al supermercato.

Gli aborigeni rappresentano per me un mondo ancora sconosciuto, incompreso, e posso solo riportarvi quel che ho visto e quel che mi ha turbato profondamente. Vivono una vita di abbandono e disagio e più volte ho incontrato famiglie in cui i piccoli non venivano trattati da tali mentre i genitori assumevano atteggiamenti di sregolatezza. Loro rappresentano la fetta più antica e radicata della popolazione australiana e per questo lo Stato tende a tutelarli dando loro una casa, un contributo mensile per gli alimenti e una certa protezione. Il 99% di loro, però, non è in grado di cogliere l’aiuto portandolo a proprio favore, vivendo per le strade, sotto ai ponti o nei parcheggi e utilizzando i pochi soldi per alcool e droga. Quanti ne ho visti chiedere cinque dollari con le mani giunte, quanti camminare disorientati in una città che dovrebbe essere per loro Casa, quanti con rosse ferite sulla faccia e quanti bambini piccoli con lo sguardo già adulto.

La loro situazione, per quanto riguarda il Western Australia, è assolutamente ignorata e forse non capita. Ripeto che mi limito a parlare per quel che hanno visto i miei occhi in zone isolate come questa, dove loro si adattano a vivere una vita di stenti senza prospettive di miglioramento. Mi è stato detto che nell’Est della Grande Isola, la situazione è nettamente diversa dove parecchi di loro ricoprono alte cariche lavorative.

Questa descrizione, si riflette pienamente nelle case, nei giardini pubblici, nelle insegne scolorite e nelle aiuole piene di erbacce mai estirpate. Molte abitazioni, potenzialmente perfette per famiglie numerose, stanno per cadere a pezzi. Nel piccolo giardinetto ammassi di rifiuti e scope rotte, le finestre senza vetri e le tapparelle storte, cancelli aperti arrugginiti e niente che dia una mezza idea di pulito o civiltà.

Molti giovani camminano per la strada sotto il sole a picco o nella desolazione della sera con in testa un cappuccio. Tristezza e solitudine, sregolatezza e alcolismo, povertà e menefreghismo sono sulle facce di tutti. Le persone, le attività e le poche vie vive,  basano la loro sopravvivenza sul turismo e su quella spinta economica che la Miniera d’ORO, di cui vi ho parlato ieri, possono offrire.

Come potete capire, rimarrò parecchio segnata e scossa da quel che ho visto qui. La mia riflessione, vuole essere una condivisione di crude immagini e sensazioni che non hanno bisogno di grandi giri di parole per trovare chiara espressione.

Ora che stiamo per abbandonare questa località, mi rendo conto che da oggi, Australia non sarà solo sinonimo di Meraviglia, Crescita, Trasformazione, Grandezza, Immensità, Sorpresa, Magia, Stupore, Sviluppo, Urbanizzazione, Velocità ed Efficienza.

No…

Da oggi includo nel pacchetto Povertà, Degrado, Tristezza, Abbandono e Incomprensione.

Da oggi, “Australia” è anche questo.

Erica, anzi Atmosferica.

Un vuoto che riempie.

Continua a leggere Un vuoto che riempie.

La frazione di tempo.

Abbiamo salutato la cittadella di Esperance il cui nome ha a che fare con la speranza. Tappa interessante, già programmata da tempo ma comunque imprevedibile.

Quel Pink Lake pieno di sale mi ha fatto parecchio effetto e riguardandomi nel video, o scorrendo le foto, mi sembra davvero assurdo quello che sto vedendo. I canguri ieri hanno lasciato un segno indelebile nei miei ricordi e quell’emozione me la sono gustata come la più buona leccornia mai mangiata in vita mia.

Tre giorni, il giusto tempo per godere di ogni bellezza di questo paese, uno degli ultimi prima del niente assoluto per chilometri. Migliaia di chilometri.

Prima di dormire, nelle mie ore di relax serale, mi ritrovo a guardare gli scatti della giornata e le immagini immortalate piene di colori e sogni. Non riesco a stare al passo. Faccio fatica a rendermi conto di ciò che sto vedendo, nel preciso istante in cui sto camminando su quella spiaggia, annusando il vento tra quelle rocce o ascoltando il mare da quel punto non protetto. Sto cercando dentro di me, di accorciare la frazione di tempo che intercorre tra il “vivere la realtà” e la successiva “realizzazione della realtà vissuta”, fino a farla scomparire.

È assurdo come mi venga difficile vivere l’istante stando al passo con la consapevolezza.

Ci sto lavorando e sicuramente scrivere mi aiuta a fissare in breve tempo quello che mi tocca, mi sconvolge e mi cambia. Lavoro ogni giorno per assaporare questo viaggio senza farmi sfuggire niente, nessuno sguardo, nessun profumo o rumore.

Dicono che percorrere queste lunghe strade infinite, sia monotono e “sempre uguale”. Beh, sarà che mi sto impegnando a captare ogni minimo cambiamento del paesaggio fuori e dentro me, ma vi assicuro che non è mai “sempre uguale”.
Vedo foreste bruciate, laghetti prosciugati dalla siccità e file di alberi che costeggiano la strada cambiando sempre forma e colore. Il terriccio è bianco, poi rosso e poi di nuovo bianco. Tratti di strada sono affiancati da rotaie infinitamente lunghe e dritte. Quel treno l’abbiamo ad un certo punto raggiunto, trasportava merci, camminava ad una velocità di circa 40 km/h e con un veloce calcolo dell’Ingegnere Avino, siamo arrivati alla conclusione che fosse lungo circa due chilometri. Sembrava non avere fine, fino a quando abbiamo raggiunto la testa gialla che trainava 400 carrozze arrugginite (numero ottenuto da un calcolo matematico approssimando a 5 metri la lunghezza media di ogni container).

PAZZESCO.

Vi sto scrivendo da Norseman, un piccolo centro abitato condito di poche case che paiono più che altro catapecchie. Dopo il niente più assoluto, vedere persone e vie abitate fa sempre piacere ma qui non percepisco nulla di vitale. Paese in degrado, vuoto, stanco e accaldato. Siamo a 200 chilometri da Esperance, fermi per una breve sosta dove la connessione è buona all’ombra di un grande albero che protegge Vando dal sole. Proseguiremo tra poco per altrettanti chilometri giungendo così alla destinazione fissata, ma che mantengo comunque segreta.


I nostri amici ci stanno per raggiungere. Stiamo aspettando due ragazzi inglesi che abbiamo conosciuto in campeggio durante la permanenza a Pemberton. Sarà divertente proseguire con loro e un’ottima occasione per parlare inglese e conoscere la loro amica e compagna di viaggio. Sono indietro di “qualche” chilometro ma sapete bene che qui le lunghe distanze non sono mai concepite tali e presto tenderanno allo ZERO. Molto presto.

Keep in touch.

Erica, anzi Atmosferica.

Vorrei dirle…

Albany ci saluta con un po’ di pioggia e un po’ di sole, con un po’ di gioia e un po’ di dolore. Abbiamo fatto bene ieri a decidere di posticipare di un giorno la partenza, non era una giornata da sprecare in viaggio.

Quella di oggi direi di sì.

Anzi, mi correggo. Non è che la giornata in viaggio sia sprecata, tutt’altro. È fantastico, rilassante se vissuto con la dovuta calma, divertente, introspettivo e sorprendente. Quello che intendo dire è che quando la temperatura è ottimale e il cielo blu, viene spontaneo optare per la spiaggia, una gita, una passeggiata o nel caso vostro, per una castagnata.

🙂

Ma ci sono ancora le castagne?

Mi piace pensarvi davanti al camino a mangiare bollenti burolle.

Salutiamo quindi Albany dopo tre giorni meravigliosi. Nulla è mancato. La pioggia e il sole, il freddo e il caldo, spiaggia paradisiaca e altissimi scogli a strapiombo, mare calmo e oceano impetuoso. Sosta fortemente consigliata a chi sia come noi in viaggio, nel Western Australia. La cittadella è atipica rispetto alle altre incontrate fino ad ora. È la seconda in ordine di grandezza, dopo Perth, offre vasta scelta di supermercati, paesaggi, campeggi ed è costruita tra colline e un grande golfo che pare un lago. C’è un centro commerciale, il McDonalds e centri estetici, pasticcerie, macellai e panifici, parrucchieri, negozi di vestiti e banche, rotonde, semafori e passaggi pedonali.

Una piccola città fornita.

Ieri sera, la telefonata su Skype con la mia famiglia mi ha fatto pensare. Con grande sorpresa sono riuscita a parlare anche con la Zia Angela, una fan super presente amante della scrittura. Mi ha fatto domande curiose portandomi a riflettere su aspetti della mia esperienza che non prendo mai in considerazione essendo immersa in questa realtà. Mi ha fatto realizzare il fatto che sto davvero per lasciare il Western Australia e, una volta raggiunta l’altra sponda della Grande Isola, vedrò da lontano questo Paradiso dell’Ovest esplorato minuziosamente insieme al mio compagno di viaggio Mattia.
Mi ha chiesto se sono pronta a trovarmi in città movimentate e ben più vive di quelle visitate fino ad ora.

Le ho detto di sì.

Sono curiosa di vedermi in una metropoli, in mezzo alla confusione e al traffico. Mi sentirò diversa e percepirò tutte le nuove sensazioni che può captare una persona che ha vissuto per mesi in aree deserte e silenziose con il minimo indispensabile in compagnia di poche, pochissime persone.

Mancano ancora giorni prima di avere delle risposte ma al momento opportuno, vi parlerò di come mi sentirò. Sarà bello!

Le mie dolci sorelle mi hanno fatto domande strane. Una di loro mi ha persino chiesto se uso lo shampoo per lavarmi i capelli. La questione mi ha fatto sorridere ma poi ho pensato che sia lecito sospettare che qui sia tutto strano, diverso, capovolto e inimmaginabile.

Beh, come ho detto a lei, uso lo shampoo come il bagnoschiuma. Compro tutto al supermercato e mi lavo in una normale doccia. Ammorbidisco la pelle con crema idratante e dopo una giornata al mare, mi rinfresco con un banale dopo-sole. La sera mi lavo i denti con lo spazzolino, indosso generalmente indumenti estivi o pantaloni lunghi e sciarpa quando fa freddo. Nel mio beauty non mancano la pinzetta per le sopracciglia e una piccola lima per le unghie, i vestiti li lavo a mano perché mi scoccia pagare quattro dollari per fare una lavatrice che non riuscirei mai a riempire. Mangio normalmente frutta, verdura, riso, pasta, carne, pesce e quando voglio strafare non manca la Nutella originale. Sì proprio quella lì.

Insomma, vorrei far capire alla mia dolce sorellina che siamo tanto lontane ma non ho abitudini tanto diverse dalle sue.

Sì ok…qualcosa da segnalare come atipico e inusuale c’è.

Dormo in un Van Mitsubishi, non ho un armadio per i vestiti e dei quadri appesi alle pareti. Non ho un divano e una televisione, non mangio una brioche alla crema da più di tre mesi e non posso sbaciucchiarla come vorrei dallo stesso giorno in cui ho mangiato l’ultimo cornetto al bar dell’aeroporto di Malpensa.
Non ho le coccole della mamma e del papà e non posso chiacchierare con le mie amiche come vorrei. Non posso mangiare una bella pizza con mozzarella di bufala e non esistono affettati. Non ho una vasca da bagno o uno smalto per le unghie, non posso cantare e ballare insieme a lei e non posso vederla crescere come vorrei.

Ok…

…ma vorrei dire alla mia sorellina che, se anche mi ritrovo ad avere abitudini strane, sono felice di vivere con l’essenziale senza sentire la mancanza di particolari benefit. Vorrei dirle anche che quando tornerò da lei, non sarò uguale a prima ma sarò migliore. Le porterò il regalo più strano comprato in un bizzarro negozio australiano e quando glielo consegnerò, le dirò che non vedevo l’ora di vedere il suo sorriso.

Nel frattempo, siamo in viaggio e Vando corre come un matto.

Erica, anzi Atmosferica.

Vivere il Presente.

La vera importanza del “Vivere il Presente” spesso sfugge divagando in pensieri appartenenti al passato o a situazioni mai vissute proiettate nel futuro e per questo idealizzate.

Un argomento difficile che richiede molta attenzione a chi, seguendo lo scorrere dei pensieri passivamente, non si sia mai chiesto dove sia giusto direzionarli per ottenere un umore più stabile e il benessere fisico.

Sapete, amici, è uno di quei giorni in cui seguo la testa viaggiare, ricordi poco piacevoli riaffiorano e l’immaginazione va a creare scene di un ipotetico futuro in cui mi vedo crescere e diventare Donna. Un senso di inevitabile impotenza mi fa sentire piccola trascinandomi in luoghi mai visti, spazi troppo grandi e in cima a grattacieli altissimi.

Un giorno di riposo e subito, appena mi sdraio, sento la mente rilassarsi e poi agitarsi, distendersi e poi accartocciarsi, cercando molti appigli con cui meglio potrebbe camminare, inventare, rielaborare e desiderare, proiettare e fuggire, sognare. Vorrei fermarla e chiederle una pausa, vorrei dirle di non correre troppo lontano perché ora non posso seguirla e devo stare qui, nel mio piccolo Presente Attimo.

Mi trovo in Australia, lontana da quello che, secondo la mia opinione, è il mondo reale fatto di sofferenza, fatica emotiva, delusione, gioia, obiettivi e motivazione, determinazione, tenacia, battaglia, guerra. Sono qui anche per cercare dentro di me quell’importante frazione di secondo, che si chiama Presente, dove è possibile trovare la pace e una chiara idea di chi sono e chi voglio essere, senza farmi travolgere dal senso di sofferenza legato a momenti vissuti nel passato e dal senso di ansia che proietta immagini nel mio futuro.

Sono queste le due sensazioni e stati emotivi che, a mio parere, ognuno dovrebbe combattere esercitandosi nel vivere a pieno il Presente, unico e irripetibile. Ci perdiamo facilmente, non è vero? Dando per scontato quel cielo che sta sopra la nostra testa, lo immaginiamo di un colore quando invece è di un altro. Guardando una foresta, la interpretiamo come un ammasso di alberi ma mai come un’altruista creazione che unisce e tiene insieme.
Scivolando tra le acque di un fiume, ci sentiamo freschi e bagnati senza pensare alla lunga strada percorsa sognando un giorno, di tuffarsi nel mare.
Ascoltando una canzone, cerchiamo di imparare suoni e parole, non pensando all’arte di quel musicista o compositore.

Non andiamo mai oltre in ciò che viviamo. Non vediamo null’altro se non quel che guardiamo. Non sentiamo null’altro se non quel che ascoltiamo. Non riflettiamo su ciò che si nasconde sotto un inaspettato Ti Amo.

Siamo paralizzati nei pensieri passati, nelle finte proiezioni future senza provare nemmeno per un attimo a scavare nella terra sotto ai nostri piedi,

ora,

adesso.

Mi viene in mente quindi un esercizio che mi ha sempre consigliato il mio Papà. Concentrarsi nel respiro e nelle sensazioni che questo provoca al nostro corpo, ascoltarlo e seguirlo, è la tecnica migliore per concentrarsi sul Presente. Solo quando riuscite a liberare del tutto la mente, vi sentirete più leggeri vedendo con occhi nuovi la realtà che vi circonda. Inspirate con il naso come se i vostri polmoni siano una brocca d’acqua. Riempitela partendo dal fondo e arrivate fino all’orlo. Proprio quando sta per strabordare, è il momento di farla uscire, piano piano, fino a svuotare.
Vi assicuro che funziona, io lo faccio sempre anche solo per un minuto al giorno e la sensazione che dona è appagante, garantita.

Non sono una professionista, non sono qui per insegnare ma per condividere con voi ciò che mi rende meno pesante quando la testa condiziona il benessere. Non sono una maestra ma una studentessa, sono chiamata alla lavagna perché interrogata dalla Vita.

Non aspiro a grandi voti, voglio risolvere solo questa difficile equazione che deve dare un risultato di uguaglianza e nulla di più, lo faccio con voi perché l’unione fa la forza.

Con emozione, vi trascrivo di seguito le parole scritte da Elisabeth Gilbert, nel libro che come sapete mi accompagna nel mio Presente.

Erica, anzi Atmosferica.


“Quando chiedo alla mia mente di restare immobile, è incredibile come diventi subito 1) annoiata, 2) irritata, 3) depressa, 4) ansiosa o 5) tutte e quattro le cose insieme.
Come la maggior parte degli umanoidi, sono oppressa da quella che i buddhisti chiamano <<scimmia mentale>> – i pensieri che dondolano da un ramo all’altro, fermandosi solo per grattarsi, sputare e ululare. Dal lontano passato al futuro imperscrutabile, la mia mente oscilla senza sosta, soffermandosi su decine e decine di idee al minuto, indisciplinata e fuori controllo. Di per sé non sarebbe grave, il problema è la tensione emotiva che si accompagna al pensare. I pensieri felici mi rendono felice, ma – oplà! – ecco che con un salto vado a finire in un pensiero angosciante, che mi rovina il buon umore; oppure è il ricordo di un momento di rabbia che mi irrita, così mi scaldo e mi saltano i nervi, o ancora la mia mente decide che è il momento giusto per commiserarsi, ed ecco puntualissimo il senso di solitudine. Dopotutto, tu sei quello che pensi. Le tue emozioni sono schiave dei tuoi pensieri, e tu sei schiavo delle tue emozioni.
L’altro problema di questo continuo dondolarsi sulle liane della mente è che tu non sei mai dove sei. Stai sempre scavando nel passato, o indagando nel futuro, ma raramente sei fermo nell’attimo presente.”

“Mangia, prega, ama” – Elisabeth Gilbert

Tre mesi.

Si chiude il terzo e si apre il quarto.

Come ormai da tradizione, mi trovo il dodici di ogni mese a fare una bella riflessione insieme a voi.

La frase che ho sentito un miliardo di volte prima di partire, è stata:

“Che bella esperienza che stai per fare! Vedrai posti magnifici e conoscerai tante persone!

Partendo dal presupposto che ho intrapreso questo viaggio per conoscere prima di tutto me stessa, ho incontrato tante facce sì, ma pochi volti.

Pochissime anime disposte ad aprirsi a me e altrettante che mi hanno spinto a fare lo stesso. Un atteggiamento sempre solare ma riservato mi ha portato a interagire con molti ma a farmi conoscere da pochi. Credo che uno qualsiasi di voi che stia leggendo dal primo giorno i miei pensieri, mi conosca meglio delle centinaia di persone incontrate lungo la strada.

Poche hanno lasciato il segno, poche mi hanno incuriosita e a pochissime ho dedicato del tempo, prezioso. In parecchie circostanze ho preferito isolarmi, cercare punti di fuga e di sfogo solitari, ho ritenuto opportuno dedicare del tempo soprattutto a me stessa, cosa che in Italia non avevo mai fatto con la dovuta calma.

Ho imparato a selezionare e a non fidarmi troppo, ho scelto compagni di esperienza, casa e viaggio con l’istinto e fino ad ora, è stato un giusto stratagemma.

In Jason ho trovato un maturo appoggio, un’inaspettata accoglienza e, ad oggi, so di poter contare su di lui anche ora che sono lontana da Perth. Un giorno potrò magari ricambiare il favore facendogli da guida e consigliera, se deciderà di visitare il meraviglioso Stivale.

In Mattia ho trovato un compagno di viaggio all’altezza dei miei sogni e delle mia idea di Australia. È comprensivo, asseconda le mie pazzie con testa, si diverte con le mie battute e mi lascia nei miei lunghi e solitari silenzi. Inevitabili battibecchi sono all’ordine del giorno ma gestiamo tutto con leggerezza, consapevoli del fatto che tra qualche anno questo sarà un ricordo da brivido. Il viaggio.
Non so quanto cammino condividerò ancora con lui, non farò altro che ascoltare la vocina interiore seguendo le sue direttive. Fino ad ora lei dice che va tutto bene e che sto facendo la cosa giusta ma non si sa mai, forse un giorno vorrò proseguire da sola.
Sono davvero una peperina ma lui lo sa e si diverte tanto.

Qui a Pemberton, due anime mi hanno permesso di liberare la mia personalità e il mio carattere travolgente. So per certo di non essere una persona facile e posso risultare troppo aperta per chi è troppo chiuso, o troppo felice per chi ama la propria tristezza.
Sono arrivata alla conclusione che sono per pochi. Pochissimi.

In Matteo ho trovato complicità e amicizia, confidenza e comprensione, maturità e riflessione. Abbiamo parlato di aspetti della vita prendendo spunto da fatti accaduti o trame di film visti e non visti. Mi stupisce con le sue citazioni, con la sua curiosità e voglia di evadere pur sentendosi bene in compagnia. Mi sono trovata con lui a parlare in riva a un lago e a guardare un film sul tetto di un treno abbandonato. Non scherzo.

In Stefania, infine, ho trovato una neo-zia amante della vita. Occhioni grandi ed espressivi che quando parlo mi risucchiano l’anima. Ci prendiamo i nostri momenti di chiacchiera e confidenza da Donna a Donna. Ci stiamo conoscendo e i suoi racconti mi portano in altre dimensioni. Poche volte mi è successo prima. Ama l’amore, la famiglia e la moda. Una gita a Trento, sarà d’obbligo al mio ritorno.

Ecco, quindi, a voi chi mi ha lasciato del bello, regalato del buono e ascoltato nel giusto modo e momento. Le figure maschili sono in netta maggioranza questo perché le donne probabilmente fanno più fatica ad avvicinarsi a me e alla mia esuberanza. Sono più scontrose e, al primo impatto, possono sicuramente pensare che un po’ vanitosa lo sono. La cosa buffa è che in Italia accade il contrario, ho molte amiche che si lamentano della mia assenza chiedendo disperatamente il mio ritorno. Loro hanno imparato a conoscermi negli anni e so che se dovessero descrivermi, mi paragonerebbero ad una rossa scatola di cioccolatini al latte: estremamente dolce, presente nel momento del bisogno, giusta per ogni occasione, dura fuori ma cremosa dentro.

Beh, ragazze mie,

sono una Donna,

non una Santa…

…proprio come voi.

Erica, anzi Atmosferica al latte.


Tanti auguri Francesca. Ti mando un dolce pensiero in questo giorno speciale, di sole. Fatti coccolare dalle onde e lasciati andare, un po’ come un marinaio che naviga in mare. Sii sempre padrona della tua barca e punta dritto all’orizzonte dove niente ti può ostacolare ma solo, magari, un temporale che passerà perché poi uscirà il sole.

Ti voglio bene amica mia.

Non sottovalutare mai la tua potenza.

❤️

Luce e oscurità.

Continua a leggere Luce e oscurità.

Dovevo parlare.

Quel senso di insofferenza di cui vi ho già parlato, mi ha accompagnato fino al mare. Continuava ad insistere in me una brutta sensazione tanto che, il telefono ha deciso bene di non cercare connessione.

Dovevo pensare, riflettere ed elaborare. Mi sono concentrata sulle onde e poi sull’orizzonte. Continuavo a parlare ma non mi sentivo abbastanza e mentre stavo lì, tirata da quella forza, la voce è diventata alta.

Parlavo a me stessa come se fossi la mia amica del cuore, chiedendomi per favore di sfogare e nel caso di urlare. Ho visto una razza e poi dei gabbiani volare, ingolositi da miele e cereale.

Lanciavo a loro qualche briciola, il mare si stava arrabbiando.

No scusa, non volevo sorvolare.. Ora ti parlo.

Dammi solo un attimo, un momento.

Le alghe erano marrone chiaro, uno strano colore e una strana forma difficile da descrivere, identificare. Sembrava corallo spezzato oppure un tronco di un albero annacquato…
Era davvero singolare ma ancora dovevo parlare.

Sono tornata alla riva, stavo in piedi nella sabbia infossata, l’acqua mossa era insabbiata e non vedevo il fondo, non volevo nuotare. Che paura, non ero rilassata e poi, dovevo parlare. La testa mi scoppiava, il caldo mi abbatteva ma l’acqua fresca non bastava.

Il mio amico e compagno di viaggio, mi guardava da lontano. Mattia avrebbe voluto sciogliere i nodi e così si è avvicinato. Ero chiusa, scontrosa e una sola parola di troppo mi avrebbe fatto scattare, scoppiare.

Così è accaduto ma lui è stato bravo. Il problema di fondo chiedeva un dialogo maturo, un diretto confronto, senza nessun girotondo! Uno scontro ragionato, guarisce ogni male e dissolve ogni dubbio perché sì, l’importante è parlare. Mi ha fatto domande mirate, non potevo scappare! Erano lì nitide e chiare, finalmente dovevo chiarire. Gli ho parlato di quel che sentivo, di quel che mi bloccava e mi schiacciava. Il mio problema è sempre lo stesso da tempo con ogni persona che incontro. Ho il brutto vizio di voler aiutare, addossandomi a volte altrui preoccupazioni o problematiche irrisolte. Devo dare anche a chi non chiede e devo essere sempre forte, per me e per altri. Voglio essere più egoista, soprattutto in questo viaggio. Voglio seguire il mio istinto con la certezza che potrebbe essere nient’altro che un vantaggio.

Pochi minuti di magone e poi il sollievo nel cuore…

Finalmente, più nessun rancore.

Erica, anzi Atmosferica.

Fato e Libero Arbitrio.

Buongiorno lettori e nuovi amici!

Mi sono appena ritagliata il mio angolo arieggiato per scrivervi. Sono le undici di mattina e il sole è abbastanza caldo come non lo era da qualche giorno. Mi trovo in campeggio, la mia attuale casa a Pemberton, seduta sulla famosa sedia in plastica bianca, all’ombra di un albero. Qualcuno di voi, che mi segue con constanza, si starà chiedendo:

“Ma non dovevi andare a Perth?”

🙂

Esatto! Sarei dovuta andare in città ieri dopo il lavoro ma, dopo dieci ore e mezza ad imballare Avocados, ci ho rinunciato. La vocina interiore, con la quale sto instaurando un’amicizia profonda, mi ha chiesto di non andare e di evitare un viaggio di quasi quattro ore quando ormai stava calando la sera. Me l’ha chiesto gentilmente e non ha dovuto nemmeno insistere. L’ho ascoltata senza fare storie e senza indecisione.

Sono quindi rimasta con Mattia nella frazione Little Italy del campeggio dove, una decina di tende vuote, si godono la quiete. I nostri compagni di quartiere sono partiti ieri nel pomeriggio, lasciando le loro abitazioni incustodite.

“Tranquilli, è tutto sotto controllo!”

Oggi, un senso di insofferenza mi schiaccia il petto e sto cercando di comprenderlo ed assecondarlo. Avevo il desiderio di rivedere Jason, Paolo e Gianpi. Dovreste ricordare i tanti aneddoti che li hanno visti protagonisti nelle mia permanenza a Perth. Beh, sto forse rendendomi conto che non li rivedrò più per davvero e che quest’occasione che il destino mi aveva servito su un piatto d’argento, è ormai persa. Il Fato ha fatto una proposta, il Libero Arbitrio l’ha rifiutata.

Ecco, forse la causa della mia insofferenza l’abbiamo scoperta insieme.

Che ne dite?

Cascasse il mondo, domani andrò a tuffarmi nell’oceano. Ho bisogno di bagnarmi con acqua salata e liberarmi nell’infinito dell’orizzonte. Caspita è diventato difficile stare lontano dal mare. Voglio vedere pesci, barche e gabbiani. Sarà bello.

Vi riscrivo qui di seguito le parole di Elisabeth Gilbert che ho letto ieri sera. Tutto torna ed è impressionante come il suo libro mi stia accompagnando in ogni stato d’animo. Mi propone la riflessione che sto cercando, mi spiega tutto con bellissime metafore e risponde a tante domande.

Buona lettura e buona domenica!

Erica, anzi Atmosferica.


“Anche il destino per me, va considerato come un rapporto tra due parti – un gioco di equilibrio fra grazia divina e forza di volontà. Ciascuno ha il controllo di una metà del proprio destino; quella metà è nelle sue mani, e le sue azioni avranno conseguenze misurabili. L’essere umano non è una marionetta in mano agli dei, né è completamente artefice del proprio destino; è un po’ le due cose insieme. Siamo come acrobati in bilico tra due cavalli che corrono fianco a fianco – un piede sul cavallo chiamato Fato, l’altro sul cavallo chiamato Libero Arbitrio. E la domanda che dobbiamo porci ogni giorno è: qual è l’uno e qual è l’altro? Di quale cavallo devo smettere di preoccuparmi, perchè comunque non è controllabile, e su quale devo concentrarmi, per dirigermi verso la meta?

Quello che voglio dire è che, mentre molte cose del mio destino sono imperscrutabili, ce ne sono altre sotto la mia giurisdizione. Ci sono biglietti della lotteria che posso comprare per aumentare le possibilità di vittoria. Posso decidere come passare il tempo, con chi interagire, con chi condividere il mio corpo, la mia vita, i miei soldi e la mia energia. Posso scegliere le parole e il tono di voce con cui parlo con gli altri. Posso decidere come valutare le circostanze sfortunate della mia vita – se vederle come maledizioni o come opportunità. E, soprattutto, posso scegliere i miei pensieri.”

“Mangia, prega, ama” – Elisabeth Gilbert

Due scarpe appese.

Incuriosita e sorpresa, ho digitato su google queste parole:

“Scarpe appese fili corrente”

Ho scoperto che dietro a questo fenomeno, si nasconde un’arte, una storia, un racconto.

Lo “shoefiti”, racchiude in sè l’unione di due parole ovvero “shoe” (scarpa) e “fiti” (graffiti). Come potete apprendere, l’etimologia della parola spiega già molto. L’iniziativa ribelle di lanciare le scarpe legate da un laccio verso il cielo, nasce per la prima volta negli Stati Uniti e si diffonde poi in tutto il mondo.

Anche qui, a Pemberton, nel Western Australia, un signore che portava ai piedi scarponcini marroni da lavoro, ha deciso un giorno di liberarsene. Magari l’ha fatto per festeggiare un evento particolare, un nuovo lavoro o il matrimonio, magari per rendere nota a tutti una sua cattiva intenzione.

Dietro a due scarpe appese ai fili dell’alta tensione, si celano decine di leggende metropolitane che parlano di fatti positivi come avvenimenti importanti e nuove scoperte, come di spiegazioni raccapriccianti legate alla droga o a segnali in codice per ladri e malviventi.

Come sempre però, voglio viaggiare liberamente dando, a quel che ho visto e che noto ogni giorno camminando sulla strada, una motivazione tutta mia. Non mi interessano le teorie inventate nel corso degli anni perché tali rimarranno senza mai permettermi di sapere se quella vera è una, qualcuna o nessuna.

Era un uomo, sulla cinquantina.
Aveva lottato tutto il giorno contro il caldo infernale e contro quel sole che batteva sulle sue spalle, in quel campo immenso pieno di mucche rinchiuse a pascolare.
Sentiva i piedi caldi e costretti, chiusi e sudati. Avrebbe voluto toglierle quelle scarpe, avrebbe voluto sentire l’erba solleticare.

Quella sera, una strada in salita lo portava a casa e sentiva la sua vita scorrere sotto quel tocco rigido di passi veloci e stanchi.
L’asfalto emanava il caldo assorbito in una giornata e lui ancora pensava, pensava ma non agiva.

Visti i cavi dell’alta corrente, ha deciso bene di agire. Un filo alto nel cielo, avrebbe potuto liberarlo per sempre da quella sensazione di costrizione. Ha levato le scarpe dai piedi, con un laccio ha fatto due nodi. Le ha lanciate, urlando di gioia e finalmente si è sentito potente, quasi un mago, sorprendente.

Ha scelto il punto più alto e visibile a tutti. Un equilibrio impossibile ma realizzabile. Tutti quelli del Paese le avrebbero viste e avrebbero pensato…

“Pensa te, quel pazzo trasandato..”

Voleva farsi vedere tenendosi nascosto, liberarsi in alto e non buttarle in fondo ad un fosso.

Sono rimaste lì per anni, e resteranno lì per altrettanti. Ogni giorno, quell’uomo sulla cinquantina va a lavorare nei campi ricordandosi sempre di quei pensieri emozionanti. La libertà prima di tutto, poi il lavoro. Il solletico dell’erbetta fresca sotto ia piedi e il calore dell’asfalto sono ogni giorno per lui i due rimedi, dei magici antidoti o come dire, i suoi amici veri.

Io quell’uomo l’ho forse visto, e forse l’ho pure conosciuto. Chi lo può sapere. Ogni giorno è buono per poterlo incontrare.

Non avrei molte cose da dirgli se non…

“Complimenti Professore, da quelle scarpe appese, apprendo che avrebbe molto da insegnare!”

Erica, anzi Atmosferica.