E chi l’avrebbe detto mai…

In questa domenica di luci e Pandoro, riso giallo e thè caldo, provo a scrivere di Brescia.
Dico “provo” perché non è semplice parlare di una città mai vista e incontrata per caso o per fortuna, grazie ad una persona indelebile. Come una stampa a caldo nel cuore.

E chi l’avrebbe detto.

Posso dire con certezza che se non fossi andata in Australia, se non avessi conosciuto Mattia, probabilmente questa gita fuori porta sarebbe stata rimandata. Rimandata a non so quando, forse a mai. Sono queste le conoscenze che la vita ti porta a fare, ti devia su altre strade nei suoi premeditati giri senza fine.

“Grazie del giro, vita!”

Se hai seguito le mie vicessitudini, il suo nome non dovrebbe esserti nuovo.
Mattia, l’Ingegnere, il mio compagno di viaggio per un lungo periodo senza frontiere. Lungo quanto non lo so, non riesco a quantificarlo in giorni e parole.
Diciamo che è stato.
Punto.
Non si può dare un banale numero ad una tale meraviglia piena di improvvisi soffi al cuore, incredibili visioni, canzoni cantate e ora riascoltate.
Dico sul serio.
Tutto ha avuto tra noi un filo conduttore, un odore e un sapore.
Ogni tanto tornano all’improvviso.
Prima di dormire, mentre sorseggio un caffè o quando mi soffermo ad osservare qualcosa.
Qualcuno senza nome.

La classica immagine a cui penso racconta di quando Mattia era alla guida di Vando mentre io guidavo i miei pensieri e le mie scritture. Lui mi guardava chiaramente o con la coda dell’occhio, capiva i miei giri e io cantavo a squarciagola. Lui lo faceva in maniera composta.
Figuriamoci.
Io ridevo sempre, lui mi guardava sorridendo a volte solo con gli occhi.
Io ridevo ancora di più quando lui non rideva e ridevo ancora e ancora di più quando lui capiva e taceva.

Proprio come quel giorno a Brescia,
la sua città.

Una giornata intensa che ancora adesso non ho metabolizzato del tutto.
È passata più di una settimana.
Forse due, anzi tre.
Tante persone, le sue, e tanti ricordi, i nostri.
Una città nuova, la città di Mattia.
Un susseguirsi di incontri, intervallati da una lunga passeggiata per le viuzze e le piazze, per quelle immagini nebbiose piene di fascino e soffusa luce.
La luce della sera.
Già natalizia.
Meravigliosa.
Da Piazza Vittoria a Piazza Della Loggia, Dal Duomo fino al Tempio Capitolino, dalla Piazza del Mercato fino a lassù…
…al Castello fatato.

Le città di sera sono sempre più belle.

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img_4928Brescia non è da sottovalutare, è piena di arte e mistero, di sorprese e citazioni appese ai muri, ai tetti delle case, nei nomi delle vie e delle cose.
È particolare nella sua disposizione, banalmente costruita su quattro piazze ognuna speciale.
Giravamo in tondo quel giorno, con la nebbia che faceva da sfondo.

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Mattia faceva da Cicerone ma sono certa che qualcosina l’abbiamo scoperta insieme, proprio come nei nostri viaggi. Solo nostri.
Sono felice di aver passeggiato con lui e con quell’anima da viaggiatore precisino che l’ha sempre contraddistinto.
A volte l’ho odiato, confesso.
Ma lui non era sbagliato.
Per i miei gusti, però, era troppo quadrato, preciso, fermo nel suo pensiero.
Uh, che nervoso.
È successo che questo suo lato non l’abbia sopportato ma a Brescia, tutto è andato liscio.
Brescia parlava tra le strade silenziose, mi bagnava i capelli di rugiada e vapore. Se ha deciso di farsi trovare così, lo ha fatto per farmi quella bella impressione lì.
È vanitosa, l’ho conosciuta.
Te lo posso assicurare.

Mi piace l’idea di scoprirmi viaggiatrice anche tra le vie di una città vicina, a pochi chilometri da casa. Dalla mia.
Ero a tratti silenziosa, a tratti piena di entusiasmo. Ero stranita e stupita dal tempo.
“Poco fa ero in Australia, ma come…sono già qua?”
Seguivo un percorso, quello che ovunque nel mondo è necessario seguire per non perdere fiato. Per evitare l’affanno e per vivere al meglio il momento.

Ho ricordato con Mattia le zanzare spiaccicate sul tetto di Vando, abbiamo sdrammatizzato sulle difficoltà incontrate e raccontato strani episodi, strane persone.
Quante storie, tante, troppe!
Per non parlare delle risate. Il tonno e il mais, le crisi di panico e il vento fortissimo, il sole bollente, la schiena dolorante, l’oceano potente.
Quanti cassetti che abbiamo riempito, quante le foto che abbiamo scattato.

Brescia mi ha fatto capire che nella vita tutto è possibile e che a volte, a quella città ti viene da pensare, ti viene da volerci tornare perché è la casa di qualcuno che ha viaggiato con te e abita il tuo cuore.

Thank you Mat.

🙂

Erica, anzi Atmosferica.

Sydney, il mio film.

Vedo Sydney in tutta la sua possenza, la vedo che scorre tra le immagini veloci di un film.
Non posso fare altro che schiacciare il pulsante “STOP” e osservare, rivivere quella scena insieme ai due attori che giocano con un pallone, lì nel perfetto verde del Royal Botanic Garden.

Un giardino, un parco, un museo di natura parcheggiato ai piedi della città ed affacciato sul mare, sulla baia.
Era infinito e pieno di stradine. Alle radici delle piante un piccolo cartellino diceva il nome e una descrizione. Beh, un giardino botanico, appunto.

Guardando queste immagini veloci, rivivo per un momento le mie passeggiate e sento ancora il profumo dei fiori. Ricordo che durante il mio periodo a Sydney la temperatura era gradevole e quel pomeriggio il sole splendeva alto nel suo cielo sempre immenso.
Dico “quel pomeriggio” perché sì, solo una volta decisi di spingermi a passeggiare tra le piante e le fontanelle di quel parco.
Quel giorno avevo bisogno di ossigeno e aria, quella che non riuscivo a respirare tra i grattacieli che fanno da sfondo. Avevo bisogno di svagare e liberare i pensieri, in giornate in cui tutto sembrava ovattato.

Li vedi i palazzi?

Beh, sembrano nuovi, moderni, quasi dorati.
Non trovi?
Si vede la torre più alta di Sydney, ci sono salita. Girava in continuazione su 360 gradi e lassù, in cima, c’era un ristorante. Tu stavi seduto al tavolo e nel frattempo giravi per la città. Una vera figata.

Pensando a Sydney ritorna il profumo di casa e il pensiero di quelle molle nel materasso che a volte non mi lasciavano dormire. La moquette tanto odiata tappezzava tutte le stanze della casa e quella vista su Darling Harbour ogni sera aveva una luce diversa. La ricordi? Che tramonti, che colori. Ho visto anche qualche alba. Ritorno alle serate con gli amici e alle mattinate a spalmare marmellata su croccanti fette di pane. Quanti ricordi, tutti qui nel cuore.

Guardando queste scene mi sento ancora lì e mi ritengo fortunata. Ho avuto un’idea geniale nel decidere di fermarmi a Sydney per qualche mese, l’ho studiata e vissuta in un momento che ad oggi rivivo come quello “giusto”.
Sto realizzando ora, Sydney…cara.

L’Opera House che simboleggia la città, il vento tagliente e le nuvole sempre troppo bianche.
Io lì ci sono stata.
Io lì ho vissuto.
Vorrei quasi quasi bucare lo schermo e dire a quegli attori che lo so bene dove stanno giocando. Mi sento lì con loro e la sensazione è stranissima.

“Ehi belli, ci sono anche io! Passatemi la palla!”

Ricordo come Sydney mi ha fatta sprofondare in solitudini, mancanze, sofferenze e domande senza risposte. Per non parlare delle malinconie, ora del tutto saziate, guarite. Ricordo quando mi guidava in lunghe passeggiate che seguivo con piacere anche dopo ore di lavoro e con le vesciche ai piedi. Mi faceva incontrare persone e artisti di strada, mi regalava emozioni uniche che non posso spiegare a parole ma posso solo rivivere, annusare.
Sorridere.
Che immenso piacere.

In momenti come questi mi sento piena di esperienza e vita, quei mesi di vita in quella città, sono stati estremamente forti, vivi, difficili e affollati. Ho vissuto normalmente ma forse di normale non c’è stato proprio niente. Ho messo in discussione la mia persona, la mia crescita e la voglia di conoscere ogni mia singola cellula.
Sydney è stata all’altezza ed è stata forte abbastanza.

Sydney si è fatta spesso odiare ma ora, la guardo attraverso questo maledetto schermo con grande ed immenso amore.

Un giorno, presto o tardi che sia, mi vedrà tornare.

Buonanotte Italia, ora vado a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Nuovo Articolo”

Quando seguo la mia mano e l’ispirazione, vado a cliccare quel bottone che dice “Nuovo Articolo” e capita, come oggi, che io inizi a scrivere solo per il piacere di farlo, per la curiosità di vedere che ne viene fuori.

È divertente, è una scommessa, una prova e una sorpresa. Quanti pensieri stanno lì senza essere ascoltati, quanti desideri rimandati e quanti piccoli sogni nascosti dietro a quelli più grandi.
Quando scrivo, questo non può accadere, seguo le mie mani e ogni tasto schiacciato aiuta a pensare al presente, alla piccola azione che il corpo svolge “qui ed ora”. La scrittura è la mia psicologa, la mia più intima confidente e, ogni tanto, sento il bisogno di parlarle.

Sono giorni difficili, molto difficili.

Lo dico e lo ammetto perché non scappo da una sensazione di malessere e insoddisfazione, di insofferenza ed energia incostante.
Sto provando ad ascoltarmi, senza buttarmi giù. Sto cercando la pazienza in ogni angolo delle mie giornate, dove mi trovo a girovagare senza uno scopo ma per un motivo.

La realizzazione dei miei sogni.

La consapevolezza del mio potere.

La continua spinta che mai deve mancare.

Sono determinata in questo, più che mai.

Mi sono ripromessa che devo rendere ogni giorno speciale e degno di essere chiamato “vita”. Il proposito che deve realizzarsi nelle ventiquattro ore è molto semplice:

“Ogni giorno deve succedere qualcosa.”

E se non succede?

Beh, devo farlo succedere io.

Una e-mail, una chiamata, un messaggio, una cena che porta un buon messaggio, un sapore nuovo o un pianto isterico, una grassa risata o un incontro inaspettato, un nuovo taglio di capelli o, che ne so, un’idea nuova di vita e sogno.

Una bella emozione che mi faccia pensare:
“Oh, questa è vita!”

Deve accadere quel qualcosa, devo essere soddisfatta della mia giornata di ricerca, l’ennesima.

Non arriva subito ciò che chiediamo, non bisogna aver fretta. Probabilmente è necessario affrontare situazioni e cogliere occasioni, prima di arrivare lì, dove sarebbe bello arrivare.

I grandi atleti, prima di vincere si impegnano in estenuanti allenamenti, i bravi medici, prima di salvare vite studiano per lunghi anni. Non serve solo impegno ma anche vocazione, serve la chiamata che faccia da luce, motivazione, grinta, passione.

Nel frattempo, mi impegno affinché ogni giorno sia un prezioso ricordo del domani, un pezzo del mio percorso e un insegnamento da custodire.

Solo così, ce la potrò fare.

Io ci credo e continuo a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Qualcosa che non c’è.”

Quando scrivo ho bisogno di sintonizzarmi sulla giusta frequenza.
È come se le mie parole, andassero ad incastrarsi, accordarsi perfettamente al ritmo del mio cuore, e del tuo.
Non penso ci siano altri modi per spiegare.
Riesco a esprimere i miei alti e bassi, solo quando riesco a seguirli e a posizionarli nelle frequenze della scrittura.
Anche lei ha un ritmo, il mio.

Difficile da capire?

Per te nulla è difficile.

Potrei spiegarti che se ti piace leggere ciò che scrivo, significa che siamo sintonizzati sullo stesso canale. Riusciamo a parlare la stessa lingua o, meglio, sei in grado di capire la mia.
Mi permetto quindi, di continuare senza facilitazioni.
Sei forte!

Pensa che succede anche che io vada a rileggere pezzi scritti da me, dalla mia mente, e mi trovo sorpresa da tutti quei giri strani che non mi sembra nemmeno di percorrere tra i pensieri.
Viaggi di riflessioni lunghe e contorte che spesso vanno perse.
Chissà dove.
Tra la scrittura, invece, nulla sfugge.
Nulla passa inosservato.
Non esiste il “non detto”.
Non esistono paure, non sono ammesse mancanze di coraggio o sincerità verso se stessi.

Non c’è spazio per le esitazioni.

Non scrivo da parecchio.

Succede che ti incontro per strada e ricevo da te buoni riscontri, mi dici che spesso vai a controllare se ho pubblicato “Qualcosa”, mi fai sentire che i miei messaggi ti sono arrivati e che mi apprezzi per quel che sono riuscita a comunicarti. Anche io apprezzo te.
Mi dici che dovrei scrivere un libro (GRAZIE!!), che sono migliorata nel tempo e che non devo fermarmi.
Non posso fermarmi.
Non mi nascondi una lacrima di commozione, mi confidi che ti sono stata di aiuto in brutti momenti o che ti ho fatto viaggiare stando fermo quando anche tu eri curioso di farlo o quando avevi bisogno di scappare, riflettere, cambiare.

Per questo vorrei ringraziarti e dirti che ogni volta che sento il nome “Atmosferica” uscire dalla tua bocca, il cuore si commuove e collego tutto a quello, a questa raccolta di parole che forse solo parole non sono state.
Molto di più.
È assurdo come sia riuscita a parlare con te, senza nemmeno immaginare che tu leggessi veramente.
Tu, la mia compagna di banco delle elementari.
Tu, la ex-fidanzata del mio ex-fidanzato.
Tu, che credevo di starti sulle palle.
Tu, che mi hai scritto calde confidenze durante una gelida notte d’inverno.
Tu, che mai avrei pensato di ricevere un “Grazie” da te.

Questa è una figata pazzesca, grazie alle parole ho mantenuto neutralità e spontaneità, ho viaggiato insieme a te senza mai sentire il tuo peso o l’ingombro del tuo bagaglio.

Beh…

Grazie a te.

Oggi ti scrivo per dirti che se quel “Qualcosa” sta mancando da tempo, è solo per il fatto che sto cercando la mia frequenza nel mondo.
Sto crescendo, mi sto evolvendo.
Sto seguendo i miei battiti, sto lavorando su continui sali-scendi di emozioni, oggi le energie ci sono, domani forse saranno un po’ meno.
Devo preservarle e distribuirle in maniera intelligente.
Ogni giorno è una scommessa.
Ogni attimo è una ricerca.

Non è semplice tornare, non è un cambiamento facile da affrontare.
Non è mai finita.

Non mi sentirò mai tornata del tutto, fino a quando non realizzerò pienamente quel che è stato.
Che ho fatto?
Dove sono andata?
A volte mi sento
mai tornata,
altre,
mai partita.
Vedo cose uguali, altre cambiate e distanti anni-luce da ciò che sono.
Sono diventata.

In questi giorni mi succede di addormentarmi viaggiando nei colori australiani, parlando con amici di viaggio o osservando la vita a Sydney. Passeggio tra la natura, ascolto il rumore del mare pucciando i piedi a riva, guardo il cielo e il solito gabbiano.
Mi risveglio pensando che sono qui, nel letto di casa che non è ancora comodo come un tempo.
Che strano.

Per questo volevo scriverti oggi.

Scriverò,
mai fermerò queste mani.

Sto semplicemente tornando.
Sto decidendo come proseguire il mio viaggio, anche se, sto lasciando potere alla vita.
Solo lei ha la capacità di creare e distruggere, di unire e separare.

L’universo.

La scrittura sarebbe una lente di ingrandimento, un’analisi dettagliata di una fase che ora deve scorrere liscia senza subire rallentamenti.

C’è scritto: “NON DISTURBARE”

Sto seguendo il corso delle cose e questo non mi permette di trovare la giusta frequenza per quel “Qualcosa” che, come dice Elisa, ora “non c’è”.

Erica, anzi Atmosferica.


Elisa – “Qualcosa che non c’è”

Coraggio in Provenza.

Ascolto progetti futuri e partecipo a discorsi di lavoro. Vedo persone cresciute ed amici mai stati amici. Sprofondo in perdute certezze che un tempo sembravano tutto e galleggio tra le acque del mare che con il sale purifica il corpo.
Non so se quella troppo diversa è una Erica cambiata, non capisco se è lei a doversi adattare ad una vita sregolata.

Io sono fatta di pensieri e parole, poco alchool e tanto cuore. Sono ricca di occhi e sguardi, consigli e appoggi, connessione e traguardi. Non sono un conto in banca o una macchina veloce, non sono fatta di master o monologhi lobotomizzanti lunghi ore ed ore. Sono luce e novità, forza, anima e controllo, voglia di scoperta che vuole arrivare al fondo.

Qui in Francia ho un balcone, vedo il mondo da un punto alto che mi espone al mare e allo scoglio, rosso. Sono felice di vedere questo, arricchisco le mie idee per il prossimo anno, non mi lascio travolgere dall’ignoto e mantengo mio il centro, il nodo, lo slancio.
La Provenza è color mattone, calda come un maglione, offre spunti di riflessione o semplicemente scorci, prati verdi e vele di aquilone.
Sono sicura che tutto andrà bene, sono presente e vivo in costante osservazione di gente, la mente.

Quante strade strambe potrei prendere, quante storie assurde arrivano puntualmente. Ascolto, penso, ragiono e cerco la via migliore.
Non voglio quella più facile, non voglio essere semplice ma voglio crescere senza limitazione.

Non voglio fare paragoni, non costrizioni.

Viaggi di anima e deserto, fanno oggi da lente di ingrandimento, eliminano il superfluo e scavano fino al nocciolo. Non mi interessa più ridere in sere nere, non sono più ambasciatore e conservo con cura la mia sicurezza personale.
Non faccio regali a caso, non sorrido senza motivi ma canto a squarciagola se mi pare sia il caso di urlare.

La nuova me è in evoluzione, o meglio, ambientazione.
Non so ancora dove andrò, ma questo è un posto dove è bello stare.

Erica, anzi Atmosferica.

“E quindi? Adesso dove vai?”

Ore 8.08
Treno Italo,
Alta Velocità,
Roma Termini – Milano Centrale

Ti ho salutato dalla costa orientale della Sardegna e ora mi trovo qui, seduta al posto numero 4, della quinta carrozza in partenza dalla capitale.

Una mina vagante, una vagabonda. Il concetto di base e la radice di ogni parola, denotano il fatto che io stia vagando.
Alla ricerca di cosa?
Bella domanda.

O forse lo so.

Sono riuscita a creare una similitudine pensata ad hoc per le mie sensazioni, dinamiche di ritorno o forse di continuo viaggio.
Chi lo sa.
Mi paragono senza problemi ad uno scimpanzé che, aggirandosi tra persone e città, si trova totalmente diseducato nel vivere scene di normale convivenza, condivisione e comprensione.
Un animale selvatico abituato ai suoni della foresta e dei grilli, a vivere solo e senza aiuti, senza ritmi imposti ma solo seguendo flussi naturali.
Tutto questo si tramuta in una difficoltà di base che accomuna ogni situazione, nella voglia di continuare a viaggiare, di vivere in movimento, per rimandare continuamente l’impegno dell’adattamento.

Una settimana rigenerante di pura e selvaggia Sardegna, è stata seguita da Roma e dalla sua sabbia bollente ma comunque morbida. Ho cercato di dipingere a modo mio scene e paesaggi, ho creato affreschi e verdi selvatici, ho catturato immagini che possano fare da ponte tra quel che era, e quel che è.

Il nodo della questione, è che sono in difficoltà e che non voglio farmi risucchiare dalla solita banale quotidianità che quasi mai comprende sani colpi di testa o picchi di estremo coraggio. Vorrei non perdere questa mia indole, non potrei vivere senza scatti di cuore e stimoli adrenalinici.

La gente mi chiede quale sarà la mia prossima meta, mi dice che non mi devo fermare, che non posso farlo ora.
Spesso vorrei poter non sentire e ascoltare solo quel che arriva da dentro, non ciò che viene da fuori.
Non me ne volere ma in questi casi penso sia semplice dire:

“E quindi? Adesso dove vai?”

Beh, io non lo trovo per niente semplice, anche un po’ ingiusto. Spero sempre di ricevere domande più aperte di queste ma puntualmente non accade. Per quanto possa sembrare una domanda che urla libertà, è comunque chiusa in un preconcetto.
Chi ha viaggiato deve continuare a farlo, deve continuare a riempirsi gli occhi di vita.
Chi non lo ha fatto, è scontato che rimanga chiuso nel suo nido.

Beh, non credi sia limitante?

Non so cosa accadrà alla mia vita ma penso sia giusto che chi voglia esplorare, si senta libero di farlo con la propria anima.
Me compresa.

Milano, ore 11.34

Grazie vita.

Erica, anzi Atmosferica.

Il richiamo.

Mi trovo di nuovo in un campeggio, questa volta dormo in una roulotte. Guardandole dal fuori, mi hanno sempre attirata, avrei sempre voluto dormirci almeno una volta. Mi sono sempre sentita come una bambina che volesse provare un gioco nuovo, un’esperienza in roulotte.

Che figata!
Chissà come sarebbe stato.

Senza nemmeno accorgermene, mi trovo in una delle zone più wild e selvagge della Sardegna e dormire in una piccola casetta con le ruote. All’esterno una veranda di plastica arancione crea una cappa di caldo nelle ore di punta, ma la sera diventa molto accogliente e fresca. Santa Lucia e La Caletta, realtà piccole e strettamente paesane che si affacciano sul mare. Tra loro, una lunga spiaggia fa da unione e oggi l’ho percorsa tutta. Cinque chilometri a bordo piscina.
Sabbia bianca, mare cristallino, ombrelloni colorati e forti folate di vento. Niente di commerciale, niente che avevo già visto in Sardegna. Questa nuova faccia, mi stupisce.

Tutto nuovo.

Ecco che questa vita da campeggio mi ricorda quella Australiana, quella fatta di niente e di tutto, quella del lungo viaggio e dei mille campeggi lungo la strada. Una vita fatta di rumori naturali e bagno comune, la resina degli alberi e piccoli vialetti piastrellati che fanno strada tra tende e bungalow. Sento che questo habitat sia parte di me e mi piace ritrovare queste sensazioni in un posto vicino a Casa, in Italia.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei preferito la vita da campeggio, a tutte le altre vite.

Varie vicessitudini tra bed&breakfast e piccoli appartamenti, mi hanno fatto optare per la soluzione più essenziale, la meno dispendiosa, la mia. Devo ancora accettare di rivedermi tra quattro mura di legno di una roulotte senza cucina, devo accettare che sono anche questa e che dopo pochi giorni di ritorno, sono venuta a ritrovarmi e ricercarmi, qui.

Ad ascoltarmi.

Sto seguendo i miei impulsi, chiamalo istinto o sesto senso, sto agendo e viaggiando di pancia ora che ho ancora tempo per farlo.
Questa vita mi riporta al contatto con il vero, alla base e al primario. Appena ho sentito il minimo rischio di perdere tutto questo, sono scappata. Non sono riuscita ad integrarmi subito con la realtà di sempre. Quella di città, quella di persone e tante domande, quella di caffè al bar e treni senza aria condizionata.

Mi dovrò impegnare ma non voglio soffrire.

Mi sono rifugiata tra aghi di pino e una spiaggia bianca, i grilli non fermano mai i loro strani canti e la notte si dorme bene, è fresco e silenzioso.

Questo è il posto giusto in cui stare.

Adesso.

Amo lo Yoga sulla spiaggia, le musiche verso sera e la pace che regna come un accordo comune. Tramonti assurdi e giochi di colore, alberelli selvaggi e cielo aperto. Non voglio niente di ricco, niente di sofisticato o comodo.
Voglio solo questo. Un letto che in fin dei conti è in un bosco senza tetto.

Ancora qualche giorno qui, sarà la cura.
La Sardegna ha sempre disinfettato le mie ferite e ascoltato le mie richieste. È sempre stata impeccabile nella sua bellezza e comprensione, mi ha sempre chiamata a sé quando non ci sarebbe stato altro posto in cui andare.

Erica, anzi Atmosferica.

Il vuoto e “La sera del ritorno”.

Ho altro da raccontare, altro che riguarda il mio ritorno. In questi giorni pieni di spostamenti, viaggi in treno e chilometri di cemento, sto cercando di ritrovare il mio posto nel mondo, in Italia.

Un angolo di pace che mi faccia sentire libera.

Continuo a pensare ad una bellissima serata trascorsa in compagnia di Zie e Amiche, qualche giorno fa. Ero tornata da forse 72 ore e una riunione di saluto e connessione nuova, è stata l’idea di Mamma. Un altro modo per darmi il benvenuto, un gesto amorevole per farmi sentire a casa.

Qualche pasticcino, una sana Macedonia e una bottiglia di prosecco per festeggiare. Questi erano i condimenti che rendevano il tutto più colorato e gustoso, frizzante e dolce. Il giardino di casa faceva da sfondo e delle candele colorate allontanavano le zanzare riscaldando l’Atmosfera.

Dopo i primi minuti di confusione e domande accavallate, il creativo Papà Elio è intervenuto con la sua idea. “Facciamo un gioco, mettiamoci in cerchio e ognuno farà una domanda quando sarà il proprio turno!”

Una risata generale è sfociata nell’accordo pieno, ha creato ordine e curiosità. Ero curiosa anche io, mi sentivo al centro dell’attenzione ma con molto piacere.

Il giro delle domande è partito subito in senso anti-orario. Di fianco a me, Papà osservava la scena dal mio stesso punto di vista. Forse accadeva per la prima volta. Guardavamo con gli stessi occhi, ascoltavamo con le stesse orecchie.

Vorrei condividere con te alcune domande e di seguito le mie risposte. Trovo giusto doverti rendere partecipe di una nostra serata, in cui meritavi di esistere anche tu.

“Hai mangiato qualcosa di particolare?”

Ho risposto che non ho mai assaggiato cibo che mi abbia fatto mancare il fiato. Nulla che mi abbia rapito le papille gustative. Certo, il cibo thailandese piccante mi ha tolto il respiro per ovvi motivi, ma per il resto non sono rimasta mai troppo stupita da quel che avevo nel piatto. In Australia sono arrivata a detestare frutta e verdura, avevano sapore e consistenza chimica e non sapevano di natura. Non troppo.
Non ho mai assaggiato la carne di canguro, non ce l’ho fatta. Per tutto il tempo del mio viaggio, ho mangiato solo carne bianca. Non mi sono mai imposta diete particolari, mangiavo quel che mi andava, quel che il corpo chiedeva.
In Thailandia, invece, mi sono depurata e purificata. Verdure cotte e crude, grandi insalate di frutta e riso ovunque. Una vera goduria per il mio palato.

“C’è mai stato un posto che hai chiamato ‘Casa’?”

No. Sydney mi ha cullata e coccolata, mi ha fatta sentire a casa ma non l’ho mai intesa come la mia città. Mi sentivo ad ogni modo ospite anche perché non ho mai pensato di non tornare in Italia.
Piazze, muretti e panchine, mi richiamavano nei momenti di solitudine in cui volevo sentirmi bene. Guardavo al cielo e vedevo le punte dei palazzi, possenti.
Mi piaceva ritornare nei miei angoli di pace, mi piaceva vedere Sydney in tutti i suoi specchi e colori, mi sentivo bene ma non a Casa. Sarà sempre nel mio cuore quella città, tanto cattiva all’inizio ma piena di amore alla fine.

“In un momento di tristezza hai mai pensato di tornare a casa?”

No. Ero sempre consapevole che ogni momento di tristezza e malinconia, era stato preceduto da un momento di benessere e sarebbe stato seguito da un’altro stato d’animo positivo. Credo che affrontare e superare negatività, sia sinonimo di maturità e voglia di conoscersi davvero. Bisogna essere in grado di guardare il proprio malessere dall’esterno cercando di non identificarsi in lui.
Io ci ho sempre provato, con la consapevolezza di voler tornare a casa per felicità.

“Qual è il tuo obiettivo ora? Dove vuoi andare?”

Il mio prossimo traguardo è quello di trovare pace nel niente. È difficile tornare in una realtà dove in ogni fase della vita si ha sempre avuto uno scopo, ma ora la sensazione di appartenenza non è più così forte. Il mio obiettivo è quello di trovare un equilibrio prima di agire per una costruzione, un progetto di lavoro.
Tutti si lamentano del fatto che si lavora troppo e che lo stress porta a correre continuamente, affaticando l’anima al pensiero del futuro.
Accade questo, sì, ma nel momento in cui non si ha nulla da fare, si entra facilmente in crisi, ci si sente persi senza una sfida giornaliera.
Di cosa ci si lamenta allora?
Voglio imparare a godermi un momento di vuoto senza dimenticare che ora sono piena di me, come è giusto che sia.
Da fine agosto, farò fruttare le mie energie e con la dovuta calma, penserò ai miei progetti.

“Chi è stata la persona che ti è rimasta nel cuore?”

Ilaria. Con lei ho avuto un bellissimo scambio di emozioni e insegnamenti. Lei mi ha insegnato una magica dolcezza fatta di fiori e conchiglie colorate, mi ha dimostrato che quel mondo ormai poco conosciuto ed esplorato esiste davvero, basta solo costruirlo giorno dopo giorno. Basta crederci.
Io a lei ho dato un pezzo della mia positività e della voglia di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, le ho voluto dire che “Tutto andrà bene!”.

“Sei rimasta in contatto con Mattia? L’Ingegnere…”

Certo, Mattia è tornato nella sua amata Brescia a Maggio. Una buona opportunità lavorativa lo ha fatto diventare Ingegnere a tutti gli effetti, è sereno.
Sicuramente andrò a respirare la sua realtà bresciana e sarò ben contenta di ospitarlo a Lecco, la mia cittadella sul Lago.

“Cosa ti ha segnato di più nel ritiro spirituale?”

Penso che la convivenza con la giungla sia stata per me la prova più snervate. Continuamente in tensione, cercavo di trovare pace anche se, puntualmente, saltavo in aria al minimo rumore o visione strana. Animali e umidità, caldo e temporali, buio e insetti.
La parte più difficile è stata questa. La giungla e il mistero del silenzio.

“Hai mai avuto paura?”

Sì. Quando abbiamo iniziato la traversata della spianata deserta in Australia, alla prima sosta siamo stati travolti da un temporale ventoso, persino le pentole perdevano il contatto con il suolo e Vando traballava e tremava come una foglia. Lì ho avuto paura, mi sono sentita piccola, indifesa ed impotente nei confronti dell’inaspettata forza della natura. Era appena iniziato un viaggio di migliaia di chilometri vuoti, lungo la costa sud dell’Australia. Si era appena aperta una scommessa e per un momento ho temuto di non essere pronta a vincere o comunque a combattere.
Dopo la tempesta è uscito il sole. I colori sono tornati accesi e le nuvole a fare da cornice.

Ecco queste sono alcune delle domande. Le più importanti. È stata un momento di condivisione emozionante che credo rimarrà tra i miei ricordi come “La sera del ritorno.”


Ora sto partendo di nuovo. Un aereo sta per decollare, il mio cuore sta per volare. Devo ancora abituarmi alla sensazione del vuoto, è vero. Forse è per questo motivo che non riesco ancora a fermarmi. Voglio sentire il petto schiacciato alla poltrona, voglio vedere le nuvole dall’alto. Sto seguendo il mio istinto che non vuole ancora frenare la corsa. Forse non sono fatta per rallentare o forse non è il momento.
Ora so che voglio scrivere e per farlo ho bisogno di stimoli giusti, voglio godermi il niente nei posti più belli, quelli che sono stati creati per me e per le mie storie.

E comunque,
il vuoto,
in cielo,
si sente meglio.

Erica, anzi Atmosferica.

Mi prometto…

Me la sto facendo sotto.

Si può dire?

Una domanda della Mitica Zia Angi mi ha fatto riflettere e mi ha spinto a svuotarmi di parole ancora una volta. È solo scrivendo che riesco a sentirmi meno ingolfata di pensieri e questo inizio singhiozzante ti può far capire quanto sia intasata fino alla punta di ogni capello.
Magari non lo stai percependo ma devi credimi se ti dico che le mie mani si bloccano continuamente.

Tra poco torno.
Parto o torno?

Non lo so.
Sicuramente sarà bellissimo.

La domanda che mi è stata rivolta è la seguente:
«Cosa temi di più del tuo ritorno? Il “troppo pieno” o il “troppo vuoto”?»

La mia risposta è uscita naturale.
Le ho detto che temo il passaggio dal “troppo pieno” iniziale al “troppo vuoto” successivo.
In realtà non ho paura di tornare, non temo nulla perché sono dell’idea che se semini del buono, non potrà altro che fiorire ciò che meriti.
Semplicemente in questi giorni di cielo continuamente capriccioso, mi sto facendo delle promesse molto chiare e sarò intransigente con me stessa se solo mi azzarderò a non rispettarle.
Mi sto chiedendo calma e di non sottovalutare mai la potenza che ho scoperto dentro me. Mi prometto di non dimenticare mai il percorso che ho fatto per arrivare ad avere un saldo equilibrio e una forte indipendenza emotiva. Il “troppo pieno” iniziale sarà colmo di affetto, famiglia, uscite con le amiche e interminabili chiacchiere con le persone importanti.
Non sarà mai “troppo”.
Mi sento super richiesta e ho il cuore che esplode dalla gioia e dalla voglia di riabbracciare anime speciali che mi hanno accompagnata giorno dopo giorno, non perdendosi nemmeno un passo del mio cammino.
Mi prometto, inizialmente, di saziare la mia fame di coccole e occhi, di sguardi amici e profumi nuovi, di lasagna e pasta al pesto, di odore di casa e amore.
Mi prometto di non pensare a null’altro.
Non ci sarò per nessuno.
Anzi…

Ci sarò per tutti, finalmente.

Arriverà poi il giorno in cui la mia vita tornerà a scorrere sui binari di una quotidianità, di una calma fatta di piccole cose e sarà quello il momento in cui decidere che strada prendere.
Mi prometto di non precludermi niente ma di mantenere sempre il senso delle mie scelte.
Mi prometto di fermarmi se sarà opportuno farlo e di rispettare i limiti di velocità.
Erica, anzi Atmosferica.
Chi diventerà?

Me lo chiedo spesso ma giusto per il gusto di farlo.
Perché mi va.
🙂
È divertente ed elettrizzante.

Sogno una vita fatta di libere scelte e sogni.
Mi prometto di avere pazienza nell’attendere risposte dall’universo.
Prima o poi quelle arrivano.
Parlo di conoscenze che aprono porte, parlo di segnali che appaiono come grandi luci di emergenza, parlo di input che arrivano nel momento del bisogno, quando tutto potrebbe sembrare piatto e poco stimolante. Anche quello farà parte del gioco, tutto accade per un motivo e presto o tardi esso si paleserà.

L’organizzatrice che è in me vuole sfondare nel mondo della comunicazione.

Quando dico che voglio “sfondare” significa che voglio arricchirmi di persone e lavorare per i sogni altrui.
Non voglio diventare ricca.
Organizzare eventi, matrimoni, importanti convegni.
Quello sarebbe pane per i miei denti.
Questa è Erica.
Mi vedo elegante e sorridente, professionale e precisa, mi vedo capace e sicura nel trasmettere sicurezza.
È giusto pensare che tutto è possibile.

Mi prometto di non perdermi mai e di provarci sempre.

Poi c’è Erica, anzi Atmosferica.
A lei piace scrivere e fotografare.
Anche in questo caso, le piace sognare e far sognare.

Quanti messaggi ho ricevuto pieni di ringraziamenti, ricchi di belle parole e complimenti.
“Grazie perché attraverso le tue parole mi fai viaggiare.”
“Grazie perché con le tue fotografie mi fai sognare ed esplorare luoghi che vedo troppo lontani.”

Erica, anzi Atmosferica, vuole continuare a coltivare questa passione e a far fiorire idee di motivazione nel cuore delle persone.

Vorrei essere di aiuto, di ispirazione o di esempio.
Vorrei portare a spasso per meravigliosi luoghi chi, per i più svariati motivi, non può viaggiare.
Vorrei essere una valvola di sfogo, una porta aperta sul mondo in cui, chi vuole, può entrare.
Vorrei essere una vetrata affacciata su una verde vallata da cui poter guardare la natura e l’infinito.

Mi prometto di darmi del tempo e di vivere questi ultimissimi giorni di piena solitudine al meglio.
Mi prometto di non lasciarmi prendere troppo dalla tempesta di pensieri, leggere paure, ambizioni, progetti.
Mi prometto di non correre mai e di camminare nel tempo presente guardando il cielo con grande fiducia.

Questo cielo che sempre generoso mi ha dato e parlato,
che delicato non mi ha mai schiacciato,
che premuroso non mi ha mai abbandonato,
ma che,
soprattutto,

sempre fedele non mi ha mai tradito.

Erica, anzi Atmosferica.

Questo è il mio mondo.

Sono qui, rilassata in uno dei tanti momenti contemplativi delle mie giornate. È sera e tra poco l’Italia giocherà un match decisivo. Avrei voglia di tifare e di guardare la partita insieme ai tanti ragazzi thailandesi che lavorano nel resort ma voglio prima ascoltare la mia vocina della verità. Lei, la mia più cara compagna di viaggio, lei che mi regala sempre grandi emozioni.

Soprattutto grandi piccole attenzioni.

Ultimamente non scrivo tutti i giorni, sono più riflessiva anche nel decidere cosa gettare nero su bianco, cosa condividere o al contrario, tenere per me. In questi lunghi mesi di viaggio, non ho mai badato a filtri, ti ho voluto regalare ogni mia singola emozione e pensiero anche se passeggero.
L’ho fatto per la mia famiglia, le amiche, insomma…

L’ho fatto per il mio piccolo grande mondo che ho salutato quel giorno di metà novembre.

Ora sento che le “mie persone” stanno per tornare vicine, o meglio, io sto per tornare da loro e non sento più la necessità di scrivere per loro. Scrivo prima di tutto per me. Quando mi va. Solo io posso sapere il perché.
Qualche tempo fa, pensavo alla mamma che aspettava impaziente, al papà sempre in prima linea, alle amiche fan sfegatate.

Ma.

In tutto questo.

Penso a una cosa.

Sono tremendamente orgogliosa del lavoro che sono riuscita ad arricchire ogni giorno o quasi. Ho tra le mani una grande cassa del tesoro dove sono custoditi dei gioielli dal valore inestimabile. I miei scritti, i miei articoli, le mie dediche e i miei colori. Le mie poesie, le mie foto e le mie crisi nostalgiche.

Non dico questo perché voglio vantarmi di avere una dote innata. In tutti questi mesi avrei anche potuto scrivere una parola al giorno, avrei potuto condividere una fotografia.
Per quello non servirebbe un talento ma solo tanta voglia di comunicare.
Di fissare.
Come dice il papà, non serve scrivere poemi per arrivare. Anche due parole possono dire tutto e possono saziare.

Sono orgogliosa perché qui dentro c’è il mio mondo, il mio viaggio e la mia crescita. Ci sono le persone che ho incontrato, i luoghi che facevano puntualmente da sfondo o da cornice. C’è una ricchezza che potrò condividere con chiunque, un giorno. Tra qualche anno. Tra tanti anni.
Potrò ripercorrere il viaggio che mi ha portata fino a qui, in Thailandia, sull’isola di Koh Phangan. Potrò rivivere passo dopo passo un percorso interiore costato fatica ma che ora sprigiona lentamente la sua gioia.
A piccole dosi.
Potrò catapultarmi di nuovo nella realtà di Sydney, sulle bianche dune di Lancelin, nel “The Pinnacles Desert”, sul grattacielo più alto di Melbourne o nel monastero buddista in cui ho fatto l’esperienza più profonda e piena di significato. Potrò ripercorrere il corso d’acqua che attraversa Brisbane, riflettermi negli specchi dei grattacieli e riattraversare la deserta pianura del Nullarbor Plain a bordo di Vando, amato Vando.

Io sono orgogliosa. Sono felice e soddisfatta del mio lavoro.

Sì, lo so che non sono ancora tornata.
Lo so che avrò ancora molto di cui scrivere.
Questa vuole solo essere una riflessione.
E poi…
Non smetterò mai di scrivere.
Mai nella vita.
A costo di rinchiudere le mie parole in un diario segreto di carta riciclata.
Mai.

Io mi sento tanto grande. Sento una potenza che mi esplode dentro e la percepisco soprattutto quando parlo con le persone.
Di ogni nazionalità e cultura, di ogni età e lingua.
Puntualmente, quando parlo di me, mi trovo davanti ad occhi increduli o a bocche aperte. Facce basite, alcuni provano pena.
Forse è invidia?
Che è?

Oddio… a volte mi sento un alieno.

“Sei qui da sola?”

“Arrivi dall’Australia?”

“Ma quanti anni hai?”

Se stessi ad interpretare le facce della gente, mi porterei da sola in un centro di analisi psichiatrica.
Non lo so.
Sembra incredibile che io stia viaggiando senza una compagnia e che non stia male per questo.
Quanto fa paura la solitudine.
Succede che mi trovo a mangiare ad un tavolo e mi viene chiesto:

“Ma non ceni con i tuoi amici?”


No…

scusa?


È lì che mi va di traverso il boccone.
È lì che scoppio in una risata delle mie.

Io amo lasciare di stucco tutti, soprattutto quelli che non concepiscono la solitudine come la più grande amicizia.
Devono capire!

Non voglio fare la morale a nessuno ma permettimi di dire quel che penso. Amo mangiare da sola, all’ora che voglio, quanto voglio e al tavolo che scelgo io. Amo ordinare un primo insieme ad una macedonia o mangiare tre piatti di verdure perché mi va così. Amo stare un po’ scomposta, divertirmi nell’osservare gli altri e fare tanti discorsi interessanti con la mia mente e il mio cibo. Mi prendo i miei tempi, osservo il mare, ho i miei ritmi, mi prendo pause e se voglio ordino un dolce.
Amo anche cenare con amici, perché no. Ma non sono di certo il tipo che organizza una cena in compagnia in maniera forzata.
Le cose vanno come devono andare e arrivano se devono arrivare.

Anche perché, quando si è in viaggio, non si può parlare di compagnie amiche ma solo di storie.
Prima viene la storia e poi la persona.
Ci sarà sempre l’eccezione che confermerà la regola ma sarà solo la storia a rimanere tua amica, sarà la storia a cercare spazio nel tuo, sempre più pesante, bagaglio.

Spero di essermi spiegata.

Viva la vita e le cene in solitudine.

Erica, anzi atmosferica.


PS. Viva l’amicizia. Quella vera, sempre.