Dovevo parlare.

Quel senso di insofferenza di cui vi ho già parlato, mi ha accompagnato fino al mare. Continuava ad insistere in me una brutta sensazione tanto che, il telefono ha deciso bene di non cercare connessione.

Dovevo pensare, riflettere ed elaborare. Mi sono concentrata sulle onde e poi sull’orizzonte. Continuavo a parlare ma non mi sentivo abbastanza e mentre stavo lì, tirata da quella forza, la voce è diventata alta.

Parlavo a me stessa come se fossi la mia amica del cuore, chiedendomi per favore di sfogare e nel caso di urlare. Ho visto una razza e poi dei gabbiani volare, ingolositi da miele e cereale.

Lanciavo a loro qualche briciola, il mare si stava arrabbiando.

No scusa, non volevo sorvolare.. Ora ti parlo.

Dammi solo un attimo, un momento.

Le alghe erano marrone chiaro, uno strano colore e una strana forma difficile da descrivere, identificare. Sembrava corallo spezzato oppure un tronco di un albero annacquato…
Era davvero singolare ma ancora dovevo parlare.

Sono tornata alla riva, stavo in piedi nella sabbia infossata, l’acqua mossa era insabbiata e non vedevo il fondo, non volevo nuotare. Che paura, non ero rilassata e poi, dovevo parlare. La testa mi scoppiava, il caldo mi abbatteva ma l’acqua fresca non bastava.

Il mio amico e compagno di viaggio, mi guardava da lontano. Mattia avrebbe voluto sciogliere i nodi e così si è avvicinato. Ero chiusa, scontrosa e una sola parola di troppo mi avrebbe fatto scattare, scoppiare.

Così è accaduto ma lui è stato bravo. Il problema di fondo chiedeva un dialogo maturo, un diretto confronto, senza nessun girotondo! Uno scontro ragionato, guarisce ogni male e dissolve ogni dubbio perché sì, l’importante è parlare. Mi ha fatto domande mirate, non potevo scappare! Erano lì nitide e chiare, finalmente dovevo chiarire. Gli ho parlato di quel che sentivo, di quel che mi bloccava e mi schiacciava. Il mio problema è sempre lo stesso da tempo con ogni persona che incontro. Ho il brutto vizio di voler aiutare, addossandomi a volte altrui preoccupazioni o problematiche irrisolte. Devo dare anche a chi non chiede e devo essere sempre forte, per me e per altri. Voglio essere più egoista, soprattutto in questo viaggio. Voglio seguire il mio istinto con la certezza che potrebbe essere nient’altro che un vantaggio.

Pochi minuti di magone e poi il sollievo nel cuore…

Finalmente, più nessun rancore.

Erica, anzi Atmosferica.

Due scarpe appese.

Incuriosita e sorpresa, ho digitato su google queste parole:

“Scarpe appese fili corrente”

Ho scoperto che dietro a questo fenomeno, si nasconde un’arte, una storia, un racconto.

Lo “shoefiti”, racchiude in sè l’unione di due parole ovvero “shoe” (scarpa) e “fiti” (graffiti). Come potete apprendere, l’etimologia della parola spiega già molto. L’iniziativa ribelle di lanciare le scarpe legate da un laccio verso il cielo, nasce per la prima volta negli Stati Uniti e si diffonde poi in tutto il mondo.

Anche qui, a Pemberton, nel Western Australia, un signore che portava ai piedi scarponcini marroni da lavoro, ha deciso un giorno di liberarsene. Magari l’ha fatto per festeggiare un evento particolare, un nuovo lavoro o il matrimonio, magari per rendere nota a tutti una sua cattiva intenzione.

Dietro a due scarpe appese ai fili dell’alta tensione, si celano decine di leggende metropolitane che parlano di fatti positivi come avvenimenti importanti e nuove scoperte, come di spiegazioni raccapriccianti legate alla droga o a segnali in codice per ladri e malviventi.

Come sempre però, voglio viaggiare liberamente dando, a quel che ho visto e che noto ogni giorno camminando sulla strada, una motivazione tutta mia. Non mi interessano le teorie inventate nel corso degli anni perché tali rimarranno senza mai permettermi di sapere se quella vera è una, qualcuna o nessuna.

Era un uomo, sulla cinquantina.
Aveva lottato tutto il giorno contro il caldo infernale e contro quel sole che batteva sulle sue spalle, in quel campo immenso pieno di mucche rinchiuse a pascolare.
Sentiva i piedi caldi e costretti, chiusi e sudati. Avrebbe voluto toglierle quelle scarpe, avrebbe voluto sentire l’erba solleticare.

Quella sera, una strada in salita lo portava a casa e sentiva la sua vita scorrere sotto quel tocco rigido di passi veloci e stanchi.
L’asfalto emanava il caldo assorbito in una giornata e lui ancora pensava, pensava ma non agiva.

Visti i cavi dell’alta corrente, ha deciso bene di agire. Un filo alto nel cielo, avrebbe potuto liberarlo per sempre da quella sensazione di costrizione. Ha levato le scarpe dai piedi, con un laccio ha fatto due nodi. Le ha lanciate, urlando di gioia e finalmente si è sentito potente, quasi un mago, sorprendente.

Ha scelto il punto più alto e visibile a tutti. Un equilibrio impossibile ma realizzabile. Tutti quelli del Paese le avrebbero viste e avrebbero pensato…

“Pensa te, quel pazzo trasandato..”

Voleva farsi vedere tenendosi nascosto, liberarsi in alto e non buttarle in fondo ad un fosso.

Sono rimaste lì per anni, e resteranno lì per altrettanti. Ogni giorno, quell’uomo sulla cinquantina va a lavorare nei campi ricordandosi sempre di quei pensieri emozionanti. La libertà prima di tutto, poi il lavoro. Il solletico dell’erbetta fresca sotto ia piedi e il calore dell’asfalto sono ogni giorno per lui i due rimedi, dei magici antidoti o come dire, i suoi amici veri.

Io quell’uomo l’ho forse visto, e forse l’ho pure conosciuto. Chi lo può sapere. Ogni giorno è buono per poterlo incontrare.

Non avrei molte cose da dirgli se non…

“Complimenti Professore, da quelle scarpe appese, apprendo che avrebbe molto da insegnare!”

Erica, anzi Atmosferica.

Vivere la vita.

La passeggiata con Matteo mi ha cambiato la giornata. Mi ha invitata alla scoperta di un piccolo lago che si nasconde dietro a una collina boscosa alle porte del nostro campeggio. Mi aveva già parlato di quell’angolo di pace dove cercare un po’ di tranquillità e liberare i pensieri.

Una camminata tra arbusti secchi ed erbacce pungenti, ci ha portati in pochi minuti alla meta nascosta. Mi ha raccontato di lui e della sua singolare ed incredibile storia, ho ascoltato i suoi pensieri e gli ho parlato un po’ di me, in maniera naturale, come veniva.

Mi sono confidata ed è stato anche terapeutico, mi sono aperta come quel cielo che si rifletteva nell’acqua scura. Non si vedeva il fondo ma i tronchi degli alberi, creavano un’illusione ottica come se fosse assai profondo. Finalmente è tornato il sole e ci siamo goduti per bene il suo calore e la sua luce. Ci siamo specchiati nell’acqua pulita ma nera. Ci siamo visti entrambi diversi, cambiati.

Matteo mi ha fatto ascoltare una canzone.

Non voglio scrivervi delle emozioni che ho provato nel sentire quel bambino che esprimeva concetti così forti e concreti. Vi chiedo semplicemente di chiudere gli occhi e di lasciarvi cullare, accompagnare.

Vi confido che il mio cuore batteva forte, ero viva e stavo vivendo.

Posso dirvi, inoltre, che la melodia e il testo racchiudono i discorsi di un pomeriggio. Uno splendido pomeriggio.

Racchiudono il senso della vita.

Racchiudono quel che per Matteo è felicità ovvero, la condivisione di amore.

Puoi cambiare camicia se ne hai voglia

E se hai fiducia puoi cambiare scarpe…

Se hai scarpe nuove puoi cambiare strada

E cambiando strada puoi cambiare idee

E con le idee puoi cambiare il mondo…

Ma il mondo non cambia spesso

Allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare tè stesso.

Vivere la vita – Mannarino

Queste sono solo alcune parole, poche di tutte quelle che ora stanno nuotando verso il basso, alla ricerca di un fondale nascosto.

Erica, anzi Atmosferica.

http://www.dailymotion.com/video/xnlx3r_vivere-la-vita-i-bambini-insegnano-mannarino_music

Le gabbiane.

Nel corso del viaggio, mi capita molto spesso di pensare a determinate persone proiettandole su particolari sfondi. Nel momento in cui vedo un paesaggio, una foglia, un pappagallo o una strada infinita, penso a quella persona, solo a lei.

Ed è proprio guardando il mare, quel giorno e in quel momento, che quelle quattro gabbiane hanno spiccato il volo inseguendo la loro mamma.

Che siano quattro femmine e che quella sia la loro creatrice, è solo una mia idea. In quel volo mi sono rivista insieme alle mie sorelle, alle mie tre anime del cuore.

Voglio parlarvi di loro, non l’ho mai fatto e credo sia il momento giusto.

Un particolare momento per le tre donne della mia vita, insieme alla mia mamma.

Con un piccolo incipit voglio dirvi che i nostri nomi iniziano tutti con la lettera “E”. Una particolare caratteristica, per una speciale famiglia.

Mamma Eleonora e Papà Elio, nel 1988 diedero alla luce la loro prima bambina.

Elisa.

Lei è la mia sorella maggiore, uno scorpione. Nel tempo il nostro rapporto si è continuamente evoluto e modificato arrivando ad assumere oggi, un aspetto magico e quasi inspiegabile. Ricordo che quando eravamo piccole, era un continuo litigio per qualsiasi cosa. Io volevo a tutti i costi sentirmi la più potente nonostante fossi tre anni più piccola. Oggi invece, riconosco la sua grandezza e il suo ricco animo pieno di bontà. Lei ha la passione del trucco e il suo sogno sarebbe quello di diventare make-up artist. La vedo determinata e convinta nel perseguire il suo obiettivo, concentrata e piena di entusiasmo nel frequentare una prestigiosa Accademia. Ha una dote innata in grado di stravolgere un volto, illuminare due occhi o valorizzare un sorriso.

Tu le chiedi, e lei ti darà.

Elisa, la vedo già. Si diletterà con attori e artisti e presto, le porte del successo si spalancheranno a lei permettendole di raccogliere ogni frutto seminato.

Mamma Eleonora e Papà Elio, nel 1991 diedero alla luce la loro seconda bambina.

Erica.

Vi dico solo che porta il nome di un fiore e le piace scrivere, viaggiare ed emozionare.

Mamma Eleonora e Papà Elio, nel 1999 diedero alla luce la loro terza bambina.

Elena.

Un concentrato di energia e un frullato di proprietà sbalorditive. Con lei ho un rapporto meraviglioso. Ricordo ancora che quando era più piccola, imitava in tutto e per tutto i miei atteggiamenti e le mie movenze, il modo di vestire e di parlare. Molto presto e troppo in fretta, è diventata una signorina ed ora, sta a me realizzare che è diventata grande. La terza liceo per lei è una passeggiata, la pagella è ottima e non posso fare altro che dirle BRAVA AMORE! Mi rivedo in lei come forse lei si rivede in me. Ha i capelli castani come gli occhi ma vi giuro che la somiglianza è netta. Il modo di ridere e le smorfie da cartone animato sono uno spettacolo. Mi rivedo tanto.

Non posso rivedermi, però, nel suo grande talento. Lei balla. Il classico penso sia lo stile che preferisce, ma in ogni caso, dovreste vedere che meraviglia.

Elena, la vedo già. Si esibirà in eleganti spettacoli meritando interminabili applausi.

Mamma Eleonora e Papà Elio, nel 2000 diedero alla luce la loro quarta bambina.

Eliana.

Il suo nome è stato una ricerca. Una riflessione. L’ultima arrivata doveva rientrare nell’insieme “E” a tutti gli effetti ma le opzioni erano tante.

Emma? Ester? Elisabeth? Eliana?

Non avremmo potuto sceglierne uno migliore. Credo che il suo nome, rispecchi esattamente quello che è lei. Eliana è dolce, pacifica e delicata. Con lei ho un rapporto molto intimo. Nessuno può captare i nostri segnali, ci parliamo senza parlare e solo con un suo avvicinamento, mi chiede amore. Lei ha i capelli lunghissimi, direi chilometrici e due occhi abbaglianti. Un viso pulito, un sorriso felice e uno sguardo luminoso.

Eliana è la luce.

Vi starete chiedendo quale sia il suo talento. Beh, lei canta. Con la sua voce crea melodie armoniose e non le serve molto per imparare una canzone. Per fortuna posso conservare video e registrazioni che mi tengono compagnia ogni volta che la malinconia mi bussa alla porta. La ascolto e la sento vicina, è in grado di farmi emozionare anche da lontano.

Esatto, quando canta lei, pelle d’oca e per quel che mi riguarda, una lacrimuccia ogni tanto scende.

Eliana, la vedo già. Canterà al mondo intero il suo amore per la musica e il suo nome, risuonerà per le strade anche quando fuori piove.

Erica, anzi Atmosferica.

MAI DIRE MAI.

“Così smisi di costringermi a scegliere – Italia? India? Indonesia? – e ammisi che volevo conoscere tutti e tre i Paesi. Quattro mesi per ciascuno, un anno in tutto. Certo, era un sogno leggermente più ambizioso dell’acquisto di una scatola di matite. Ma era quello che volevo. E poi volevo scrivere di tutto questo. Per me non erano tanto luoghi da esplorare, altri viaggiatori lo avevano fatto prima di me; quello che mi interessava era indagare un aspetto di me stessa sullo sfondo di ciascun Paese. Volevo imparare l’arte del piacere in Italia, l’arte della devozione in India e, in Indonesia, l’arte di bilanciare l’uno e l’altra. Solo più tardi, dopo aver capito qual era il mio sogno, mi sono accorta che i nomi di quei tre Paesi cominciano tutti con la I. Mi è sembrato un presagio semplice per un viaggio alla scoperta del mio Io.”

Elisabeth Gilbert – “Mangia, prega, ama”

Questo libro continua a scavarmi e a creare in me nuovi pensieri e numerose possibili idee. Quelle che leggete potrebbero essere parole scritte da me, desideri nascosti dentro ai mille cassetti che ogni tanto vado ad aprire, giusto per rendermi conto che tutto nella vita è possibile.

“MAI DIRE MAI”

È una frase SEMPRE vera in ogni circostanza che mi fa puntualmente mettere in dubbio i progetti a lungo termine, moltiplicando nella mia testa le possibili opzioni e le tante strade che potrebbero aprirsi se solo evitassi di precludermi di vedere alcuni colori del ventaglio della vita, perché troppo strambi.

Ragionamento complesso che forse nemmeno i miei genitori potrebbero interpretare correttamente. È una profonda riflessione che ogni giorno mi chiama all’ordine.

Penso a quando la mamma mi dice di ascoltare la vocina. Lei ha sempre ragione e se sei in grado di sentirla, non ti sarà negata la possibilità di scoprire la verità, andando dove ti vuole portare. È difficile ascoltarla, ma una volta individuata e accettata, è molto semplice chiederle qualsiasi cosa in ogni momento. Mi piace farlo prima di dormire, quando adoro parlarmi e chiedermi se sono felice. Mi faccio domande, ascolto le risposte cercando dentro di me l’assoluta imparzialità.

Non passa giorno che io non mi chieda se sono dove davvero vorrei essere e non ho paura di farlo. A tutto c’è una soluzione e una possibile alternativa, non una via di fuga ma un’alternativa.

La risposta è , sono dove vorrei essere. Sono in Australia e mi sto muovendo nella direzione giusta. La vocina mi accompagna, mi dice che negli ultimi due mesi e mezzo della mia vita ho fatto come un salto. Mi ritrovo a volare con i gabbiani e forse devo ancora abituarmi alle vertigini. Mi dice anche che finalmente sono riuscita a sciogliere dei nodi dentro al mio cuore e che è orgogliosa di come riesco a comunicare con la mia famiglia e con il mondo intero.

La vocina mi dice che devo viaggiare in questo Paese e raccontare quel che vedo e sento. Un giorno, solo a rileggere le mie riflessioni, mi verrà un magone difficile da trattenere.

Se la ascolto bene, mi dice che vorrebbe vedere anche degli altri Paesi. L’arte del piacere, la potrò apprendere in Italia al mio ritorno… Ma l’arte della devozione, mi attira e mi chiama.

Sto lasciando correre la mia immaginazione e perché no, magari un giorno la seguirò come ho voluto fare nell’ultimo periodo.

Non mi precludo niente.

La vocina ovviamente, dice che devo lavorare ora. Devo guadagnare per poi tornare ad esplorare. Se mi parla di futuro, per il momento mi limito ad ascoltarla e magari un giorno metterò in pratica ma non ne sono certa. Ogni giorno il futuro cambia e anche la settimana prossima è ancora troppo lontana.

Ad ogni modo, il viaggio alla scoperta del mio Io è iniziato il 12 novembre 2015 e sono tremendamente abbagliata dalla luce che segna la mia strada.

Erica, anzi Atmosferica.

Immenso cielo.

Certo che dormire in Vando, è davvero un’esperienza che non dimenticherò per il resto della vita. Ormai da un mese, è il mio letto, la mia casa, la mia valigia e il mio compagno di viaggio. È un angolo di pace e di ispirazione, mi coccola e mi riscalda. Mi fa compagnia quando dormo e quando scrivo. È tanto comodo.

Oggi mi sono svegliata con il dolce rumore della pioggia che si infrangeva sul tetto e le goccioline sul vetro a dieci centimetri dal mio naso mi hanno dato il buongiorno insieme all’atmosfera uggiosa di questa giornata.

Ricordo quando dormivo nella mansarda di casa e mi svegliavo a causa dei lampi e dei tuoni, intensificati dalle travi in legno e dagli oblò vetrati sul soffitto in pendenza. Mi ricordo quanto mi piacesse ascoltare il rumore della pioggia, rimanendo immobile sul letto, godendomi ogni singola goccia. Mi lasciavo cullare la sera addormentandomi in pochi minuti e la mattina…

tic

tac

tac

tic

Che bel risveglio.

Pensavo alle quantità di acqua che il cielo stesse riversando e a quanto fosse triste o talmente felice al punto di piangere. Amavo dormire all’ultimo piano della casa, quello più alto e verso il cielo, e non mi alzavo dal letto senza prima averlo ascoltato.

Mi sento un po’ così anche qui. Appena apro gli occhi, il cielo mi sbatte la sua luce in viso e sto imparando ad avere un buon rapporto con lui, accettando ogni giorno i suoi capricci e le sue gioie.

Ho visto tanti cieli qui.

Spesso di un azzurro inteso, poche volte capriccioso come oggi. L’ho visto in tutto il suo splendore nelle notti stellate in campeggio dove, appena cala il sole, il buio fitto permette di captare i miliardi di punti luminosi che brillano più del solito. Un po’ come quando dicono che se vai nel deserto, vedi tutte le stelle più luminose.
Beh, nel deserto non ci sono ancora andata ma vi assicuro che la vista da qui, è spettacolare.

Ho visto nuvole immense correre insieme a noi nei nostri lunghi viaggi, ho dato a loro una forma, un nome e una vita. Qui il cielo è diverso, è più grande e più alto. I nuvoloni che coprirebbero un’intera città, qui sembrano piccoli, irrilevanti.

È proprio vero che la grandezza del contenuto dipende SEMPRE dal contenitore.

Mi è capitato di guardare all’orizzonte del mare e di fare un confronto tra la vastità dei due infiniti. Quante volte il cielo si superava, lo superava e lo schiacciava.

In Australia è tutto più grande e mi sento sempre piccolina ogni volta che mi concentro su quel che mi circonda. Distese di mare, di cielo, di sabbia o di erba secca portano i miei pensieri lontani vogliosi di raggiungere quella riga netta e orizzontale che mette fine alla mia corsa.

Ogni passo che fai, sposta la linea un passo più in là. Non ci sarà mai un modo per raggiungerla.

Il cielo non ha limiti, non conosce spazi e confini. È veloce ma anche molto lento e può riempirsi di un pianto che può durare giorni, come di una felicità ogni volta colorata.

Voglio assomigliare un po’ a lui, non voglio avere confini ma solo orizzonti irraggiungibili. Voglio conoscere la mia tristezza e farla sgorgare in un pianto, voglio essere radiosa come quel blu intenso e ricoperta di grandi nuvoloni che corrono via a velocità supersoniche.

Voglio cambiare ogni giorno, stupire chi mi guarda e regalare sorprese. Voglio essere immensa, alta e luminosa. Voglio colorarmi di blu, di bianco, di azzurro e di grigio. Voglio essere di un nero impenetrabile ma limpida e trasparente. Voglio vedere paesaggi magnifici e viaggiare sopra ogni bellezza del mondo. Voglio vedere, scrutare ed esaminare tutto dall’alto senza mai perdere la visione del tutto. Voglio volare insieme ai gabbiani e stare seduta su montagne di un soffice bianco. Voglio rotolare, riposare e cadere giù con la pioggia rimbalzando sopra a una nuvola di passaggio.

Voglio anche essere uggiosa e grigia perchè tanto poi…

…esce sempre il sole.

Erica, anzi Atmosferica.

Al parco giochi.

Sono le 10.51 e se la giornata finisse ora, andrei a letto felice. La sveglia alle 5.30 suonava insistente, chiedendoci di aprire gli occhi e metterci alla ricerca.

Le Farm aprono i lavori alle 6 della mattina ed è stata la nostra strategia quella di svegliarci con i lavoratori e presentarci a inizio giornata.

Ci sono vari pareri per quanto riguarda la ricerca del lavoro in Farm. C’è chi dice che sia giusto presentarsi la mattina presto per sottolineare motivazione ed entusiasmo, c’è chi sostiene che per avere attenzione sia meglio bussare alla porta delle aziende dopo pranzo. Noi abbiamo optato per la prima filosofia.

Oggi in Australia si celebra l’Australia Day, la festività in corso ci ha fatto trovare molti cancelli chiusi lungo la strada ma l’unica azienda che abbiamo trovato aperta è stata la nostra fortuna, almeno oggi.

Tre ragazzi facevano colazione con un cappuccino, un avocado sulla scrivania ha portato la mia logica a pensare che lì coltivassero quel frutto, le piantagioni erano nascoste dietro al tendone bianco.

Con aria simpatica, ci hanno detto che non avevano lavoro da offrirci ma il biondo, si è fatto avanti suggerendomi di chiamare un suo amico, Justin.

“Lui credo stia cercando personale per la raccolta dell’uva. Ecco il numero… E buona fortuna!”

Vista la poca speranza di parlare con qualcuno, abbiamo subito chiamato Justin.

Vai Caro Justin, facci sognare!

Vando al lato della strada, Mattia si è allontanato per concentrarsi e dalla sua esclamazione di fine telefonata, sembrava che fosse stata positiva.

Dopo un’ora, il cielo nuvoloso si è aperto e l’ottimismo ha avuto la meglio. Un messaggio di Justin diceva che domani dovremo presentarci alle 6 di mattina in vigna, con una prova di un giorno testeranno se siamo bravi lavoratori e se andrà bene, avremo un lavoro.

E ANDIAAAAAMO!

Per quanto riguarda la permanenza a Pemberton, si sta rivelando molto divertente. Una compagnia cospicua di italiani provenienti da ogni parte dello stivale, ci ha accolto con grande entusiasmo.

Sì lo so, starete pensando che un gruppo di italiani era l’ultima cosa di cui avevamo bisogno.

E invece no.

Parlando per me, avevo la necessità di ritrovarmi a ridere in compagnia e a sentirmi parte di un caloroso gruppo. Siamo tutti qui, sembra un reality show in cui il nulla costringe a dialogare, conoscersi moltissimo in pochissime ore. La LITTLE ITALY mi sta facendo tornare bambina, mi ritrovo a parlare di viaggi e strane esperienze seduta su un’altalena rendendomi conto di quanto sia bella la semplicità di dondolare con il vento tra i capelli. Rido come una matta alle battute di Matteo e Tommaso, i due simpaticoni del gruppo. La dolcezza di Stefania mi ricorda la mia amica Alice anche nella conformazione del viso e del nasino a patatina, la semplicità di un parco giochi con la sabbia bianca, ci riunisce tutti per lunghe ore senza bisogno di niente.

Discorsi sul senso della vita e sul motivo delle nostre partenze mi appassionano, il gioco delle carte mi rende spensierata e forse avevo proprio bisogno di questo. Sì.

Anche dagli italiani ho molto da imparare, ognuno ha la propria cultura e la propria storia e ascoltare il vissuto delle persone qui, mi emoziona. Prima di scrivere e di raccontarmi mi piace ascoltare.

Buona giornata cari amici, un saluto dall’unico parco giochi di Pemberton.

Erica, anzi Atmosferica.

Milano – 13719 km.

Hello!!

Eccomi oggi con tante cose da raccontarvi. Non so se questi articoli più descrittivi che emozionali vi appassionano, ma ogni giorno cerco di attenermi il più possibile alle sensazioni ed esperienze delle 24 ore che mi separano dall’articolo precedente.

Insomma, come avrete capito, scrivo poesie quando mi sento poetica, descrivo le nostre gite quando mi sento inviata speciale e lascio scorrere tutto nel modo più naturale. Non penso mai prima di lasciarmi andare nella scrittura, anzi, vi dirò che quando ripercorro nella mente aneddoti da raccontare, non trovo facilmente le parole che invece sono lì ad aspettarmi quando scrivo.

Che sensazione di magnifica pienezza!

Vi dicevo che ieri è stata una giornata molto intensa. Uno stato di insofferenza ha aperto le danze a inizio giornata, ma fortunatamente sono riuscita a smaltirlo nel giro di poche ore.

Come prima tappa, abbiamo scelto la Chocolate Factory. Dovete sapere che questa regione, oltre che per la produzione  di buon vino, è famosa per il cioccolato. Il fatto che ci fossero assaggi liberi, ha attirato subito la nostra golosità. Arrivati sul posto, un mega-store di cioccolato in tutte le forme e salse si è aperto dietro quella porta. Cioccolato bianco, al latte e fondente era pronto per il test all’interno di grandi ciotole di acciaio e sì, abbiamo fatto il pieno. Al costo di 11 dollari ci siamo comprati una confezione di plastica trasparente che conteneva tre invitanti dolcetti: nocciole, anacardi e mandorle ricoperti di cioccolato al latte.

Vi ho fatto venire l’acquolina in bocca?

Noi siamo due golosoni senza eguali, il che non è sempre cosa buona e giusta.

🙂

Un paesino sulla costa, a pochi chilometri, offriva la visita al molo più lungo dell’emisfero australe. Questa particolarità ci ha subito attratti. Quasi due chilometri di passeggiata, 25 minuti di percorrenza all’andata e altrettanti al ritorno.
Pagato l’ingresso di 3 dollari, una lunga palafitta in legno e cemento, si estendeva davanti a noi.

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La fine lontana, ragazzetti si divertivano con tuffi dove l’acqua era più alta, ma comunque dal fondale trasparente. Dopo un migliaio di metri l’acqua si è fatta nera e la mia mente ha iniziato a spaziare come al solito. Immaginavo imponenti alghe sui fondali, grandi pesci e anche squali. La passerella era talmente lunga che due binari permettevano al trenino rosso di trasportare anziani, bambini troppo piccoli o chi non volesse/potesse camminare.

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Arrivati alla fine, mi sentivo orgogliosa come uno scalatore che raggiunge la vetta più alta. Un cartello diceva che eravamo distanti dalla riva 1841 metri e raccontava anche di quanto fossero lontane le più grandi città del pianeta. La segnaleticaa indicava anche la direzione da prendere, nel caso si avesse avuto l’intenzione di partire per un viaggio immaginario.

New York – 18 874 km a destra, tutto dritto verso l’orizzonte.

Paris – 14 300 km a sinistra, tutto dritto all’orizzonte.

Una lavagnetta nera, invitava ogni turista a scrivere la distanza dalla propria città.

My Home Milano – 13 719 km

Che brivido!

Ho mandato la foto alla mia famiglia, avendo calcolato la distanza, mi sentivo tanto lontana quanto vicina. Un mix di emozioni. Forse avrei voluto iniziare a correre sulla superficie del mare per raggiungerla, ma la tempestività con cui potevano rispondere ai miei messaggi, ha subito calmato e colmato la sensazione di oceanica mancanza e distanza.

Forse il mio papà ha capito che avevo bisogno di sentirlo vicino. Verso sera, io e Mattia stavamo cucinando due abbondanti porzioni di penne rigate con tonno e fagioli.

Un altro momento di malinconia mi ha travolta. Avrei voluto offrirne un po’ alla mamma, al papà e alle mie tre sorelle.

Ho mandato la foto della grande pentola stracolma di pasta con il seguente invito:

“Abbiamo esagerato con le porzioni, se ne volete un po’, ce n’è per tutti!”

Il mio grande papà mi ha stupito un’altra volta.

“In quale campeggio siete che vengo a mangiare la pasta!? Però devo ripartire subito!

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Con un fotomontaggio mi ha fatto sentire la sua vicinanza.

Papà sei mitico.

Erica, anzi Atmosferica.

 

Lake Cave.

La grotta del lago, Lake Cave.

Arrivati a Margaret River verso l’ora di pranzo, il brutto tempo persisteva e una pioggerellina invisibile e insistente creava un’atmosfera autunnale.

I vigneti incontrati sulla strada erano fermi, nessuna possibilità di lavoro all’orizzonte. È stato strano vedere così tante aziende agricole totalmente deserte. Curate alla perfezione ma deserte.

Nell’articolo di ieri vi ho parlato di Margaret River come una regione piena di curiosità e posti da vedere. Bene, siamo qui anche per questo ovviamente.

Una volta fatto il check-in al campeggio, abbiamo curiosato sui numerosi depliants esposti in reception. Le quattro grotte disposte a pochi chilometri l’una dall’altra sulla costa, hanno subito attirato la nostra attenzione.

“Andiamo qui! Cave Lake!”

Già solo la foto aveva dell’incredibile ma volevamo vedere con i nostri occhi.

Una ventina di minuti di strada tra vigneti su sfondo grigio e foreste.

Alle 14.30 iniziava il tour guidato. Una simpatica signorotta bionda ci ha portati a scoprire quella meraviglia sotterranea raccontandoci passo per passo ogni curiosità. Due centinaia di gradini ci hanno portato giù ma non ancora sotto terra.

La guida ha introdotto la visita presentandosi e parlandoci della storia della grotta. Con stupore ho potuto apprendere che la scoperta di quello spazio nascosto, risale a pochi anni fa. Nel 1897 due amici si sono avventurati tra le insenature delle rocce con delle torce, solo 5 anni dopo la Lake Cave è stata aperta al pubblico, nel 1902.

Mi sono quasi sentita fortunata a far parte di quel pubblico.

La voglia di scendere ancora più giù era forte. Dopo alcune raccomandazioni, abbiamo proseguito il percorso.

Attenzione alla testa quando scenderete dalla prossima rampa di scale.

Superato quel punto non mancherà lo spazio.

Vietato toccare le rocce.

Ok, andiamo.

Una volta giunti alla successiva piattaforma in legno, già si vedeva una parte della grotta. Roccia bianca umida sopra la testa, formava stalattiti. La guida ha acceso le luci che seguivano il lato di una passerella. Quelle stesse luci permettevano di vedere l’acqua e di realizzare la grandezza degli spazi.

La passerella era illuminata fino ad un certo punto. Era chiaro che il percorso guidato, aveva la finalità di far concentrare noi turisti su quella prima parte. Era evidente che la grotta continuasse e che ci fossero altre piattaforme in legno ad attenderci.

Delle goccioline fredde mi colpivano la testa facendomi ogni volta sobbalzare. L’atmosfera di mistero mi creava uno stato di tensione.

Ma volete sapere una cosa?

Quelle gocce di acqua, vivevano tra le rocce della grotta da dieci anni.
Essendoci un tempo piovoso, mi veniva spontaneo pensare che fosse acqua piovana.

E invece no.

Acqua piovana di dieci anni fa che dopo tutti questo tempo, ha bellamente deciso di cadere sulla mia testa.

Pazzesco.

Dopo brevi spiegazioni, mantenendo sempre un tono di voce tranquillo, la guida ci aspettava al successivo spiazzo.image

Sporgeva dalla parete la roccia del drago. Stalattiti e stalagmiti si erano spinte a formare una forma umida che rappresentava a tutti gli effetti i lineamenti di un mostro delle caverne.

Mi sono concentrata per un momento e in effetti sì, era anche abbastanza inquietante. La mia immaginazione è arrivata anche a farlo muovere.

Erica, è fatto di roccia. Rilassati.image

Un’altra parte di grotta, illuminato il terzo pezzo di passerella, nascondeva una parete estremamente attiva. Le gocce d’acqua cadevano con una frequenza notevole fino a formare una stalagmite a forma di cervello.

The brain.

Sì, magari non riuscite ad immaginarla. La cosa che dovete fare è spaziare con la fantasia. Goccia dopo goccia, l’acqua si era sedimentata fino a formare una forma tonda, tridimensionale ovviamente. La caratteristica che faceva pensare al cervello era la superficie. Si erano formate delle ondine, delle pieghe naturali che rimandavano alla superficie cerebrale.
Un altro motivo per cui quella parte di roccia fosse chiamata così, era sicuramente il fatto che fosse l’unica tutt’ora attiva.

Un’altra formazione impressionante era quella delle colonne. Stalattiti (dall’alto) e stalagmiti (dal basso), si incontravano a metà strada dando origine a vere e proprie colonne portanti o sospese sopra il livello dell’acqua.image

Giunti all’ultimo step, la guida ha acceso tutte le luci che fino a quel momento avevano segnato la nostra strada. In un secondo momento ha illuminato solo il drago: da quella prospettiva sembrava ancora di più un vero mostro.

Poi ha spento tutto.

Un’emozione incredibile. Il buio pesto ci ha avvolto e la sua voce di sottofondo ci spiegava che quando la grotta è stata scoperta era così, totalmente al buio. Un uomo lì sotto, senza la luce, si troverebbe totalmente disorientato nel giro di venti minuti.

Ha smesso di parlare.

Io mi sentivo disorientata dopo trenta secondi. Non avrei mai mosso un passo senza la luce nonostante sapevo che la piattaforma in legno fosse abbastanza grande.

Spero di essere riuscita a portarvi laggiù insieme a me.

Erica, anzi Atmosferica.

Il confine.

Stamattina ore 8.30 ho alzato la mascherina che uso da qualche giorno per non svegliarmi con la luce puntata negli occhi. Sì è stato il regalo di Jason per il mio compleanno. Una simpatica mascherina di Tiffany con tanto di brillantini, legata ad un’immagine cartonata del volto dell’attrice. Non avrebbe potuto avere idea migliore! Stavo già pensando di comprarmela per evitare di costruire ogni sera tende artigianali con asciugamani e felpe.

Dicevo… Ho levato la mascherina e il cielo a ovest era limpido e azzurro. Il tempo di preparare Vando per il viaggio e si stava già comprendo. Da est avanzavano grandi nuvoloni grigi e il freschino non mi ha permesso di liberarmi della felpa.

Se fino a cinque minuti prima l’idea era quella di andare in gita a Penguin Island, è bastata quella visione unita ad un brivido di freddo per cambiare programma.

“Mattia!? Direi di ribaltare le nostre intenzioni. Niente Penguin Island… Direzione Donnybrook alla ricerca di lavoro. Che ne dici?”

“Concordo pienamente!”

Bene, come al solito non c’è stato bisogno di grandi discussioni per trovarci d’accordo.

Ci siamo preparati, abbiamo dato un’occhiata all’olio per controllare fosse al giusto livello e via… Vando era pronto. Noi pure.

Dopo aver fatto tappa Cappuccino Take-Away e aver rubato 10 minuti di connessione Wi-Fi al bar per controllare la strada con calma, siamo partiti.

Ora siamo in viaggio.

J-Ax ci sta dando un po’ di carica e canto per stemperare un po’ la tensione.

Sì perché mi sento abbastanza agitata. Sto per l’ennesima volta uscendo dai confini della normalità o della routine di viaggio. Mi sento come se stessi andando ad un colloquio di lavoro senza sapere con chi dovrò parlare.

Donnybrook è un paese a sud di circa 200 chilometri ricco di aziende agricole tutte specializzate nel Fruit Picking (raccolta della frutta) e nel Fruit Packing (imballaggio della frutta). Ci presenteremo e chiederemo lavoro cercando il contatto diretto con il contadino o il responsabile in loco.

Ne so quanto voi.

Per la raccolta è giusto andare a cercare nel posto giusto durante la stagione giusta e sembra che ci siamo dentro in pieno.

Mele, avocado e pere dovrebbero andare per la maggiore in queste zone.

Per quanto riguarda il pernottamento, anche lì ci sono diverse alternative. Potremmo andare in campeggio, dormire in ostelli o in Working Hostel. Questi ultimi sono dormitori dove i gestori sono convenzionati con le Farm.

Della serie: “Tu dormi da noi pagando vitto e alloggio, e noi ti mettiamo in contatto con le aziende agricole dei dintorni.”

Avendo Vando, vorremmo evitare di spendere soldi per dormire in ostello. Lui è tanto comodo e confortevole. Non ci separeremo da lui molto facilmente.

Vi dicevo che sto di nuovo uscendo dai confini. Tutto nuovo. Lavorare la terra sarà un’esperienza diversa. Vedrò animali di ogni genere, conosceremo viaggiatori provenienti da ogni luogo.

I serpenti no, quelli preferirei non incontrarli.

Non so quanto ci metteremo a trovare un’occupazione, non so quanto sarà la paga. Sappiamo che dovrà aggirarsi intorno ai 20 dollari all’ora ma se verremo stipendiati a cottimo, allora lì dipenderà dalla nostra capacità e resistenza.

Vando corre sull’asfalto. Il cielo è colmo di gonfie nuvole che corrono insieme a lui. Il sole non c’è e abbiamo fatto bene a lasciare Rokingham senza aspettare un altro giorno.

Beh… Io sono carica e voi??

Concluderei con una citazione tratta da una serie televisiva che la maggior parte di voi avrà seguito con passione.


Ad un certo punto devi prendere una decisione.
I confini non tengono fuori gli altri, servono solo a soffocarti.
La vita è un problema e noi siamo fatti così.
Quindi, puoi sprecare la tua vita a tracciare confini, oppure puoi decidere di viverli superandoli.
Ma ci sono dei confini che è decisamente troppo pericoloso varcare.
Però una cosa la so: se sei pronto a correre il rischio, la vita dall’altra parte è spettacolare.

Dr. Meredith Grey (Ellen Pompeo)
dal film “Grey’s Anatomy” di Serie TV