Di nuovo pronta.

Domenica pomeriggio.
Ricorderò tutto.
Ho catturato ogni immagine e profumo, gli uccelli parlavano e le persone si confidavano. Ho riempito le mie tasche di fotografie e passi.
Ora ti racconto. Ora ti faccio vedere.

🙂

Royal Botanic Gardens.
Oggi mi sono sentita pronta per andare.
Un parco, un angolo di pace, un ritrovo e un incontro.
Le persone siedono sul prato verde, la città guarda da lontano e la baia coccola la quiete. A due passi dalla Sydney Opera House, si aprono i cancelli dell’immenso giardino a ridosso del lago.
Ops, del mare.
Una distesa di erba curata dona acqua alle radici di alberi, ognuno con un nome, e ad aiuole colorate.
Come ti dicevo la città guarda da lontano, è silenziosa e per nulla invadente. Rispetta il suono della natura e la vedi solo se alzi lo sguardo, se vai oltre.
La pulita passeggiata in riva al lago, ops…al mare, separa l’acqua dalla terra e se ti volti, vedi la super costruzione di punte triangolari e subito attaccato il ponte.
Pare una montagna russa.

Ho visto…
Un padre che giocava con la figlia.
Due amiche sedute su una panchina di legno.
Amici che scattavano una foto di gruppo.
Lei passeggiava con il cane.
Lui sedeva sul prato con le gambe incrociate.
Un bimbo leccava un gelato a due gusti. Cioccolato e fragola. Aveva tutta la bocca impiastricciata.
Tre ragazze facevano Yoga su verdi materassini. Che posizioni strane.
Una famiglia indiana mi ha colpito. L’ho guardata passare.
Un anziano signore offriva briciole di pane a volatili di ogni tipo. Era solo.
Due innamorati si tenevano la mano, parlavano francese.
Il sole stava tramontando dietro ad un palazzo.
Il giardino era in ombra.
Un giovane ragazzo teneva tra le braccia suo figlio. Avrà avuto un mese di vita.
Lui stava sdraiato con gli occhi chiusi, l’altro leggeva un giornale.
Una ragazza bionda stava affacciata al muretto, guardava il lago… ops, il mare.
(Ero io forse?)
Pensavo a quante cose si possono fare.
Altri due innamorati correvano vicini, erano tedeschi.
Un bambino piangeva, credo fosse stanco di camminare.
Lei sedeva su un asciugamano rosso, leggeva un libro.
Loro passeggiavano in silenzio, forse dopo un litigio.

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Ho camminato tra le viuzze. Ho cercato un’uscita che non fosse l’entrata. Era grande e ad ogni bivio, un’indicazione. Quante indicazioni!
Scalini di cemento salivano verso la città, seguivo la torre dorata di Westfield. Ogni volta che non voglio perdermi, quella è una direzione sicura. Vicino a casa.

Avevo il fiato corto, ad un certo punto. Solo dopo l’ultimo scalino ho guardato verso l’alto.
Che giramento!

Sono arrivata a casa. Ero soddisfatta. Ad accogliermi un cielo infuocato voleva dirmi:
“Brava, esplora!”
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Sto ritrovando un equilibrio che avevo perso?
Sto imparando a conoscere attivamente con grinta?
Mi rendo conto che ora assorbo molto di più quel che vedo. Da quando sono a Sydney, avevo un po’ perso questa sensazione.

Era come se la bottiglia fosse piena fino all’orlo. Non trovavo spazio per altro.
Dopo un viaggio del genere, ci ho messo un po’ per tornare ad essere una spugna asciutta pronta ad assorbire, una bottiglia vuota pronta a contenere.

Di nuovo.

Erica, anzi Atmosferica.

Bondi Beach e chiacchiere.

Nelle cuffie “Halo” di Beyonce e tra le mani una giornata da raccontare.

Spesso mi piace scrivere seguendo il ritmo di una canzone, fermarmi per ascoltare le parole o lasciarmi trasportare dallo scorrere della melodia. Oppure scrivo con il silenzio, l’assoluto silenzio, quando magari i pensieri non sono così rumorosi e una musica anche soft li potrebbe coprire.

Oggi ho trascorso un bellissimo pomeriggio in compagnia di una ragazza secondo me speciale. Bondi Beach è stato lo sfondo di una passeggiata lungomare proseguita fino a Tamarama Beach. Uno spettacolo, una chiacchiera dietro l’altra e un bellissimo sole tiepido.

Ilaria è un’archeologa ligure, sbarcata in Australia grazie alla vincita di una borsa di studio. Una persona solare e in dolce attesa, un piacevole incontro e una simpatica compagnia. Vive a Losanna e l’ho conosciuta per caso, come spesso accade quando non ci si aspetta niente ma si è aperti a tutto.

Ero a cena con un’amica da “Lentil as Anything”, tradotto “Lenticchie come Niente”, un locale alternativo di Newtown gestito da volontari. Solo o in compagnia, sai che ti troverai al tavolo con altre persone che non conosci, ordini uno dei tre piatti del giorno e prima di andare via, paghi la tua cena imbucando la tua libera offerta in una scatola posizionata all’ingresso. Un’idea unica e altruista che offre la possibilità di mangiare sano, abbondante e principalmente vegetariano, a chi voglia sperimentare e magari conoscere gente nuova.

Così è successo.
Ilaria si è seduta di fronte a noi quella sera e insomma…
Da cosa nasce cosa.

Ci siamo scambiate il numero di telefono e abbiamo fissato l’appuntamento a Bondi Beach. Una pista pedonale che segue il mare e le scogliere, offre relax e ossigeno. Un andirivieni di sportivi corrono al ritmo di musica e altri meno atletici, guardano all’orizzonte o si tuffano tra le onde schiumose. Il bus 333 ti scarica direttamente di fronte alla spiaggia piena di giovani e gente ancora vogliosa di piena estate, nonostante le temperature stiano iniziando ad abbassarsi. Il venticello solleticava la pelle, qualche brivido di freddo formicolava sulle braccia ma respiravo a pieni polmoni.

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Seguendo il percorso pedonale dalla spiaggia di Bondi si giunge a quella di Tamarama. Più raccolta, più tranquilla e per questo a mio giudizio più bella e rilassante. Una passeggiata curvilinea, piccole salite, discese e rampe di scalini di cemento, la rendono variegata e movimentata. La foto in copertina raffigura la classica immagine che si trova effettuando una ricerca sul web con parole chiavi “Bondi Beach”. Finalmente ci sono andata, quella foto l’ho scattata io da una prospettiva tutta mia, scegliendo l’inquadratura che più preferivo.

Finalmente!

Tra racconti di viaggi, realtà italiana e australiana, storie passate, famiglia, amici e sogni, ho trascorso un pomeriggio spensierato e interessante. Mi sono sentita turista ma a casa, in compagnia di una persona che aveva molto da dire, da condividere e curiosa di sapere di me, di scoprire cosa si nascondesse dietro ad un sorriso e degli occhi azzurri.

Come ho raccontato a lei, non ho mai avuto questa sensazione qui. Le ho parlato della superficialità dei giovani che ho conosciuto fino ad ora. È spesso mancata la voglia di andare oltre, di mettere in secondo piano domande sul tipo di visto, sulle intenzioni future.
Ma insomma!
Interessi, hobby, passioni, emozioni, sensazioni?

Con lei tutto ciò è uscito.
Sono felice di questo. Ho condiviso del tempo con una persona non banale che mi ha fatto scavare (non per altro è archeologa) nelle mie fortune e nelle mie esperienze. Mi ha fatto ripensare al bello e al brutto che sto raccogliendo da questa esperienza, mi ha fatto realizzare che un giorno tutto questo finirà e che ripenserò alla mia Australia con un cuore pieno di mare e sole, di viaggio, di pace, di chilometri e tramonti, di stelle, di città e paesaggi. Avevo per un attimo perso di vista il mio obiettivo, stava quasi diventando normale essere in questa terra. Lei mi ha fatto capire che sono fortunata ad avere del tempo da spendere qui, mi guardava con occhi curiosi e stupiti quando le ho raccontato del mio viaggio e proprio lì mi sono accorta di aver fatto una grande cosa, un grande giro.

Le ho detto che realizzerò la vera grandezza di quel che ho fatto, quando guarderò tutto da lontano. Quando un aereo mi porterà via e mi verrà voglia di andare ad aprire quel cassetto che porta l’etichetta di “Australia”, per tornare a sognare.

Le ho detto che renderò ogni giorno speciale, nonostante qui pochi capiscono cosa voglio dire. Le ho detto che ci vedremo in Italia, ci terremo in contatto e che magari andrò a trovarla in Svizzera dove vive in compagnia del suo fidanzato e dei suoi progetti sull’archeologia. Conoscerò il suo pargolo che nascerà in settembre e quando passerà da Milano, ci faremo una bella chiacchiera davanti ad uno Spritz sulla terrazza che si affaccia sul Duomo.


Grazie Ilaria per questa bella giornata.
Spero non ti disturbi l’idea di essere stata la protagonista del mio articolo di oggi ma, d’altronde, è il prezzo che pagheranno tutte quelle persone degne di nota che incroceranno la mia strada.

Erica, anzi Atmosferica.

Cara Zia Angi…

Ore 18 di questo venerdì pomeriggio. Come vedi, Buio.
Guardo questa immagine dalla mia stanza e mi sento persa. Oppure mi sento trovata. Non so, devo prendermi del tempo per ascoltarmi.

Come fai a “trovarti” se non ti sei “persa”?
“Perdere” per arrivare al nucleo, al nocciolo, all’essenziale, all’essenza di quello che siamo…
…Ma Sydney te lo permette?

Un bacione, Zia Angi.

Ciao Zia Angi,
vorrei ringraziarti perché con questo commento, hai scaturito in me una riflessione lunga tutto il giorno. Ora ti racconto quello che frulla nella mia testa e affronterei volentieri insieme a te questo vasto e complesso argomento chiamato “Perdizione”.

Quello che penso io è che tutti ci siamo persi, ci stiamo perdendo o ci perderemo. Tutti ci perdiamo ogni giorno. Anche solo immergendoci nei nostri pensieri ci perdiamo. Parlando per me, io intendo la perdizione come la qualsiasi situazione che mi presenta un bivio, una doppia scelta, un’incognita. Banalmente, ogni giorno è pieno di perdizione. Il primo momento è quello del risveglio. Anche in quel caso siamo davanti ad un bivio, ad una voce motivante che ci dice di alzarci dal letto perché fuori c’è il sole oppure ad una voce pigra che ci suggerisce di dormire ancora qualche ora.

La perdizione fa parte di tutti noi e di tutti i nostri momenti privati e condivisi. Bisogna riconoscerla e conoscerla, affrontarla e sceglierla, parlare con lei e rispondere alle sue domande.

Se ci pensi, cara Zia Angi, ci sono persone talmente perse da non aver mai avuto la forza e il coraggio di prendere grandi decisioni per la loro vita o per loro stesse. Decisioni di ogni tipo, facili o difficili. Quelle sono le persone che non sanno decidere se acquistare la maglietta nera o quella bianca, non sanno se hanno voglia di mangiare carne o pesce, non sanno rispettare un appuntamento e non sanno dare un consiglio ad un amico. Sorridono, ti guardano con occhi pieni di luce e vivono un po’ sulle nuvole, nel mondo delle favole dove niente va preso seriamente. Parlo di loro non per giudicarle negativamente, anche perché sto semplicemente dicendo che vivono una vita di perdizioni consecutive senza rendersene conto. Io mi perdo sempre e mi piace un sacco. Quello che ci differenzia è solo quel pizzico di consapevolezza. Quindi fondamentalmente sono persa quanto loro. Ci tengo a dire però, che sono le persone che forse vivono le emozioni più forti, affrontano la vita con sorpresa e perennemente in bilico. Forse a loro piace il senso del rischio e dell’inaspettato, fanno pazzie e grandi dimostrazioni, amano intensamente e regalano verità. Sono loro a non saper che strada prendere ma quando con fatica riescono a decidere, piangono dall’emozione nel vedere cosa si nasconde dietro l’angolo.

Ci sono persone, d’altro canto, che hanno talmente paura di perdersi e di trovarsi indecise o impreparate da programmare ogni singolo istante della propria realtà. Sono loro che hanno paura, non vogliono imprevisti, ancor prima di andare al negozio, scelgono che vogliono la maglietta nera, programmano settimanalmente il menù di pranzo e cena, arrivano dieci minuti in anticipo ad un appuntamento e ascoltano attentamente le confessioni dell’amico formando nella loro testa il consiglio di cui questo potrebbe necessitare, ancor prima che egli dimostri di averne bisogno. Come fossero a scuola e dovessero sostenere un importante esame. La spesa la fanno il sabato in tarda mattinata, la benzina una volta a settimana e le pulizie la domenica prima del giro al parco o al centro commerciale se c’è brutto tempo. Non disprezzo nemmeno queste persone. Dico loro che dovrebbero vivere in maniera meno schematica per assicurarsi una vita piena di tramonti arancioni, stelle cadenti e leggere risate con gli amici. Vorrei dire a loro che programmare ogni giornata con vere e proprie tabelle di marcia, è limitante.
E se il piano va storto?
Se si buca la gomma della macchina?
Se il treno è in ritardo?
Se l’appuntamento con il fidanzato salta?
Se Tizio non risponde al telefono?
Se un imprevisto di lavoro le trattiene in ufficio?
Se Caio fa una sorpresa e citofona alle 10.30 del sabato mattina proprio quando stanno uscendo per andare a fare la spesa all’Esselunga?
Non dovrebbe essere un dramma.
Dovrebbero essere semplicemente abili e felici nello stravolgere i piani e optare per un pranzo fuori con Caio, amico che non vedevano da una vita. Un caro amico.
Ed è qui che scatta la perdizione, è qui, che intervengono ansia, cattivo umore e nervoso.

MA PERCHÈ?

Cara Zia, sarebbe bello che ognuno si mettesse in gioco e decidesse di affrontare ogni giorno con la naturalezza e la predisposizione ad accogliere quel che viene. Sarebbe bello che ogni giorno sia inteso come un regalo e che ognuno acquisisca la consapevolezza che la perdizione fa parte di ognuno di noi e di ogni momento più o meno importante. Questa rende la vita frizzante, non banale, emozionante, curiosa e sorprendente. La rende sempre diversa, persa, in continua ricerca e ricalcolo. La rende bella.

Per quel che riguarda la fine della giornata, il momento di più grande perdizione, per me, è la gestione dei pensieri che scoppiano come fuochi d’artificio nella mia testa appena rilasso la schiena sul materasso e la testa sul cuscino. Il cervello rimane acceso, gli occhi aperti e una serie di scintillanti colori, mi fanno stare sveglia.
Per un po’.
Mi abbagliano, non mi fanno dormire, mi ipnotizzano in uno spettacolo ogni volta nuovo e io sono curiosa di seguirli, guardarli. Mi lascio travolgere. Mi piace la mia perdizione.

Alla tua domanda, cara Zia Angi, rispondo che Sydney lo permette.
Sì.
La risposta è sì.
Sydney offre tonnellate di perdizioni, permette di ritornare al nucleo, al nocciolo, all’essenziale, all’essenza di quello che siamo…
Ma sai Zia…
…questa città potrebbe chiamarsi anche New York, Londra, Madrid, Los Angeles, Melbourne, Parigi o Mosca.
Ogni città non può essere più forte del mondo che abbiamo dentro.
Resta sempre e comunque una città, troppo piccola per paragonarla all’immensità che è la nostra anima.

Ti abbraccio e ti voglio bene, tua Erica.

Perdere la strada.

Sto iniziando a valutare l’idea di non tornare a casa subito dopo il lavoro. La prima mezz’ora è ancora adrenalinica ma poi piglia la stanchezza e la voglia di relax. Vorrei far fruttare di più i miei pomeriggi, prima che arrivi il buio pesto alle ore DICIOTTO. Le giornate si sono accorciate, ieri sera me ne sono resa conto quando ho guardato l’ora e ci sono rimasta male. Già a quell’ora il cielo era scuro, illuminato solo dai colori dei palazzi e dagli aerei in decollo. Detto ciò, non escludo la possibilità di scriverti più tardi nei prossimi giorni, magari prima di dormire.

Ti porto in perlustrazione nel quartiere dello shopping sfrenato. Westfield apre le danze in Pitt Street, la via pedonale che offre famosi marchi come Zara, H&m, Forever21 e chi più ne ha, più ne metta. Se sei donna, puoi capire la mia disperazione nell’avere tutto questo bendidìo a pochi metri da casa. I negozi in questi giorni lanciano sconti da pelle d’oca, H&m svende tutto ciò che è rimasto della collezione estiva a 5, 10, 15 dollari. Una tragedia. Ormai l’autunno è iniziato, nelle vetrine cappotti e stivaletti vanno per la maggiore ma la temperatura è ancora alta.
Alle sei e trenta del mattino una felpa in cotone basta e avanza mentre, durante il giorno, la manica corta va ancora di moda.

🙂

Ti stavo parlando di Pitt Street. Sì, è una via tranquilla e piena di artisti a tutte le ore. Andarci per due passi, lasciando il portafogli a casa, è diventato un must degli ultimi giorni. Curiosare, prendere spunto, immaginarmi con indosso vestiti strepitosi, sentire l’aria della città che stimola il mio lato fashion, mi piace.
D’altronde oh, so’ donna.
Tutti quei giorni nel niente, nel deserto, a condurre una vita fatta di minimo e indispensabile, mi hanno resa oggi più cosciente di quel che sono anche sotto questo punto di vista. Mi sto immaginando donna, nel tram tram milanese, penso allo stile che più mi rispecchia e mi sto applicando per farlo uscire, per sentirmi bene, a mio agio, disinvolta e particolare.

Non voglio dire che in Italia non era una mia caratteristica o una mia passione  quella della moda ma voglio farti capire che non mi ero mai spogliata del superfluo per capire chi realmente sono. Non mi sono mai guardata dall’esterno con la voglia di rivestirmi, reinventarmi, proiettare sul mio corpo la mia vera essenza.

Non è facile.
Bisogna avere gusto e una forte personalità per non combinare pasticci e per uscire davvero.

Pitt Street, tra un negozio e l’altro, attraverso tunnel illuminati di colori e insegne abbaglianti offre la possibilità di inoltrarsi nel fantastico mondo sotterraneo di Westfield. Ci sono andata due volte e ancora non ho capito quanto sia grande. Una città sotterranea di negozi, ristoranti, agenzie di viaggi e bar, si dispone su tre piani. Tra scale mobili e balconi di vetro, risulta scintillante e sempre piena di gente. Camminando sotto terra, puoi sbucare fuori in vari punti della città, io sono arrivata a Town Hall, ti avevo parlato della piazza e del municipio. Ricordi?
Cercherò di capire quale sia la fine di quel labirinto, ad ogni bivio ci sono indicazioni stradali proprio come se fosse un vero paese.

Ma chi l’ha inventata Sydney?

Per George street, destra.
Per Market Street, sinistra.
Per York Street, ricalcolo percorso.
Appena possibile effettuare inversione ad U.

🙂

Oh santo cielo!

Che senso di perdizione!!

Beh, comunque è divertente. Quando ho tempo, mi piace perdermi.
Credo che perdere la strada, sia in assoluto il modo migliore per conoscere una città. Solo così puoi scoprire scorci suggestivi, angoli nascosti e passaggi segreti.

Per quanto riguarda la vita, beh…perdere la strada penso sia il modo migliore per conoscersi e ritrovarsi. Solo così puoi scoprire lati sorprendenti, emozioni mai provate e sensazioni nuove.

Se poi tutt’intorno ci sono negozi invitanti e saldi al 50%, benvenga.

Erica, anzi Atmosferica.

Quella volta, mi premiò.

Hai sentito la mia mancanza ieri?

🙂

Devi scusarmi ma, appena uscita dal lavoro, era troppa la voglia di passeggiare per la città, tenere quel momento di sole solo mio, senza pensare a niente e nessuno. Avevo voglia di dedicare del tempo a me stessa e di fare quel che mi sentivo.

La promessa che mi sono fatta quando ho deciso di iniziare a scrivere, è stata una.

Essere sempre vera.

Sarebbe stato semplice buttare giù qualche riga ieri sera, una volta tornata a casa ma non ci avrei messo la concentrazione giusta e non ti avrei dato l’attenzione che meriti.

Dunque. Cheddire.
Il lavoro prosegue alla grande, ormai ho i miei orari e i miei impegni. Mi sto ambientando, sto prendendo manualità e mi sento sempre più leggera nel mantenere concentrazione. Capirai bene che i primi giorni sono sempre i più duri. Ho voluto assorbire come una spugna ogni insegnamento, critica, sguardo e battuta simpatica. I miei colleghi di lavoro sono molto amichevoli e solari ma, quando si tratta di lavorare, la serietà viene prima di tutto e ognuno di loro pretende e necessita di trovare in me un appoggio, una spalla.
Appurato ciò, basta agire di conseguenza.
Mi presento dieci minuti in anticipo ogni mattina (ore 6:50), preparo la mia postazione, mi assicuro che non manchi niente e alle 7:00 sono operativa al mille per mille.

Tra un toast e l’altro, tra una canzone canticchiata silenziosamente e uno scambio di risate, la mattinata passa e le ore di lavoro filano lisce. Molti sono i momenti di pienone in cui i lavoratori fanno la pausa caffè o passano per uno spuntino a metà mattina.
La clientela è seria e sofisticata, pretende un servizio di un certo tipo e a volte anche personalizzato.

Oggi Paola, la mia collega colombiana che lavora lì già da tempo, mi ha detto che piano piano dovrò acquisire dimestichezza con il menù e le varie tipologie di caffè in modo da essere in grado poi, di prendere anche gli ordini.

Nei prossimi giorni, quindi, “la ragazza dei toast” si improvviserà anche “cameriera”.

Oggi ho pensato a una cosa.
Sto riuscendo in ogni circostanza, a mantenere l’umiltà di chi vuole imparare. Questo paga sempre. Quando mi spiegano cose che non so, ascolto con attenzione e dimostro di mettere in pratica l’insegnamento alla prima occasione. Quando però, mi danno istruzioni su cose che già so fare, dentro di me penso…

“Senti, questo non me lo devi insegnare, già lo so!”

…Ma ovviamente non lo do a vedere!
🙂
Grande sorriso e “Sì” con la testa.
Grande sorriso e “Sì” con la testa.
E poi ancora…
Sorriso e “Sì” con la testa.

AHAHAHAHA

Eggià. Il modo migliore per essere accettati e ben accolti dai colleghi, in un nuovo posto di lavoro, è dimostrare voglia di imparare e consapevolezza di essere gli “ultimi arrivati”.
Se anche ciò che ti spiegano lo sai già, ascolta con attenzione ugualmente.
Quella persona potrebbe vedere del buono in te, potrebbe voler guarire le tue insicurezze, vorrebbe magari farti sentire a casa e non immaginerebbe mai che quella cosa te l’hanno già spiegata TRECENTO volte in TRECENTO ristoranti diversi.

Ci sono volte in cui, capisci di doverti attenere ad un modo di lavorare diverso da quello che hai sempre messo in pratica e considerato giusto. Potrebbero averti insegnato che i bicchieri si asciugano in quel modo, e invece…ora ti dicono che quel modo è sbagliato.
Potrebbero averti insegnato che i clienti si accolgono in una certa maniera, e invece…ora ti mostrano che il cliente si accoglie diversamente.
In un ambiente di lavoro ogni singola azione è studiata, soprattutto quando gli spazi sono piccoli e a vista. La pulizia è la prima cosa, l’ordine, la divisione dei compiti, la precisione, la delicatezza e il buon senso. Poi vengono il sorriso e la motivazione, la voglia di fare e di migliorare, l’umiltà di voler imparare anche se non si tratta del lavoro della vita.

Voglio sfruttare al massimo il periodo che mi rimane da vivere in questa città, voglio sentirmi a casa anche se sono di passaggio e voglio imparare, nonostante le mie aspirazioni lavorative siano rivolte verso altri campi.
Questo è il mio momento, questa è la mia Sydney e quando racconterò la mia esperienza, ricorderò che quella volta il manager mi fece i complimenti per come avevo lavorato.

Ricorderò che per farmi andare a casa felice, mi premiò a fine giornata con un croissant farcito con nutella e mandorle.

Erica, anzi Atmosferica.

Australia. Nozioni di base.

Oggi scrivo per te che mi hai chiesto informazioni di carattere generale sulla’Australia, per te che stai pensando di fare un’esperienza analoga alla mia ma non sai come soddisfare alcune tue curiosità, per te che stai decidendo se accettare o meno una proposta di lavoro che ti porterebbe a vivere qui, dall’altra parte del mondo.

Cercherò con questo articolo di essere il più esaustiva possibile. Parlerò dell’Australia in generale e delle sue città in maniera più o meno approfondita. A Perth ho vissuto per un mese e mezzo, Adelaide, Melbourne e Canberra le ho incontrate sulla strada del mio viaggio e ora mi trovo a Sydney dove mi sono stabilizzata da una quindicina di giorni.

Mi hai fatto domande molto generiche e a seconda della città in cui tu stia decidendo di proiettare i tuoi progetti, le cose cambiano notevolmente.
Comunque…
Ci provo.

AUSTRALIA:
Questo tema posso affrontarlo in maniera strettamente personale. Ognuno qui vive la propria esperienza, in ogni caso si rivela un’avventura trasformante che si riflette in un cambiamento profondo, radicale. Parlando per me, oggi, dopo quasi cinque mesi, dico che è un Paese che ricopre le vesti di un piccolo mondo a sé stante. La sensazione che provo qui da quando sono arrivata, è quella di essere troppo lontana da tutto, in uno Stato totalmente autonomo e molto distante dagli altri continenti sia in termini di distanza che in termini di mentalità e realtà. L’Australia si basta e si vuole bastare, è molto vanitosa. Ho visto e visitato luoghi magnifici, in qualche occasione ho sentito il fiato mancare e se la tua idea è quella di viaggiare, allora ti dico VIENI PURE!
È grande, molto grande. Pensa bene alla tua meta e sappi che in caso cambierai idea, il viaggio in macchina da una parte all’altra è molto lungo. Davvero lungo. In aereo sono circa quattro ore di volo.

Quando ho deciso di partire non mi sono appoggiata ad un’agenzia. Per ottenere il visto che prende il nome di “Working Holiday Visa”, è necessario compilare un modulo sul sito del governo australiano. Al termine dell’inserimento dei dati, ti viene richiesto il pagamento di 440 AUD (dollari australiani). Non mi dilungo sul tema visto ma se hai bisogno, non esitare a chiedermi ulteriori informazioni.
Una volta ottenuta conferma per e-mail, ho proceduto all’acquisto del volo. Il sito migliore per valutare prezzi, tratte e scali, è senza dubbio Skyscanner il quale viene costantemente aggiornato con le offerte della gran parte delle compagnie aeree.

Per i primi giorni di permanenza a Perth (destinazione da me scelta), ho prenotato una stanza su Airbnb, efficiente sito attraverso cui puoi affittare una stanza da privati evitando di buttarti nella confusione degli ostelli e risparmiando di molto rispetto agli alberghi.
Ti ripeto che sto parlando della MIA ESPERIENZA PERSONALE, non è obbligatorio agire come ho ritenuto giusto fare io, al tempo della mia partenza (Novembre 2015).

Il clima ora non è più quello estivo. Parlando di Sydney, le temperature sono calate e si aggirano sui 25 °C. Molti viaggiatori, infatti, si stanno spostando nel Queensland, Stato di Brisbane dove il caldo persiste. Più si sale, più ci si avvicina ai tropici e più fa caldo.

PERTH (Western Australia):
È una città nuova, in fase di crescita ed espansione. Parlando di quel che ho visto, vissuto e percepito, non mi ha entusiasmata. Ci ho abitato per un mese e mezzo e non ho la presunzione di dire di conoscerla bene. Ho respirato però la sua atmosfera di pace e tranquillità, molte volte l’ho sentita malinconica e spenta. È secondo me una città per famiglie o da visitare per massimo una settimana. Il centro è piccolo, costituito da tre vie principali, l’azienda di trasporti pubblici si chiama Transperth ed effettua un servizio efficiente in tutte le zone limitrofe. Un’applicazione per smartphone e una tessera magnetica ricaricabile, rendono gli spostamenti veloci e semplici. Quattro linee di bus gratuite, circolano nei quartieri più centrali.

Non ti consiglio di andare a Perth se hai voglia della pienezza di una città movimentata e grande. Ti consiglio di sceglierla se hai intenzione di starci per qualche periodo, per poi viaggiare verso nord, o verso sud. In questo senso l’unica vera città del Western Australia, è un ottimo crocevia o punto di partenza per un road trip più o meno impegnativo. Non mi dilungo sul tema “road trip” perché come sai, avrei TROPPO da dire.

Gli affitti a Perth sono i più bassi. Io stavo in una stanza condivisa in Hay Street, una delle tre vie centrali. Il costo era di 155 AUD alla settimana con Wi-Fi e spese incluse. Per una singola o per una matrimoniale, il prezzo sale a circa 180/200 AUD a testa. Molte sono le case e le opportunità di convivenza, sta a te cercare la situazione che più ti aggrada. Molte pagine Facebook pubblicano annunci continui, il trucco è tenerle sotto controllo quando il periodo prescelto per la tua partenza inizia a farsi vicino.

ADELAIDE, MELBOURNE, CANBERRA:
Su queste città non posso esprimermi più di tanto. Sono passata in ognuna per pochi giorni e posso parlarti solo di quelle che sono state le mie impressioni.

Di Adelaide ricordo il traffico, la struttura rettangolare del sistema viario, la zona di Chinatown, parecchi bus, pochi tram e la via pedonale che mi ha fatto ripensare a Perth. Zero grattacieli, pochi palazzi e tramonti mozzafiato nella zona ovest che si affaccia sul mare. Gli ultimi tramonti memorabili li ho visti lì. Se vuoi leggere gli articoli che ho scritto nei giorni di permanenza ad Adelaide, basta che digiti il nome della città nella sezione di ricerca del sito.

Di Melbourne posso dirti che mi è piaciuta un sacco! Città viva, movimentata, frizzante e alternativa. Tram moderni e altri più datati, costruzioni e facciate colorate danno un tocco di magia e la folla attraversa sulle strisce pedonali esibendo i look più particolari e bizzarri. Concordo con il luogo comune secondo cui Melbourne è una città dallo stile Europeo. Anche lì ci sono stata davvero per poco, se vuoi leggere cos’ho scritto a riguardo, inserisci “Melbourne” nella barra “CERCA”.

Canberra, infine, è una città politica e composta, silenziosa e pulita, centro delle decisioni governative. Non mi ha dato emozioni particolari, ho visitato il Parlamento ed è stata una gita interessante. Nulla di più.

SYDNEY:
Eccoci qui, nello Stato del New South Wales.
In pochi minuti ti ho fatto fare un tour pazzesco!
Ti gira la testa?
Sydney è molto grande e io personalmente devo ancora capire quanto sia vasta. Nasce su una baia e decine di ponti collegano i quartieri che popolano la costa. Qui percepisco molta ricchezza, molta vita, molta Asia, una continua crescita, esibizionismo, esagerazione e tanto turismo. Il costo della vita è molto più alto rispetto a Perth, quasi doppio. Se nel Western Australia pagavo 155 AUD per una stanza in condivisione con un’altra ragazza, qui ne spendo 190 per un letto in una camera da quattro. Puoi fare i tuoi conti e capire che se volessi avere una stanza tutta mia, l’affitto arriverebbe a toccare i 350 AUD alla settimana.
Per quanto riguarda i trasporti pubblici, bus e treni/metro viaggiano a tutte le ore. L’azienda si chiama Opal la quale offre un servizio efficiente attraverso l’applicazione per smartphone e la tessera magnetica ricaricabile presso uno dei molti Convenience Store della città aperti 7 giorni la settimana, 24 ore al giorno. Muoversi in città è semplice, le vie principali toccano le estremità della zona centrale e per raggiungere una destinazione mi capita anche di percorrere due chilometri nella stessa strada. Tutto dritto.
Situazione lavoro molto favorevole.
Come ti dicevo molti backpackers si stanno spostando verso nord dove le temperature sono ancora più che estive. Nel settore della ristorazione le possibilità sono buone, nelle costruzioni anche. Importante sono la motivazione, la voglia di fare, il sorriso, una minima esperienza e un inglese base. La paga oraria parte dai 18 AUD all’ora.
A Sydney come nelle altre città, il supermercato più economico è il Coles che costituisce una grandissima catena. Subito dopo viene il Woolworths.
Come ti ho detto qui è tutto molto più caro ma ci sono delle eccezioni che confermano la regola: per un cappuccino spendi 3.50 AUD, per un abbonamento settimanale in palestra 16 AUD e se prendi spesso i mezzi, la quarta corsa è gratuita. A me capita spesso di spostarmi in bus, in treno un po’ meno e per una corsa di circa 20 minuti, il costo si aggira intorno ai 3 AUD.
Non so…
Sto cercando di farti avere un’idea.
Ci sto riuscendo?

Un gelato (cono con due gusti) costa 4 AUD,
un ticket per l’ingresso all’acquario SeaLife 40 AUD,
quello per salire sulla Sydney Tower Eye 70 AUD,
una pagnotta costa 2 AUD,
due banane 1,50 AUD,
una cena al ristorante giapponese 25 AUD,
un abbonamento mensile telefonico costa 30/40 AUD
50 fotocopie a colori 50 AUD. Non scherzo.

Insomma…
Gli australiani si sentono molto speciali. Le attrazioni turistiche costano, gli affitti anche. Per il lavoro basta essere positivi e non arrendersi alle prime difficoltà, i trasporti sono puntuali e precisi, la città è grande e ancora devo ambientarmi.
Queste sono informazioni di carattere generale, se hai bisogno di approfondire qualche tema, scrivimi pure.

Spero di esserti stata d’aiuto!

🙂 🙂 🙂

Erica, anzi Atmosferica.

Cronache di una domenica australiana.

Buongiorno!!

Ti scrivo dal primo pomeriggio di una domenica australiana.
Da pochi giorni mi sono trasferita al piano di sotto del letto a castello e mai come nelle ultime notti, mi sono fatta un paio di dormite pazzesche. Qui sotto ho la possibilità di creare una sorta di capanna, utilizzando coperte, per ripararmi dalla forte luce della mattina. Non esistono tapparelle e quando inizia a farsi giorno, gli occhi si strizzano come spugne. Ho iniziato a utilizzare la spiritosa mascherina per la notte che mi aveva simpaticamente regalato Jason al mio compleanno.
Che invenzione favolosa.
Che regalo intelligente.
Caro Jason.
Ora sono riparata e mi posso svegliare quando voglio o quando la sveglia suona ma non di certo per la luce chiara e fastidiosa.
Sarà stranissimo, un giorno, tornare a dormire al buio.
Buio totale.
Magari avrò paura.
🙂

Ah…
Lo sai che stanotte abbiamo spostato l’orologio un’ora indietro?
In pochi giorni siamo passati dalle dieci, alle otto ore di fuso. Questo mi piace. Dieci ore di differenza erano davvero tragiche per me, il giorno e la notte erano esattamente invertiti e per comunicare con chiunque, dovevo aspettare l’ora di pranzo italiana, nonché le undici di sera, mezzanotte.
Una tragedia!

Da domani inizierò a lavorare regolarmente. Ricoprirò ufficialmente i turni della ragazza cilena che è ripartita per il proseguo del suo viaggio. C’è chi si ferma e c’è chi riparte.
Sempre di viaggio si tratta.
Io sono proprio contenta di lavorare in quel Coffee Bar dall’atmosfera giovanile e musicale. Mi sento bene. Inizierò la mattina alle sette e concluderò il mio turno verso le due del pomeriggio. Un orario ottimo che mi permetterà di mantenere le mie abitudini, gli spazi per le mie scritture e avrò tutto il pomeriggio per fare la turista, la spesa, una passeggiata o un aperitivo.

Ieri sera sono uscita a divertirmi con i miei coinquilini. Due francesi, due colombiane e due brasiliani. Ho ballato, parlato, socializzato, ho passato una bella serata spensierata.
Stanotte ho sognato in inglese.
Oh Oh
Dicono che quando succede, significa che la lingua inizia ad ingranare, speriamo! Non ti parlo del contenuto del sogno perché ancora lo devo analizzare, ma comunque ricordo perfettamente che ero madrelingua inglese.
🙂

Sotto casa un ponte pedonale collega le due rive della baia. Quando barche troppo grandi devono accedere al piccolo golfo, la parte centrale del ponte si snoda ruotando su se stessa e apre un varco per permettere il loro ingresso. Il flusso dei passanti viene bloccato per qualche minuto da transenne, un po’ come accade al passaggio di un treno quando le rotaie tagliano la strada.
Semaforo rosso.
Pazienza.
Meglio spegnere il motore.

Queste sono le dinamiche che seguo dal balcone di casa.
È divertente!

Ogni sabato sera alle 21 parte puntuale lo spettacolo pirotecnico. I fuochi d’artificio sparano colori e luci tra la baia e il ponte esplodendo in fontane di stelle cadenti, scoppiettanti salici in chiusura e pioggia bianca.
Che è?
È sempre festa per voi?
IMG_7033Quando esco per le mie passeggiate, mi piace attraversare il ponte a qualsiasi ora del giorno e della notte.
È sempre molto suggestivo.

Stava per farsi sera, il sole era basso e camminavo con la luce negli occhi. Non vedevo molto, ero come abbagliata. Dal Futuro. Le bandiere segnavano la strada ma per il resto, troppa luce!
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Allora, per riposare la vista mi sono girata, alle mie spalle era tutto chiaro, nitido e illuminato. Era bellissimo. Il Passato.
Lassù c’era anche casa mia.
IMG_6987.largeErica, anzi Atmosferica.

Into the Wild.

Due anni lui gira per il mondo: niente telefono, niente piscina, niente cani e gatti, niente sigarette. Libertà estrema, un estremista, un viaggiatore esteta che ha per casa la strada. Così ora, dopo due anni di cammino arriva l’ultima e più grande avventura. L’apogeo della battaglia per uccidere il falso essere interiore, suggella vittoriosamente la rivoluzione spirituale. Per non essere più avvelenato dalla civiltà lui fugge, cammina solo sulla terra per perdersi nella natura selvaggia.

Christopher McCandless – Into the Wild


Attraversa fiumi e pianure infinite, si lascia trasportare da un treno merci e si trova in una città di grattacieli. Los Angeles. Guarda le gigantesche costruzioni con stupore, cammina disorientato per la strada e si trova a chiedere l’ora ad un passante in giacca e cravatta che gli risponde guardandolo schifato. La faccia sporca, lo zaino pesante, troppa confusione, i capelli sporchi di viaggio e natura e lo sguardo perso nelle luci della città.

Non ha una lira, non conosce il domani e si trova a chiedere informazioni ad una nera signora dai capelli corti, allo sportello di accoglienza di un dormitorio. Lei gli regala un cioccolatino, gli offre un letto e lo rende felice.

Quella è per lui vita.

La sera, da quel quartiere malfamato, si trova ancora una volta a guardare i possenti grattacieli da lontano, seduto su un marciapiede, casa di tanti senzatetto per i quali, un letto non c’era. Ha respirato in quel momento la differenza abissale tra la povertà e quel qualcosa di tanto grande ma per lui inutile, la ricchezza. Si scontravano senza parlare, nel silenzio assordante di quella notte.

Proseguendo la sua passeggiata notturna, passa davanti ad un locale. La gente parla costruendo rapporti di pura facciata, finti, di convenienza, dialoghi ubriachi riempiono le bocche di vino rosso e vodka liscia, la musica copre le voci, uomini corteggiano donne solo per dimostrare una virilità inesistente davanti agli occhi degli amici che guardano divertiti e lui, intanto, segue tutto con gli occhi pieni di odio.

Che rabbia.

Tornato in dormitorio, ringrazia la nera signora per la sua gentilezza, prende il suo zaino e riparte.

La stessa notte.

È troppo incazzato per restare.


Si trova ora in Alaska, nell’azzurro bus abbandonato diventato la sua casa, un rifugio dal freddo e dall’infinita natura selvaggia. Nel mezzo del niente, nascosto dietro a dei cespugli. Sta male, ha fame ma non è riuscito a cacciare nessun animale. Una pianta velenosa gli ha causato un forte malessere.
Pensa di morire intossicato.

Si trova così a ripensare a tutte le persone incontrate, alle strane situazioni che lo hanno arricchito e segnato. Quell’anziano avrebbe voluto prenderselo in casa come fosse suo nipote, la sua famiglia si stava tutt’ora chiedendo dove fosse finito, quella ragazzina lo aveva abbracciato con il cuore a duemila, la coppia hippie lo aveva trattato come un figlio offrendogli cibo, compagnia ma soprattutto amore.

Si sente solo e pieno di sconforto per pensare alla vita di domani. In quello stato di terribile vuoto, dove ogni energia manca, ha la forza di prendere in mano la sua penna nera e il suo diario, ha la lucidità di scrivere:

“Happiness is only real when shared”

“La felicità è reale, solo se condivisa”


Il viaggiatore alla ricerca di se stesso, si è forse spinto troppo lontano. È andato in un posto sperduto dove non ha saputo cercare la propria vita prima della propria anima. La fame di conoscenza, ha messo in secondo piano gli altri bisogni fisiologici che prima o poi avrebbero gridato aiuto. Leggeva e non cacciava, scriveva e il tempo passava. Quel bus abbandonato è stato probabilmente la vera casa che non aveva mai avuto, un rifugio dove scavare a fondo.

Ha trovato la fine guardando il cielo e piangendo lacrime di gioia.
In Alaska.

La vita è una continua ricerca e non avrà mai una risposta finale e certa, conclusiva, chiarificatrice. Bisogna sapersi mettere in gioco, accettare le sfide e una volta trovata una risposta, passare alla domanda successiva. La vita deve essere uno stimolo continuo e non deve mai essere intesa come un cammino, nel deserto, senza una meta.
Senza direzione.
Senza acqua.
Senza.

Deve essere un atto di coraggio, una scommessa sì, ma non un gioco d’azzardo.

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Erica, anzi Atmosferica.

“Hi, how are ya?!”

Oggi vorrei affrontare il delicato argomento del
“Hi, how are ya?!” australiano.

È il loro modo di presentarsi, introdursi, salutarti, accoglierti o farti sentire a tuo agio. Letteralmente significa “Ciao, come stai?!”.
Fino a qui tutto normale starai pensando. Nulla di strano. Nulla di nuovo.

Io credo che di normale non ci sia poi molto e se devo dirla tutta, la cosa sta iniziando a darmi fastidio. La trovo un’esclamazione finta, una frase fatta, mai personalizzata, mai rivolta davvero a me. Inizialmente cercavo di prenderla ironicamente, cercavo di accogliere una nuova cultura, un nuovo punto di vista e una nuova prospettiva. Qui dove tutti dicono sia la terra dei sorrisi per strada e della popolazione più socievole al mondo, ho sempre provato a miscelarmi tra usanze e nuovi costumi, tra i modi di dire e di parlare.

Però qui si tratta di una questione più fragile.

Se vai alla cassa per pagare due banane e un pacco di pasta, se prendi l’ascensore e incontri accidentalmente uno sconosciuto, se ti scontri per caso con un passante o se vuoi ordinare un cappuccino take-away, sappi che la prima cosa che ti verrà detta è: “Hi, how are ya?!”.

Ma poi perché devono dire “Ya” al posto di “You”?

Molte volte mi sarebbe piaciuto rispondere in modo inaspettato. In tante occasioni avrei potuto sorprendere il mio interlocutore, ma non l’ho ancora fatto. Avrei potuto esclamare un italianissimo “Ciao caro, tutto regolare, grazie mille!”.

Lo faccio eh, prima o poi lo faccio.

Durante i primi mesi, non riuscivo a gestire la novità tanto da trovarmi in difficoltà. Non sapevo cosa rispondere. Non riuscivo a capire se le persone me lo dicessero perché realmente volessero sapere se stavo bene, o se me lo dicessero solo così, giusto per aggiungere quelle tre parole ad un semplice e banale “Hi!”.

Ma dico io…
Cari miei…
Vi chiedo gentilmente di dirmi una volta per tutte, quale dovrebbe essere la risposta corretta, il modo per uscirne serena senza diventare paonazza cadendo in un abissale imbarazzo. Eh si perché le ho provate tutte. Ho provato a rispondere con un “Fine thanks!”… della serie “Sto bene, grazie!”, ho provato ad esibire un abbagliante sorriso che potesse depistare eventuali brutte impressioni, ho risposto anche “Fine thanks, and you?” ovvero… “Sto bene grazie, e tu?”..
Ecco.
Errore.
Errore clamoroso.
Se vuoi essere talmente gentile da ricambiare l’attenzione, la tua domanda non verrà minimamente presa in considerazione. Non riceverai risposta. Come sono abituati a porre la domanda, sono altrettanto abituati a non rispondere alla risposta. Tu rimarrai così, come un ebete, ad aspettare che la persona in questione ti dia velocemente il resto che stai aspettando o che sparisca dalla tua vista nel minor tempo possibile in modo da tornare a sentirti tranquillo e in pace con te stesso.

🙂

Per sentirmi pronta e mai più indecisa, ho stabilito quale sarà la mia risposta. Quando un qualsiasi sconosciuto mi dirà: “Hi, how are ya?!”
…io esordirò decisa con un…

“Fine, thank you very much!”.

“Sto bene, grazie mille davvero!”

Ci aggiungo il VERY MUCH, in modo da dimostrare la mia riconoscenza a chiunque si stia informando sulla mia salute e stato mentale. Non aggiungerò altro però, da oggi non dirò una parola di più anche perché loro non se la aspettano e non è determinante per fargli credere che tu sia o meno una persona educata.

Se dovrà nascere la più interessante conversazione della vita, non avrà bisogno di una risposta fatta per liberare le anime al dialogo.
O no?
Mi sembra di avere sempre un’espressione accogliente, due occhi più socievoli di un finto “Ciao, come stai?” e pronti a captare qualsiasi stimolo esterno, anche quello che potrebbe arrivare da un qualsiasi passante, anche quello che potrebbe cambiarmi la vita senza introdursi con un banale “Hi, how are ya?!”.

Erica, anzi Atmosferica.

Ora posso cantare vittoria.

Ora posso cantare vittoria.

Negli ultimi giorni varie vicissitudini, mi hanno sballottata da una parte all’altra della città vedendomi protagonista di ben tre prove di lavoro in tre posti diversi.
Un cinema!
La contentezza e la sorpresa di ricevere una telefonata da un datore di lavoro che non sai se sarà il tuo, se sarà lui, tanti fattori che giocano nella maturazione della convinzione di voler davvero quel posto, di sentirti giusta per quel tipo di mansione, con quei colleghi e nuovi compagni di avventura.

Perché è così no?
Un ambiente in cui passerai gran parte delle tue giornate, deve piacerti e farti stare bene, deve metterti a tuo agio e trasmetterti energia positiva, deve vestirti, deve far uscire il tuo carattere e la tua migliore personalità. Deve rispecchiarti. Non ho mai sopportato situazioni di tensione, competizione o stress, è giusto andare al lavoro con il sorriso e svegliarsi carichi per affrontare l’ennesima giornata al servizio degli altri.

Ti avevo parlato di quel posticino che è proprio una “chicca”.
Beh, dopo una prova di tre ore, il gestore mi aveva detto che sarei stata confermata per tre giorni a settimana. Al momento avevo accettato, ero arrivata da pochissimo e non avevo altre alternative.
Ora, dopo una settimana movimentata e decisiva, in cui le vacanze di Pasqua hanno messo in pausa anche quell’attività, mi trovo a dover dire “No” al piccolo bar gestito dai due giovani ragazzi italiani.

Il destino e tutto ciò che accade sempre per un motivo, mi hanno fatto incontrare Antonio. Ricordi? Lui mi ha indirizzato in un paio di zone della città dove avrei potuto sentirmi a mio agio in ristoranti dal profilo semplice e non troppo sofisticato come quelli di Darling Harbour o Elisabeth Quay. È proprio da quelle parti che la Pizzeria Via Napoli, ha attirato la mia attenzione. Una prova di un paio d’ore anche lì, è andata bene. Colleghi connazionali, un solo ragazzo inglese e per il resto un ambiente molto veloce, dinamico, pieno di gente, italiano fino al midollo e molto solare. Mi piaceva ma non abbastanza.

L’idea di lavorare in un ristorante italiano, iniziava a pesarmi ancora prima di vederla realizzata pienamente. Il mio sesto senso quel giorno mi aveva fatto entrare lì perché avevo bisogno di calore, dialetto meridionale e aria di casa. Dopo la prova, sono tornata ad aver bisogno di sfida, situazioni straniere, stimolanti e meno coccolose.

È così che Antonio, sempre lui, mi dice che al bar dove lavora una sua amica, stanno cercando personale. Questa sarebbe stata la soluzione ideale. Lavorare la mattina presto, per le colazioni, tra irlandesi, cileni, colombiani, tedeschi e australiani, dietro a un banco e non correndo tra tavoli e pizze troppo calde.
La prova al Table Sixty, è stata quella decisiva.
Si trova dietro a casa mia in Carrington Street, tre minuti a piedi, il bar fa parte di un elegante ristorante che occupa il piano terra di un edificio centrale. Lì fuori tante sono le fermate dei bus ed è per tanti un punto di passaggio prima di entrare in ufficio.

Finalmente non ho più pensieri preoccupati, da domani lavorerò dal lunedì al venerdì, il locale è chiuso nel weekend.
Ogni giorno mi sono chiesta tempo, il lavoro che cercavo sarebbe arrivato e anche se si tratta di un breve periodo, lo meritavo.

Io sono la ragazza dei toast e sto tirando un enorme sospiro di sollievo.
Questo era il cielo alle sette meno un quarto, stamattina, appena uscita di casa. Un raggio di luce, un alberello autunnale e tanta, tanta, voglia di lavorare.

Erica, anzi Atmosferica.