Ma alla fine di tutto questo…

Questo era il cielo appena fuori Sydney, era pieno, intenso e tipicamente Atmosferico. L’ho immortalato perché era autentico e mi riempiva. Era vero. Le nuvole gonfie, la luce del sole e il senso di profondità che solo il cielo australiano può spiegare.

Oggi riguardando l’immagine, sento che quel momento lontano, è già diventato un ricordo, qualcosa che non rivedrò più e sembra incredibile, quasi finto. Disegnato. Dipinto. Creato.

Per fortuna non ho mai lasciato passare giorno senza guardare lassù per almeno dieci minuti. Per fortuna ho raccolto nella mia testa tanto azzurro e blu stellato. Per fortuna è tutto qui, ben custodito. Nel viaggio che mi ha portato qui è stato divertente seguire il cielo è rincorrere le nuvole, vederlo di colori sensazionali o più scuro di un mare profondo. È stata ricorrente la sensazione di unione che lui giornalmente mi regalava insieme al mare. In fin dei conti sono entrambi immensi e infiniti, accomunano il mondo, uniscono le terre e toccano tutta l’umanità. Sono gli unici a poterlo fare. Mi hanno aiutato dandomi forza e accorciando distanze quando mi sentivo troppo lontana.

Lontana da tutto.

Qui a Sydney sono cambiati di nuovo i colori, la città cambia il cielo e questo a sua volta cambia il colore del mare. Di riflesso. L’attenzione si è spostata sulle persone e sui palazzi, sui grattaceli. Lo sguardo va su, ma non abbastanza e si ferma alla punta di alte costruzioni innalzate verso vette altissime e illuminate ma non infinite. Qui percepisco limiti e il gioco di colori di grandi vetrate ma non c’è l’infinito del cielo. Qui finisce velocemente e riempie spazi piccoli, chiusi e inquinati. Lo spirito di osservazione è aumentato del 300%. Guardo la gente che cammina, i giovani che si tengono per mano, quelli che attendono di attraversare al semaforo e noto il comportamento di automobilisti e camionisti. Sto studiando i mezzi, le stazioni e le tratte dei bus. Ho visto i lavoratori in pausa pranzo, la mattina presto diretti verso l’ufficio e la sera alle 17 uscire puntuali con la camicia non stropicciata e la cravatta ancora perfettamente annodata.

Mi sto facendo un’idea di tutto, nulla mi sfugge.

Poi vi dirò…

Da questa parte sento molto più forte la lontananza e le dieci ore che mi separano dalla vita italiana. Sì, la vita del futuro potrà sembrarvi divertente, ma quando ricevi un messaggio o una chiamata e puntualmente è per te ora di andare a dormire, non è per nulla incoraggiante. Sei costretto a bloccare la comunicazione tra uno sbadiglio e l’altro, per non addormentarti ogni volta alle due del mattino.

Intanto i giorni passano.

Sto abituandomi quindi, a vivere gran parte della giornata senza sentire l’esigenza di condividere ciò che mi succede con amiche, sorelle o genitori. Quando riesco a sentirli con calma, racconto tutto d’un fiato tralasciando inevitabilmente dettagli importanti o emozioni ormai scemate o trasformate in altre più forti o più recenti.

Sono piena di voglia di vivere questa città, proprio come quel cielo…ma sono anche spesso vuota per la mancanza di condivisione con chi vorrei, con chi è vicino ma lontano.

Troppo lontano.

Questo è il principale motivo per cui non vivrei mai in Australia. Il contrasto tra pienezza ed immenso vuoto potrebbe farmi male e accrescere sempre di più la distanza fino a farla diventare ancor più pesante. La vita è fatta di amore, del profumo di un abbraccio, della comprensione di uno sguardo e del calore di una mano. Qui per me è tutto senza profumo, tutto piatto e freddo, troppo distante per sentirlo.

Tutto.

Conoscerò Sydney e accoglierò ben volentieri ciò che avrà da offrirmi. Guarderò la città con positiva energia e grande predisposizione. Scatterò fotografie e farò nuove conoscenze, lavorerò e farò la turista, mi godrò l’ultimo caldo e poi le temperature miti che verranno. Ascolterò i rumori dopo il silenzio e ogni giorno seguirò l’evoluzione di lavori in corso delle mille gru posizionate in cima ai palazzi. Catturerò pezzi di vita e musiche mai sentite, starò a sedere sul balcone di casa con le mie scritture tra le mani, mi divertirò a scambiare due battute con i miei coinquilini francesi, brasiliani e colombiani, mi vestirò elegante per uscire a cena o per un giro nel centro. Subirò attivamente lo scorrere del tempo rendendo ogni giornata degna di essere raccontata, arricchirò la quotidiana routine di piccoli e nuovi obiettivi, mi prenderò la calma di sviluppare idee e andrò a ricercare stimoli creativi dove mi porterà il cuore. Immaginerò il mio futuro, pianificherò una nuova partenza e mi informerò per esaudire piccoli desideri con coscienza, penserò in segreto a nuove avventure e poi racconterò a voi le mie emozioni e le sorprese.

Questi sono i programmi ma alla fine di tutto questo, volerò nelle mani calde delle mie sorelle, nella comprensione di uno sguardo amico e nell’abbraccio profumato della mamma.

Giornata profonda e piena come quel cielo.

Erica, anzi Atmosferica.

Riflessioni di Viaggio.

Amici miei, come mi ha detto una persona speciale facendomi sorridere…

…ormai viaggio più di un piccione!

Sono connessa da Canberra, la capitale d’Australia. Mai nessuno ne parla, mai che senta nominare questa città, mai mi è capitato di parlare con qualcuno che l’abbia visitata o ci abbia vissuto anche per un lungo o breve periodo che sia.

La domanda sorge spontanea…

Perché?

Sono venuta così a curiosare. Nel tragitto che collega Melbourne a Sydney, una deviazione porta il nome di Canberra. Una città piccola ma ricca, importante ma misteriosa. Domani andrò a toccare con piedi le sue strade e con mano gli edifici che la abitano. Finalmente conoscerò il suo volto e respirerò la sua aria! Non avrei mai potuto tirare dritto senza dedicarle almeno una mezza giornata. Mai.

Sono parecchio stanca e accaldata. Oggi abbiamo macinato 600 chilometri per arrivare qui, portandoci più vicini a Sydney. Non so se si percepisce ma sono gasata e vogliosa di mettermi in gioco in una grande città piena di folla! Uh la folla!Dovrò muovermi per cercare un lavoro e una casa, farò nuove amicizie, mi stabilizzerò e mi rilasserò.

Ho bisogno di fermarmi e guardare la realtà da un punto saldo. Ripercorrerò tutto il viaggio che mi ha portato fino a lì e magari andrò a rileggermi qualche articolo scritto nei mesi passati. Nella mia testa un turbinio di emozioni mi sconvolge e capovolge ogni volta che focalizzo quel che è stato e che provo a immaginare quel che sarà.

Scusate ma devo mantenere l’attenzione e non perdere di vista chi sono, cosa sto facendo, dove sto andando e perchè. Non voglio essere precisa o troppo inquadrata, semplicemente non voglio perdermi. Non sarà facile tenere a bada ogni tipo di emozione e sensazione. Mi prenderò tempo per riposarmi, perché si… Devo riposarmi.

Quando avrò un morbido materasso sotto la schiena e potrò abbassare le tapparelle fino a lasciar fuori anche il minimo spiraglio di luce, mi sembrerà di sognare ad occhi aperti.

Sono le ultime notti in Vando e il pensiero mi rattrista. È come se dovessi dire addio ad un compagno di avventura degno di lode, sempre presente ed estremamente protettivo. Lo saluterò augurandogli una buona continuazione di viaggio attorno alla grande Australia. Trasporterà altre persone, regalerà altre emozioni e sarà un guerriero per almeno altri 100 mila chilometri.

Sarà di altri e magari prenderà altri nomi.

Lui saprà per sempre, però, che “Vando” è stato solo per noi.

Erica, anzi Atmosferica.

Quattro mesi a Melbourne.

Scrivervi dall’88esimo piano dell’Eureka Skydeck di Melbourne, è una figata pazzesca.

In parole spicce, mi trovo sulla punta del grattacielo più alto da cui è possibile vedere tutto, scrutare le costruzioni e capire la conformazione della città. Da quassù è molto facile capire quanto dista dal mare, seguire il corso del fiume che la attraversa e spaziare oltre la parte centrale dove una zona periferica molto vasta fa da contorno.

Come dice il titolo dell’articolo, inizia oggi il quinto mese di viaggio. Il quarto si conclude, quindi, con l’incontro con Melbourne…

…e che incontro!

La giornata di perlustrazione è iniziata con un giro panoramico sul tram 35. L’unica linea gratuita che compie un tour rettangolare, seguendo il perimetro della parte centralissima della città. Subito sono rimasta sconvolta dal sovraffollamento del mezzo, fiumi di parole, fiumi di persone per la strada e fiumi di diverse culture. È proprio vero che qui si respira un’aria europea tanto che questo corso d’acqua che caratterizza la scena, mi ha ricordato per un momento Londra. Sarà anche il tempo coperto e grigio, sarà che tendo sempre ad associare una città nuova con un’altra già vista e visitata, ma questo è quello che ho pensato.

Decine di costruzioni altissime mi danno l’idea di pienezza e di crescita. Qui credo facciano bene ad innalzare edifici verso il cielo, non c’è più spazio! Una sensazione del tutto opposta me l’ha data Perth, e chi mi legge dagli inizi, ricorda bene l’impressione negativa e vuota che mi davano quei palazzoni di pura facciata.

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Melbourne è viva, variegata e piena di gente di tutti i tipi. Turisti da ogni dove scattano centinaia di fotografie, ragazzoni dallo stile azzardato attraversano a passo spedito con un caffè d’asporto tra le mani, donne eleganti parlano di lavoro al cellulare, molti bambini piangono nei passeggini e le ragazze si esibiscono in lunghe sfilate.

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Questo è quello che vedo insieme a tanti colori. La cattedrale dallo stile gotico, è immersa tra costruzioni pazzesche e super moderne dove il colore fa da linea guida nel progetto. Vetrate rosa, taxi gialli, infrastrutture fuxia e blu. Pennellate qua e là rendono il tutto più sorprendente, insieme alle giostre che colorano il fiume di mille luci.

Sono felice di essere qui e di essere riuscita a farmi un’idea di questa città tanto nominata ma mai spiegata. Ho potuto constatare che mi piace e se l’istinto non mi spingesse verso Sydney, ci rimarrei qualche mese. È molto giovane e arzilla, è ben servita da efficienti linee di tram e treni, da quassù vedo lo stadio, campi da tennis e lunghi vialoni alberati. Vedo un parco, il mare e una piazza chiusa tra bizzarri edifici.

È nuova, è veloce e grande, molto grande.

Beh, è stato un potente incontro che segna l’inizio del quinto mese. Melbourne ha riacceso in me la voglia di città anche se non è ancora questo il luogo e il momento. È come se avessi conosciuto una persona che mi abbia aperto gli occhi verso un nuovo mondo. Un concetto già conosciuto ma mai approfondito o paragonato all’alternativa. È come se ora riuscissi a cogliere l’essenza della città.

Avendo vissuto in luoghi deserti e per niente popolati per questi mesi di viaggio, ora la città mi chiama. È un richiamo che sento forte e chiaro, sento l’adrenalina di una nuova sfida, voglio rivivere tra la folla veloce che cammina spedita prendendomi la calma di osservare.

Sono pronta e consapevole che tutto ciò che vediamo, è il riflesso di quel che siamo. Una città ti sorride se sei tu il primo a sorridere, altrimenti, ti verrà solo voglia di scappare.

Erica, anzi atmosferica.

Il meglio di me.

Ecco che in un batter d’occhio, mi trovo a scrivervi dal Victoria, la Regione che ospita la città di Melbourne. In pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il Western Australia e il South, posizionandoci così ai posti di blocco per una nuova meta. La strada che ci separa dalla grande città si chiama Great Ocean Road e anche solo il nome può dirvi molto. È uno dei tratti più spettacolari dell’Australia a cui è difficile rinunciare scegliendo così di percorrerlo non badando a strade alternative, più brevi.

La connessione Wi-Fi in questo campeggio di Warrnambool è potente e stranamente di durata giornaliera. Posso così prendermi la calma di scrivervi e sbizzarrirmi più tardi sul web facendo un sano zapping tra siti di mio interesse.

Oggi me la godo.

Siamo partiti stamattina da Mount Gambier (Sembra anche a voi un nome francese?) dove abbiamo passato la notte e prima di riaccendere i motori, abbiamo visitato il Blue Lake. Un lago formatosi nella bocca di un vulcano che mette a tacere ogni possibile lamentela o borbottìo. Sulla ringhiera lucchetti colorati, di amici o innamorati, hanno attirato la mia attenzione diventando parte integrante del paesaggio, della visione.

Una giornata grigia e umida ci ha accompagnato fino a qui, per 187 chilometri verso sud-est.

Per combattere con il problemino di cui vi ho parlato ieri, mi sono piazzata alla guida, ricercando stimoli creativi nella concentrazione. Quando si viaggia, tutto passa veloce ma può succedere che pensieri birichini, vogliano essere ancora più veloci azzardando con un sorpasso sulla sinistra (Qui è vietato!!). Ti trovi così sorpreso e impotente davanti a un azzardo del genere, vai su tutte le furie ma devi placare l’istinto di accelerare per corrergli dietro.

È difficile ma devi, altrimenti finisci per farti male.

Nel tragitto abbiamo deviato per Portland, un paesino sulla punta di una piccola penisola, attraversando valli verdi coperte dalla nebbia. Eh sì, una fitta nebbia. Il paesaggio era collinare e la strada seguiva le sue curve, mucche nere nere pascolavano nutrendosi di sana erba e pecore grigie grigie si intonavano con il cielo. Non avrei mai pensato di imbattermi in banchi di nebbia del genere ma appunto per questo, è stato suggestivo. Sorprendente.

Sulla punta di Portland, ho visto l’orizzonte dell’oceano annebbiato e ho iniziato a “canticchiare” inconsciamente quella poesia di Carducci che la Maestra Enza mi aveva fatto imparare a memoria alla scuola elementare.

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar.”

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La prima strofa faceva così e continuavo a ripetere quella perché parlare de  “l’aspro odor dei vini” o dello spiedo che gira sui ceppi accesi scoppiettando, mi sembrava del tutto fuori luogo.

🙂

La Maestra Enza.

Che ricordi che ho rispolverato…

Mi voleva bene ed ero la sua seconda preferita dopo la Bonfanti, la sua cocca nonché mia migliore amica. Ricordo che quando aveva bisogno di un quaderno di italiano per ricordare a che punto si fosse fermata con la spiegazione la lezione precedente, chiedeva sempre il suo. Il mio lo chiedeva solo quando la Bonfanti era assente.

Iniziai così a scrivere come lei e a comportarmi come lei perché sotto sotto, avrei voluto essere io la cocca della Maestra Enza. Ricordo che era una signora di mezza età e portava occhiali da vista con lenti spesse spesse. Sulle sue labbra non mancava mai un filo di rossetto e sulle sue unghie uno smalto rosato. Quando si arrabbiava faceva abbastanza paura e quando si lasciava andare a momenti di dolcezza, mangiava il suo Pocket Coffee che custodiva golosamente nel taschino.

Al momento di imparare le poesie a memoria diventavo matta. Mia mamma mi aiutava e ricordo che ripetevo la stessa manfrina più e più volte, commettendo più e più volte gli stessi dannati errori.

Invece che dire…

“Va l’aspro odor dei vini..”

dicevo…

“Va l’aspro odore del vino…”

Banale errore che toglieva poesia alla poesia. Non riuscivo ad immedesimarmi nello scrittore, nella sua mente, nelle immagini da lui descritte. Studiavo come fossi una macchinetta, senza capire il significato di quei versi in rima che mi facevano impazzire per lunghe ore. Al momento dell’interrogazione, mi batteva il cuore, mi sudavano le mani e ripetevo meccanicamente quel che avevo ripassato fino alla noia, la sera precedente.

Volevo essere perfetta, almeno come la Bonfanti. Volevo prendere un bel voto e tornare a casa soddisfatta dalla mamma. Ogni volta però, qualcosa mi bloccava e non riuscivo mai a dare il meglio di me.

Vorrei incontrare la Maestra Enza, vorrei farle leggere una poesia scritta da me. Magari quella che ho scritto quando “Il deserto, mi ha parlato.” oppure quella che ho scritto su “Una panchina blu e bianca…” in quel poetico 4 Dicembre. Vorrei recitargliela e prendere finalmente un voto, il mio voto.

Il meglio di me.

Erica, anzi Atmosferica.

Il blocco dello scrittore.

Oggi sono totalmente bloccata.

La mia mente ripensa ad un simpatico aneddoto, accaduto circa un mese fa quando ancora lavoravo in Farm a Pemberton.

Matteo in uno dei nostri discorsi, ricordo che mi parlò di quanto fosse stupito dal fatto che io avessi qualcosa da dire ogni giorno. Questa sua riflessione, lo portò a rivolgermi una domanda:

“Ma se un giorno ti capiterà di avere il “blocco dello scrittore” che farai? Di che parlerai? Non scriverai?”

In maniera disinvolta e simpatica risposi:

“Beh, parlerò del “blocco dello scrittore” e cercherò di capire cosa mi lascia senza parole…”

🙂

Credo sia arrivato il giorno.

Non che non abbia nulla da raccontare, anzi avrei molto da dire, ma credo che i miei pensieri siano così fitti e nervosi da non farsi prendere, analizzare, selezionare. Sento un forte baccano nella mia testa, accentuato dal vento che mi sbatte in faccia entrando dal finestrino di sinistra.

Potrei provare insieme a voi, a capire il motivo di questo intasamento. Voglio provare a gettare l’amo e, se un po’ di fortuna mi assisterà, pescherò i pesci più grossi e sostanziosi… In questo mare agitato che non si dà pace. Mi sono resa conto di questa difficoltà quando, dopo aver scritto qualche riga, cancellavo e riscrivevo. Cancellavo e riscrivevo di nuovo. E poi ancora…

Vorrei parlare a voi Donne che mi leggete, vorrei scrivere del nostro viaggio che da Adelaide sta proseguendo verso sud e vorrei, attraverso la scrittura, spegnere questa forte insofferenza che mi chiede insistentemente un letto, una stanza, un armadio.

Procedendo con ordine, vorrei dire a tutte voi Donne che siete una potenza incredibile. Non dimenticate mai, e dico mai, quanto siete speciali per voi stesse, per le altre Donne e per gli Uomini della vostra vita. Se non ci fosse questa forte forza che mi tira verso il basso, oggi, riuscirei a trasmettervi più energia e motivazione ma vi chiedo di cogliere questa mia vicinanza espressa in poche righe e senza troppi giri di parole.

Tanti auguri a tutte voi e se per caso oggi non riceverete gialle mimose, fregatevene perché non sono dei banali fiori a determinare il vostro grado di importanza nel mondo e nella vita. Voi siete vita. Voi date la vita.

I fiori colorano una stanza di profumo, voi rendete il mondo migliore.

Vi dedico il tramonto di Adelaide, con i suoi colori e la sua atmosfera. Condivido con voi questa palla infuocata che illuminava i miei vestiti e l’acqua del mare, diffondendo una luce dorata nel buio della sera.

Il secondo argomento da affrontare è il nostro viaggio. Stiamo scendendo verso la città di Melbourne ma prima di toccare la meta, faremo delle soste lungo la strada. Ovviamente. Potete geolocalizzarci a Mount Gambier, a sud di Adelaide di circa 400 chilometri. Nonostante sia iniziata da qualche giorno la stagione autunnale, qui il caldo non si è ancora placato e finché lì da voi non smette di nevicare, penso che per la storia dei contrari, qui continuerà a persistere un caldo direttamente proporzionale al vostro freddo.

Il terzo argomento è quello della sofferente insofferenza che mi colpisce sempre senza preavviso. Sto ascoltando il mio corpo e i miei bisogni, sto parlando tanto nel mio silenzio e sto andando a fondo di parecchie questioni. Mi sto analizzando. Ormai è dal 28 Dicembre che vivo una vita nomade, dormendo in un Van Mitsubishi, caro e insostituibile Vando. Gli sarò per sempre grata dei meravigliosi posti che mi ha fatto vedere sfidando temperature ardenti e tempeste impetuose, ma il mio fisico inizia a cedere. Ultimamente sento il bisogno di sprofondare in un letto, di ripiegare ordinatamente i miei vestiti in un armadio e di avere un bagno tutto mio, senza doverlo condividere con le signorotte che sto incontrando nei campeggi di tutta Australia. Credo di aver bisogno di stabilità e di spazi solo miei dove potermi ritrovare e riordinare, rilassare e ascoltare. Dall’altro lato però, questo mio bisogno deve essere placato ancora per qualche giorno. Devo fare pace con corpo, anima e cervello perché non è ancora il momento…

Non posso fermarmi, non ora.

Erica, anzi Atmosferica.

Se Vuoi, Puoi.

“Parecchi chilometri più avanti, ormai quasi arrivati al primo obiettivo, veniamo colpiti in piena faccia da una visione. A bocca aperta fissiamo un po’ più avanti, a sinistra. Scopriamo il punto di incontro tra il foglio piatto di terra gialla che ci ha accompagnato fino a quel momento ed il mare. Rallentiamo e prendiamo una stradina laterale. Facciamo qualche centinaio di metri e arriviamo al bordo. Ci fermiamo. Siamo estasiati. In trance. La spianata bruciata termina bruscamente e precipita in mare, trasformandosi in scogliere mozzafiato dai colori stratificati, costantemente picchiate dalla forza delle onde che vi si infrangono senza pietà. Da un lato il cielo è ancora carico di nuvole scure ma dall’altro il sole è tutto impettito perché vuole colpire il mare, dandoci la possibilità di osservare avidamente le mille sfumature di azzurro che racchiude in sé. È tutto così selvaggio, crudo, mai toccato dall’uomo, millenario. I confini dell’Australia, quelli più aspri ed esposti, alti, impenetrabili, invivibili. Il vento ci scompiglia i capelli, il sole ci ferisce gli occhi ma non ce ne preoccupiamo. Quello che abbiamo di fronte è quello che tutti sognano di vedere prima o poi nell’arco della propria vita.”

“La storia di un’Immigrata allo Sbaraglio” di Francesca Cabaletti

Sono queste le parole che Francesca Cabaletti, nelle vesti di Immigrata allo Sbaraglio, utilizza nel suo libro per descrivere quella magica immagine che si presenta senza preavviso davanti ai suoi occhi, e a quelli di suo marito, durante la traversata del Nullarbor Plain, il deserto. Credo che sia riuscita a descrivere magnificamente e senza sforzo lo spettacolo che quella visione le abbia scaturito fuori e dentro, un insieme di colori e forze vitali che si incontrano in un punto.

Quel punto.

Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovata anche io a percorrere quella stessa strada infinita.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei potuto constatare la potenza e la verità di quella descrizione che mi aveva tanto affascinata quanto lasciata incredula.

Mi sono trovata così ad inserire parole chiave nella sezione di ricerca del libro digitale che tengo gelosamente nel mio telefono, per andare a rileggere spezzettoni in cui lei descrive con tanta precisione ed emozione quell’indimenticabile esperienza. Quell’infinita traversata. Quelle strane emozioni che risultano incomprensibili fino a che non le si vive in prima persona.

Ora, rileggendo le sue parole, tutto è comprensibile, credetemi.

Ricordo che prima di partire, mi ritrovavo a leggere i suoi libri e i suoi articoli nei miei viaggi in treno che mi portavano al lavoro o la sera, prima di dormire. Fantasticavo dando colori e profumi alla mia immaginazione, chiedendomi se mi sarebbe stato possibile, un giorno, toccare con mano quella sabbia o sentire sulla mia pelle la salsedine trasportata dal vento impetuoso.

Leggevo senza riuscire a programmare perché la pianificazione della partenza era già troppo ingombrante ma, dentro di me, sapevo che mi sarei portata là dove il cuore batte più forte e la vita sembra quasi un sogno. Prima o dopo, mi sarei trovata in quel punto, dove ti rendi conto che tutto è possibile, anche il dolce incontro tra un’arida pianura ed un mare pieno di rabbia.

Mi sono così trovata anche io in quel posto, percorrendo la stessa stradina laterale di rossa terra battuta. Mi sono trovata anche io ad incassare potenti emozioni causate da giocosi scherzi della natura.

Uh…come si diverte.

Nel momento in cui stai respirando, ti colpisce con una folata che ti sposta di mezzo metro. Nell’attimo in cui stai per schiacciare il bottone sulla macchina fotografica, ti accorgi che il cielo ha cambiato improvvisamente colore e rimani lì a guardare pietrificata dimenticandoti di immortalare l’immagine. Nell’istante in cui pensi di aver osservato abbastanza, il mare esprime il suo disaccordo ricoprendoti di schizzi il viso.

Tutto questo è da vivere.

Questo è il motivo per cui sono qui.

Per vivere.

Sono qui per fare mie queste sorprese. Sono qui perché questa terra ti apre talmente tanto che non puoi più pensare di nasconderti dietro a inutili paure, ai “Potrei” e ai “Vorrei”. Sono qui perché se tutto questo esiste, è giusto che vada vissuto e io personalmente, non ci avrei mai rinunciato.

Ringrazio Francesca Cabaletti che nel suo libro autobiografico , ha stimolato all’ennesima potenza la mia voglia di scoperta e di ricerca, mi ha detto in tutte le salse che avrei potuto volare se solo avessi osato e che le storie del “Potrei” e del “Vorrei” sono tutte cazzate.

Quel punto di incontro ne è la testimonianza.

Se Vuoi, Puoi.

Erica, anzi Atmosferica.

Hello from Adelaide.

Tanti cari saluti da Adelaide.

Questo nome suona bene nella mia testa, mi piace.

Sembra quasi una città italiana, mi viene facile pronunciarla a differenza di Perth. Sì perché è sempre stato un problema capire come posizionare la lingua per dire correttamente quel nome. Vi giuro, però, che ho sempre evitato di italianizzarlo dicendo “PEEERT” con la “E” spalancata e la “T” dura come quella di un “TRONCO”.

Chiusa questa parentesi, siamo arrivati qui nella prima città che si tocca nel South Australia, provenendo dal Western. Dopo migliaia di chilometri nel vuoto, mi ha fatto effetto incontrare semafori rossi e dover pazientare in mezzo al traffico. Per un istante mi sono sentita nervosa ed insofferente nel dover aspettare tutto quel tempo. Muovevo le gambe e continuavo a cambiare posizione sul sedile.

“Dai! Forza!! Circolate!”

Se avessi avuto super poteri, avrei sicuramente velocizzato i tempi.

Non ci siamo subito addentrati nel centro preferendo rimanere nella zona residenziale di periferia, dove abbiamo fatto una tappa necessaria al supermercato e prenotato tre notti in campeggio.

Ci troviamo quindi già a casa, il cielo è azzurro e il prato è curato da qualche individuo assai preciso. Vando è parcheggiato su una piazzola di cemento rosso, allineato perfettamente con altri Van e Roulotte. Si sta bene senza le maniche e con le braghe corte, ma non c’è il caldo che abbiamo patito in questi giorni durante la traversata.

I quartieri periferici sono tranquilli. In ampi viali alberati sono disposte con precisione grandi case piatte e larghe, garage puntualmente incorporato nel lato destro della villa e jeep rigorosamente parcheggiato davanti. Sono tutte di colore rosso, marrone o beige e sono tenute alla perfezione, precise, ordinate e apparentemente nuove, pulite e ricche.

Netto contrasto con le case degli ultimi paesi del Western Australia. Nulla a che vedere con quelle zone abbandonate e prive di luce dove vedere una persona seduta in giardino a leggere un libro, sarebbe stato un vero miracolo.

Siamo vicini all’aeroporto e attaccati alla West Beach. Mi prenderò il tempo per andare a curiosare dietro a questa fila di alberi e siepi che mi separano dal mare, come per fare molto altro. Poi vedrete! Sopra le nostre teste, quindi, prendono il volo aerei bianchi e arancioni. Che effetto vederli decollare. Ripenso inevitabilmente a quando ho spiccato il volo e mi trovavo schiacciata dalla pressione a quel sedile che, nel giro di trenta secondi, aveva già preso la mia forma. Guardavo fuori dall’oblò, felice e curiosa di sapere quel che sarebbe stato di me. Ero tranquilla, non avevo paura e mi sentivo comunque al sicuro.

(Avrete già capito che oggi sto andando a ruota libera. Non sto seguendo un filo del discorso, ma è proprio questo il bello. Seguitemi voi!).

Oggi abbiamo quindi viaggiato per 309 chilometri, la distanza che separava Port Augusta da Adelaide. Inutile ribadire che sono state tre centinaia di spazi deserti, gialli e secchi. Due sagome al lato sinistro della strada hanno catturato la mia attenzione.

“Mattia rallenta…”

Ci avviciniamo, erano due ciclisti.

Papà erano due ciclisti!

Lui e lei, erano affaticati e molto attrezzati. Un sorriso di soddisfazione è comparso sul loro viso, quando hanno capito di essere i protagonisti della mia fotografia. Hanno alzato un braccio per salutare e per comunicare gratitudine. Non so da dove siano partiti, non so per quanti chilometri abbiano pedalato. Tenendo conto che nei 1900 chilometri che li precedevano, c’era il deserto più secco e aridamente assoluto che ci possa essere, credo proprio siano partiti da Perth. In questo momento staranno ancora pedalando ma devo dire che ormai sono decisamente a buon punto.

Stima e rispetto per loro.

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Ne approfitto e vi faccio vedere anche il maratoneta incontrato ieri nel tratto da Ceduna a Port Augusta. Ve ne ho parlato nell’articolo precedente e penso che vedere la sua immagine, renda la sua descrizione ancor più toccante. Alle sue spalle potete vedere la strada già da lui percorsa e vi invito a fare una riflessione: prendete quel tratto di circa un chilometro e moltiplicatelo per 1986 volte. Ecco, quell’uomo sta conquistando passo dopo passo ogni singolo metro di quel rotolo bollente che si stende sotto ai suoi piedi.

Un mito.

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Penso che la tenacia, la forza di volontà e lo spirito di avventura di queste persone, superi l’inimmaginabile.

Sono senza parole.


Nei giorni passati, mi sono arrivati parecchi messaggi indiretti da voi che leggete. Vorrei fare un appello a tutti gli amici di amici, parenti di parenti, cugini di cugini, amiche di sorelle e amici di genitori, dicendo che avrei il piacere di parlare direttamente con voi! Sarei curiosa di scambiare due parole con ognuno di voi, avendo così il riscontro che desidero.

Potete scrivermi qui sotto lasciando un commento, oppure se volete lasciarmi un messaggio, un’impressione o una critica in privato, potete farlo sia attraverso la pagina Facebook di Atmosferica  sia con una semplice e-mail a erica.maddaloni@gmail.com

A domani!

Erica, anzi Atmosferica.

Il vuoto del vento.

Qui a Caiguna, il forte vento fresco non si è ancora preso un attimo di riposo da ieri sera.
Partiti da Norseman, ci siamo fermati qui per la notte dopo 350 desertici chilometri. Quasi quattro ore di emozioni nuove, di frizzante adrenalina che aumentava sempre più man mano che scorrevano veloci le aride miglia.

Questa è quindi la prima sosta sulla strada che ci porterà ad Adelaide, una strada lunga 1986 chilometri. Penserete a Caiguna immaginandola come un piccolo paesino. Vi sbagliate. Posso elencarvi brevemente quello che il posto offre: un benzinaio, un povero bar, un “campeggio”.

Sulla strada sono numerose le aree in cui cartelli blu, segnalano che è possibile la sosta gratuita di 24 ore. Abbiamo optato, però, per un campeggio in modo da avere la possibilità di farci una doccia e lavare via la stanchezza e il sudore della giornata ventosa e molto calda.
Il sole tramonta circa un’ora prima del solito. Ieri sera alle 18.30 era già buio, questo perché ci stiamo dirigendo sempre più verso est e verso il confine tra Western Australia e South. Supereremo quindi, nel giro di due giorni, la linea che divide le due regioni, trovandoci a spostare la lancetta dei nostri orologi di ben due ore e mezza in avanti in un paese che prende il nome di Border Village (Il villaggio di confine).

🙂

Lì la nostra giornata si allungherà nuovamente e non avremo più la sensazione di vivere una piena stagione estiva con giornate più brevi di quelle invernali. Non so se mi spiego.

Ieri sera, quindi, abbiamo cucinato fusilli al pesto utilizzando il fornello da campeggio. Una torcia ci permetteva di orientarci nel buio mentre attirava a se moscerini fortunatamente non pungenti.
I nostri amici inglesi, Jonny e Jamie, hanno riscaldato cibi in scatola già pronti dove il bacon non poteva mancare.

È stata la prima esperienza da veri viaggiatori. Appena dopo la cena una bufera di sabbia ci ha costretti a fare ordine velocemente evitando di perdere nel vento sacchetti, bicchieri o posate. È stato difficile e per un momento ho quasi pensato di fregarmene… Cercando riparo dentro a Vando.

Verso le 22 già dormivamo. Mentre cercavo di prendere sonno una strana sensazione di piccolezza mi ha assalito. Per la prima volta mi sono sentita minuscola e in balìa della natura, impotente e grande quanto un granello di quella sabbia che volava impetuosa.

Mi sono sentita parte integrante della natura ma allo stesso tempo, colpita con violenza.

È stato bello ma anche brutto. Mi sono addormentata salutando la Terra, immaginando una distesa di niente attorno a me e tutte le persone a me vicine, molto lontane.

Prima di chiudere gli occhi ho proprio mandato un pensiero alla mia Mamma, al mio Papà, alle mie Sorelle e alle mie meravigliose Amiche.

In quel momento mi sono subito sentita piena in questo immenso e indescrivibile vuoto.

Erica, anzi Atmosferica.

“Australia” è anche questo.

Per la prima volta dopo due mesi, mi trovo finalmente a scrivere schiacciando velocemente questi tasti neri del mio computer. Io e Mattia stiamo rubando “qualche minuto” di connessione Wi-Fi al McDonald’s di Kalgoorlie consumando un succo di arancia e una Coca-Cola grande.

Sono quasi impacciata ed emozionata nel trovarmi a poter scrivere attraverso la mia vera macchina da scrivere. Quando ho la possibilità di comunicare grazie al computer, la scrittura è molto più fluente, viva, come la vorrei vivere ogni giorno. Purtroppo il continuo movimento e spostamento in aree pressoché deserte, mi costringe a racchiudere i miei pensieri nel telefono, un piccolo dispositivo che spesso ha bisogno del suo tempo per immagazzinare grandi pensieri.

A proposito di aree deserte…

Mi stupisce il fatto di poter avere a disposizione una funzionante e gratuita connessione Wi-Fi in questa cittadella che mi ha servito impressioni contrastanti che non comprendono quella di efficienza, sviluppo e urbanizzazione. Nel percorrere le strade desolate percependo miseria, povertà e degrado, ho individuato McDonald’s, KFC, Hungry Jack’s, K-Mart e Target come fossero dei bei fiori in un grande prato secco e pieno di erbacce. Vedo edifici che portano il nome di grandi marchi con occhi stupefatti, senza riuscire a dare una spiegazione a questa parvenza di sviluppo in una città priva di vita.

La foto che ho messo in evidenza oggi, l’ho scattata chiedendo a Mattia di accostare giusto per il tempo di catturare la realtà in un piccolo riquadro colorato ma scolorito.

“PICCADILLY BUTCHERS”

Macellaio di Via Piccadilly.

Un nome londinese che deriva dal piccolo quartiere, nel sentirlo nominare potrebbe risultare un negozio moderno, normale, avviato. Ma è qui che vi invito a guardare con attenzione l’immagine.

Un edificio trasandato e abbandonato da chissà quanti anni che sta insieme per grazia divina come tutte le case prefabbricate disposte in fila l’una accanto all’altra nelle vie parallele o adiacenti. Il palo della corrente in legno, i cavi dell’alta tensione scompigliati e disordinati. Una porta marcia e scritte illeggibili cancellate dal sole. In questa strada come nel gran numero di quelle percorse nei due giorni passati, la sensazione di abbandono è molto ricorrente. Pezzi di lamiera affaticati, taglienti e sbiaditi che patiscono il caldo senza che nessuno intervenga a mantenerli in vita. Macchine sgangherate abbandonate su marciapiedi e “lavori in corso” mai terminati.

Molte immagini di stanchezza e morte mi sono passate davanti e ogni volta il cuore si stringeva. La popolazione a Kalgoorlie è per lo più aborigena, e la tristezza si percepisce ovunque, anche al supermercato.

Gli aborigeni rappresentano per me un mondo ancora sconosciuto, incompreso, e posso solo riportarvi quel che ho visto e quel che mi ha turbato profondamente. Vivono una vita di abbandono e disagio e più volte ho incontrato famiglie in cui i piccoli non venivano trattati da tali mentre i genitori assumevano atteggiamenti di sregolatezza. Loro rappresentano la fetta più antica e radicata della popolazione australiana e per questo lo Stato tende a tutelarli dando loro una casa, un contributo mensile per gli alimenti e una certa protezione. Il 99% di loro, però, non è in grado di cogliere l’aiuto portandolo a proprio favore, vivendo per le strade, sotto ai ponti o nei parcheggi e utilizzando i pochi soldi per alcool e droga. Quanti ne ho visti chiedere cinque dollari con le mani giunte, quanti camminare disorientati in una città che dovrebbe essere per loro Casa, quanti con rosse ferite sulla faccia e quanti bambini piccoli con lo sguardo già adulto.

La loro situazione, per quanto riguarda il Western Australia, è assolutamente ignorata e forse non capita. Ripeto che mi limito a parlare per quel che hanno visto i miei occhi in zone isolate come questa, dove loro si adattano a vivere una vita di stenti senza prospettive di miglioramento. Mi è stato detto che nell’Est della Grande Isola, la situazione è nettamente diversa dove parecchi di loro ricoprono alte cariche lavorative.

Questa descrizione, si riflette pienamente nelle case, nei giardini pubblici, nelle insegne scolorite e nelle aiuole piene di erbacce mai estirpate. Molte abitazioni, potenzialmente perfette per famiglie numerose, stanno per cadere a pezzi. Nel piccolo giardinetto ammassi di rifiuti e scope rotte, le finestre senza vetri e le tapparelle storte, cancelli aperti arrugginiti e niente che dia una mezza idea di pulito o civiltà.

Molti giovani camminano per la strada sotto il sole a picco o nella desolazione della sera con in testa un cappuccio. Tristezza e solitudine, sregolatezza e alcolismo, povertà e menefreghismo sono sulle facce di tutti. Le persone, le attività e le poche vie vive,  basano la loro sopravvivenza sul turismo e su quella spinta economica che la Miniera d’ORO, di cui vi ho parlato ieri, possono offrire.

Come potete capire, rimarrò parecchio segnata e scossa da quel che ho visto qui. La mia riflessione, vuole essere una condivisione di crude immagini e sensazioni che non hanno bisogno di grandi giri di parole per trovare chiara espressione.

Ora che stiamo per abbandonare questa località, mi rendo conto che da oggi, Australia non sarà solo sinonimo di Meraviglia, Crescita, Trasformazione, Grandezza, Immensità, Sorpresa, Magia, Stupore, Sviluppo, Urbanizzazione, Velocità ed Efficienza.

No…

Da oggi includo nel pacchetto Povertà, Degrado, Tristezza, Abbandono e Incomprensione.

Da oggi, “Australia” è anche questo.

Erica, anzi Atmosferica.

Un vuoto che riempie.

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