Vorrei incontrarti tra tre anni.

Eccomi!
Scusami!
Il venerdì è sempre super busy, come direbbero qui.
Significa pieno, impegnato, affollato.
Busy può essere un locale, una persona, una giornata…ecco.

Sono un po’ influenzata e il freddo sta arrivando. Mi godo la pace uggiosa di un pomeriggio d’autunno. Un sabato da cinema, una maratona di film in compagnia, commedie e drammi, lacrime e risate.
Uno sfogo e una coccola.
La vetrata è già buia e riflette la nostra immagine come uno specchio.

Ieri sera sono andata ad un evento yogi con la mia collega di lavoro, Sarah. In occasione del Full Moon Party, una serata tutta bianca accoglieva un centinaio di persone piene di energia e connessione. Un’ esperienza particolare, musica dal vivo, un giovane ragazzo ha parlato a inizio serata, un’ introduzione unificatrice e decisamente mai sperimentata prima. Dopodiché balli liberi, espressione del corpo, colori sulle facce sorridenti e pura vida.
Zero alchool.
Solo musica ed energia.

Già dall’inizio, la serata si prospettava speciale. A Bondi Beach il cielo mi chiamava, colori rosati e gialli si mescolavano senza sosta, nuvole fitte ricoprivano la luna piena che già dalle 18, era sopra la mia testa. Un cielo strano che apriva una serata strana, voleva dirmi qualcosa? Mi sono lasciata accompagnare, ho catturato tutto, anche quella foto di una comune via che però mi sembrava speciale. Ho aspettato un momento in cui l’immagine fosse come volevo, ma nemmeno troppo perché il cielo sarebbe cambiato nel giro di pochi minuti. Secondi.

Ho incontrato Jennifer, una ragazza italiana. Piemontese. Non ho approfondito la conoscenza con molte persone, lei però mi parlava con gli occhi e ho deciso di ascoltarla. Ho deciso di parlare anche io. L’atmosfera era bianca in quella sala di luci colorate, però, lei già si distingueva. Era vestita di un colore prugna, marrone, scuro comunque.
Ci siamo incontrate all’ingresso e poi di nuovo dentro, dove per caso ci siamo trovate sedute vicine. In attesa dell’inizio, eravamo tutti accomodati sul pavimento, tutti molto vicini. Già si sentiva un’unione strana. Coinvolgente.
Lei vive a Sydney da qualche anno, tramite ogni tipo di visto e poi finalmente uno sponsorship, è riuscita a rimanere nella sua amata città, che tanto l’ha cambiata e fatta rinascere. È tornata in Italia poche volte, qui è sempre stata troppo bene e ha sempre cercato e creato ogni soluzione per prolungare la sua permanenza. Mi sono bastati pochi minuti per sentirmi del suo stesso colore, sulla sua stessa frequenza.

Con la sorella ha viaggiato per l’Australia a bordo di un Van, ha gli occhi azzurri e i capelli rossicci, scuri. Abbastanza lunghi. Era elegante e profonda, era timida ma estremamente aperta. Occhi accoglienti. Percepivo il suo vasto ed esplorato mondo interiore. Lei sapeva.

Qui fa la maestra di Yoga, con il suo sorriso mi raccontava di quanto è grata a questa disciplina che le ha cambiato la vita. A causa della sua timidezza, non avrebbe mai pensato di arrivare ad insegnarlo, ma con grande gioia, oggi può trasmettere alle persone tutto il benessere e la magia che lo Yoga le regala.

Le ho parlato della mia personale esperienza. Anche io mi sento grata a questa sorpresa che è venuta a bussare alla mia porta in un momento di piattezza emotiva. È entrata nella mia vita in un momento in cui potevo capirla, la aspettavo e mi ha portato aiuto e sostegno. Fisico ed emotivo. Lo Yoga mi apre e mi fa sentire leggera, la sensazione che sento nel cuore è appagante e il cambiamento nei miei occhi e nel mio fisico è già evidente. Lo vedo. Ora mi vedo.

Abbiamo parlato poi di dove viviamo, abita nella mia stessa via.

Quando le ho detto il mio numero civico, ha sgranato gli occhi.
Quando le ho detto il numero del mio appartamento, è rimasta ancor più basita.

Tre anni fa, abitava nella mia stessa casa.
Piano 22, appartamento 146A.
Dormiva nella mia stessa stanza e come ha ben detto, questa casa ha una vista spettacolare sulla baia. Non la dimenticherà mai.

È stato strano.
Ero incredula.
Mi sono quasi rivista in lei, come sei lei volesse farmi vedere un po’ di quel che sarò tra tre anni.
Come se io stessi vivendo la sua vita di tre anni fa e fossi arrivata a lei per ricordargliela, qualche scena, la sua vecchia casa.

Una sensazione assurda. Uno scambio di realtà.
Mi sono anche sempre chiesta come starei con i capelli rossicci, scuri e lunghi fin sotto le spalle.

Lei mi ha fatto vedere che starei molto bene.

Namastè Jennifer.

Erica, anzi Atmosferica.

Sogno un tempo senza tempo.

Sai, da qualche giorno faccio sogni strani. Brutti. Incubi.
Mi sveglio con il cuore in gola o ancora peggio, continuo a sognare nel dormiveglia, cerco di aprire gli occhi, ma la forza della mia mente è più forte. Il mio inconscio mi trattiene lì, a guardare ancora un po’ uno dei film più terribili.

Ovviamente sto provando a capire quale sia il motivo di tutto ciò anche perché, come sai, mi piace andare a fondo nelle cose.
Voglio capire.
La cosa certa è che prima di partire, non sognavo.
Non così tanto.
Ricordo bene che quando le persone mi dicevano…
“Uh, non sai che sogno ho fatto stanotte!!”
…io ascoltavo incuriosita, domandandomi perché io non sognavo o comunque, non ricordavo i viaggi della notte.
La mia.

In Australia, ho iniziato anche io a ricordare i miei voli notturni, le mie spedizioni spaziali. Sono molto felice di questo, mi sento più viva e qualche volta ho anche io racconti assurdi o incredibili da condividere.
Beh, il fatto di ricordarmi anche gli incubi, fa parte del gioco.
Sarebbe troppo bello correre per prati infiniti, far volare aquiloni, baciare l’uomo perfetto e vedere pesci colorati. Sarebbe troppo bello attraversare solo tutto questo, senza punte di tristezza, cattiveria, paura, rabbia e abissi.
No?

Beh. Gli incubi di questi giorni sono proprio assurdi.
Voglio parlartene perché magari potrebbe aiutarmi.
Ieri, stavo per addormentarmi quando ho iniziato a sentire il letto inclinarsi, come se la parte superiore del mio palazzo, stesse per staccarsi e crollare a terra. Come sai, abito al 22esimo piano e quindi sembrava troppo reale. Era possibile.
Ricordo esattamente che ho pensato: “Ecco, sto per morire”. Dopo quella sensazione, ho sentito il vuoto nelle orecchie e nella pancia, proprio come mi è successo di sentire sulle giostre più alte.
Quando per un attimo pensi di non respirare più.
Una paura fottuta. L’impotenza più assoluta.
Ecco mi sono sentita cadere, nel nulla.
Lì ho proprio parlato, ho detto: “Ciao Mamma, ciao Papà, vi voglio bene.”

Oh santo cielo!!

Mi sono alzata di colpo con il magone, il mio letto era fermo e il palazzo in cui vivo intatto. Fuori c’erano le stelle e un’atmosfera di pace che illuminava la baia di Darling Harbour. Ero ansiosa e preoccupata.

Ora, la solita domanda è:

Ma perché? 

I papabili motivi sono tanti. Cuscino sbagliato, materasso scomodo, particolari pensieri, preoccupazioni, alimentazione scorretta, stimolo della pipì, paure…
Mi sto analizzando per risalire alla sorgente e come sai, non mi fermerò fino a quando non avrò trovato una spiegazione.
La mente è talmente complessa che a volte è impossibile interpretarla e inseguirla.
È davvero una stronza.
Scusa eh…
Ma quando ci vuole, ci vuole!

Ho anche sognato per ben due volte di rincontrare casualmente due persone molto importanti. Le ho ritrovate vecchie, con le rughe, la barba bianca e gli occhi stanchi. Ma vecchie vecchie.
Ero incredula, mi strofinavo gli occhi e piangevo. Urlavo al cielo chiedendo spiegazioni e sostenevo di non essere stata lontana tutti quegli anni.
Non era possibile! Che rabbia!

E anche qui…
Ma perché?

Questo forse riesco a spiegarlo.
Ho spesso la brutta sensazione di avere poco tempo, so di essere lontana da persone per me di vitale importanza. Ho come la paura di perdermi troppo della loro vita, ho paura di trovarle evolute e cambiate.
Perché sì…
…non sarò solo io ad aver subìto una trasformazione.
Il tempo è per tutti trasformante.
Oppure vedrò in maniera diversa persone poco cambiate, accadrà ciò perché sarò io ad avere occhi nuovi.
Senza dubbio.

In più, come se tutto ciò non bastasse, mi frulla continuamente in testa un pensiero a cui non posso fare altro che rivolgermi come se fossi la sua mamma.
Eh sì, l’ho creato io.
Devo farlo crescere, devo educarlo.
Sto cercando di accudirlo ed è difficilissimo.
Aiuto!
Questo pensiero mi dice che devo impegnarmi a vivere ogni giorno con grande gratitudine, devo emozionarmi e rendere la mia vita speciale. Devo aiutare gli altri e fare dei piccoli doni anche attraverso un mio sorriso, uno sguardo. Non devo aspettare, non devo farmi aspettare, devo lavorare diligentemente e guardare sempre il cielo, anche quando piove.
Mi dice tutto ciò perché la vita è breve, è corta.
Questo pensiero mi assilla.

Sono ancora giovane e pensare oggi che la vita finirà, mi rattrista.
Mi destabilizza. Vorrei appunto educare questa mia creazione e vorrei farle capire che se la vita fosse infinita, non sarebbe uno stimolo, una ricerca della verità. Non sarebbe passione, non sarebbe maestra e non assumerebbe un grande valore. Non ci sarebbe condivisione, l’amore vero e tutte quelle emozioni che esistono solo perché c’è poco tempo.

Sarebbe una banalità scontata, un tempo senza tempo, una strada senza fine.

Invece no.
Voglio che la vita sia un successo, voglio lasciare una traccia e voglio che qualcuno un giorno abbia la fortuna di viverne una grazie a me. Voglio fare del bene perché qualcuno possa farlo a sua volta e voglio conoscere con curiosità perché sarà la stessa conoscenza ad essere tramandata.

Non voglio più pensare di avere poco tempo perché,
solo nell’atto di pensarlo,
perdo tempo.

Erica, anzi Atmosferica.

Un mare di pioggia.

Mi ero un attimo persa nel mio mondo ma è bastato un messaggino alla mia cara Sorellina Eliana, per ritrovare la connessione. Le ho chiesto di farmi qualche domanda e se avesse qualche curiosità particolare sulla mia vita qui, sulle mie sensazioni, sui miei pensieri e progetti. Essendo entrata in una quotidianità scandita da ritmi lavorativi e classiche dinamiche, considero ciò che vivo normale e potrebbero quindi sfuggirmi dettagli che potrebbero essere oggetto curiosità.

Devo dire che le sono bastati pochi secondi per partire con una carrellata di domande. Sono rimasta piacevolmente stupita dalla sua prontezza e dal tipo di questioni che mi ha rivolto.

Mi ha detto che potrei parlare del lavoro e dire come procede, cosa vedo, le mie impressioni. Mi ha chiesto cosa mangio e se fa freddo. Mi ha fatto domande sulle mie uscite notturne, chiedendomi se qui si fa qualcosa di diverso, se mi diverto e se incontro situazioni che non avevo mai conosciuto prima. Ha spostato poi l’attenzione sullo yoga, mi ha domandato se ho conosciuto personaggi strani che lo praticano con me. Proseguendo sulla linea della stranezza, è curiosa di sapere se al lavoro vedo gente particolare. Ha nominato poi il mitico Vando. È anche nel suo cuore. Mi ha chiesto cosa mi è rimasto di lui e del viaggio. Parlando poi di tutte le foto che ho fatto, vorrebbe sapere se quando le riguardo provo emozioni particolari, se mi trasmettono sensazioni che potrei condividere. La signorina mi ha proiettato poi nel futuro, vuole sapere cosa mi aspetto dall’Italia quando torno, cosa mi manca di più del mio Paese e cosa mi porterò a casa da questa Terra.

La domanda ultima ma non meno importante, è scivolata sul mio cambiamento. Mi ha chiesto se mi sento diversa, più matura, più pazza, più libera o più adulta.


Eliana Amore Mio. Sei un uragano!

Ti prometto che da oggi, risponderò a tutto. Lo farò proprio come se parlassi con te.
Ti va?

Scelgo un argomento random.

Fotografie.

Mamma mia.

Anzi, Sorella Mia.

🙂

Quando guardo le foto che ho scattato dal 13 Novembre ad oggi, la mia testa parte per un viaggio senza fine. Colori si mescolano a bellissime emozioni contrastanti proprio come loro. Vedo paesaggi in cui laghi rosa si accostano a terra rossa, marrone. Distese verdi, gialle, rigogliose o bruciate. Vedo tramonti ogni volta diversi e credo che prima di partire, non avrei mai potuto immaginare che sarebbero stati i compagni più preziosi di questa magica avventura. L’Australia è molto colorata e se hai la fortuna di guardare il cielo in quell’esatta frazione di secondo, potresti esplodere insieme a lui e alle sue stelle sempre troppo grandi. Assurde. Il cielo è alto, grande, immenso. L’oceano è scuro, violento e di una calma piatta. Avrai potuto notare anche tu che alcune fotografie sembrano finte, allucinanti! Potrebbe non sembrare vero.

Invece lo è.

Guardando le foto che ho scattato, a volte faccio fatica a pensare che è stato il leggero ma pronto movimento del mio dito a fermare il tempo. Sembrano quadri, dipinti. Come quelle immagini dei giornali, nelle pubblicità di viaggi o agenzie di turismo. Posti paradisiaci che ti sembrano irraggiungibili o magari pensi che potrai raggiungerli solo in un futuro lontano, quando avrai tanti soldi. Tanti tanti soldi.
Beh, ho capito che i soldi non sempre sono necessari.
Anzi, non permettono di comprare le gioie più belle.
Quando sfoglio il mio album, ricordo tanti momenti di riflessione, la mia voglia di immagazzinare e raccogliere i colori del mare. Sono sempre tantissimi, anche in una giornata di pioggia.

Giusto oggi, ho scattato la foto che vedi in copertina. Una giornata uggiosa e spenta, piovosa e triste. Mi sentivo così felice di essere di fronte al mare anche con quel tempaccio, che non ho potuto fare a meno di infilarmi quel pezzo di azzurro nel taschino.
Non è bellissimo?
Pensami lì, davanti a quella spiaggia, prima della mia lezione di yoga.
Ero felice di vedere quelle persone che pucciavano i piedi alla riva perché al mare bisogna andarci anche quando piove.
Perché sì, il mare va vissuto anche quando il cielo piange, i colori sono differenti, le sensazioni del tutto nuove…

…perché solo se piove puoi vedere il mare quando piove.

Una fortuna, non credi?

Domani continuo con le risposte Amore Mio.

Intanto grazie della tua vicinanza.
Ti sento qui con me, in riva a questo mare di pioggia.

Erica, anzi Atmosferica.

La mia verde dimensione.

Parco di Pyrmount. Parchetto.
Si svolge così il mio sabato pomeriggio di relax con gli amici. Ho seguito l’invito dei miei coinquilini e sono venuta a godermi il verde di questo grande prato incastrato tra il il porticciolo di Darling Harbour e la strada. Un quadrato di terra circoscritto in pochi metri e vicinissimo a casa.

Osservo Fabio, Victor e Giuseppe che si scambiano palleggi, una ragazza si esercita in acrobazie da barman qui dove il suolo è morbido e non c’è pericolo per bicchieri e bottiglie rotanti. Un ragazzo sulla panchina legge un libro, due amici asiatici mangiano sushi e bevono una Coca-Cola. Lui e lei fanno esercizi sincronizzati tutti vestiti di colori fluo.
Quanto mi piace osservare.
🙂
Mi rilassa.

Comunque…
Come stai?
Io molto bene!
Ieri non sono riuscita a scrivere perché mi sono lasciata trasportare dagli eventi. Finito lavoro alle due del pomeriggio, sono andata per negozi alla ricerca di un paio di fuseaux sportivi e super colorati. Avevo voglia di attrezzarmi adeguatamente per la mia nuova attività fisica. Un po’ come i ciclisti che devono indossare le loro tutine aderenti, i nuotatori un costume comodo, cuffia e occhialini olimpionici, i motociclisti senza la loro tutina in pelle non viaggiano e i calciatori non giocano senza scarpette e parastinchi. Il tennista deve avere la sua racchetta, il corridore le sue scarpe e la ballerina classica le sue punte.
Embè?
Io devo avere un paio di fuseaux super colorati, elasticizzati e adatti al mio nuovo yoga.

Così, dopo un bel giro per negozi e dopo aver valutato le varie offerte (troppe), ho optato per i migliori. Colorati di blu, azzurro, bianco e verde. Costosi ma troppo belli. E visto che le cose o si fanno bene, o non si fanno, ho abbinato un top traspirante. Una vera figata.
Appena li indosso mi viene voglia di mettermi nella posizione del guerriero.
La conosci?
🙂
Non la conoscevo nemmeno io fino a una settimana fa. Basta che digiti “posizione guerriero yoga” in un qualsiasi motore di ricerca e capisci.
Se mi conosci, oltre a capire ti fai sicuro una bella risata.

image

Vabbè. Comprata l’attrezzatura adeguata, ero pronta. Alle 18 iniziava la lezione.

È stato di nuovo diverso. Terza lezione, terza maestra. Il fatto di provare diversi metodi e tipi di yoga mi piace. La linea guida di base è la stessa, poi cambiano i metodi di insegnamento e di approccio. Cambia la voce, la musica di accompagnamento e di conseguenza l’atmosfera.
Al termine della lezione la sensazione di leggerezza e apertura è pazzesca. Sento la testa sgombra da ogni pensiero pesante e i polmoni aperti, le gambe affaticate ma un benessere fisico e mentale che mi fa volare.

Tornata a casa, i coinquilini stavano preparandosi per uscire. Ovviamente dovevo unirmi al gruppo senza scuse quindi il tempo di mangiare qualcosa per cena e via. Ero molto aperta e dopo la prima mezz’ora di pura stanchezza, ho sentito l’energia tornare in circolo, la batteria di nuovo verde.

Il verde è il mio colore ultimamente.

Quarto chakra, ricordi? Quello del cuore.

Ad ogni modo, è stata una serata davvero piacevole. Ho conosciuto nuove persone e ascoltato storie. Ho ballato e mi sentivo incredibilmente bene! Riscontri positivi e buona energia, testa leggera e apertura.

Avrò trovato la mia dimensione?

I prossimi giorni saranno decisivi per scoprirlo!

Erica, anzi Atmosferica.

Tre emozioni.

Parola d’ordine di oggi è:
Emozionati.

Parola d’ordine nel senso che è un ordine.
Un imperativo.
Quando a scuola studiavo questo tempo verbale, la maestra diceva che generalmente è seguito da un punto esclamativo.

E allora…

Emozionati!

Piangi per te stesso, ridi di te stesso, sorprenditi e vivi la tristezza. Abbandonati ed emoziona te stesso. Sto sforzandomi di lavorare principalmente su questo, dopo aver superato giorni di piattezza emotiva ed emozionale. Quando ci ero dentro, non me ne rendevo conto come ora. Sto andando alla ricerca di forti emozioni che mi facciano liberare grandi respiri e perché no, piangere un po’.

…ti starai chiedendo…

“E come fai??”

Guardare un bel film è già un’idea. Fatti consigliare un titolo da un amico o da una sorella! Potrebbe anche essere un modo per creare contatto e connessione. Più di una volta mi è capitato di chiedere un titolo di una canzone, di un film. Quale modo migliore per emozionarsi pensando a una persona speciale?
Ho appena finito di vedere “Aloha”, conosci?
Beh, un paio di lacrimuccie sono scese. Mi sono lasciata travolgere dalla storia, dall’amore e dalle incomprensioni, dal linguaggio dei segni, dalle parole degli occhi e dall’adrenalina spaziale. Se hai voglia di emozionarti e spendere due ore piacevoli senza impegnarti in un film più complesso, te lo consiglio!

Per emozionarmi vado al mare.
Mi ci porto con un bus rosso, nella borsa un telo mare, una bottiglia d’acqua, gli occhiali da sole e un po’ di musica rilassante. Mi sdraio sul prato, mai completamente, e guardo l’orizzonte. Il chakra del cuore si apre, é quello delle relazioni e dell’apertura. Sai, a me si concentra tutto lì. Nella bocca dello stomaco. Quando sono arrabbiata, nervosa, chiusa, impaurita o tesa, sento un grande nodo lì, che blocca anche il respiro. Quando sono emozionata, felice, in sintonia con la natura, in pace con me stessa e in equilibrio con ciò che mi circonda, sento in quel punto un leggero turbinio di energia buona.

Verde.

Spazi ventosi e ariosi mi aiutano a liberare e sciogliere, mi aiuta cantare e ridere.

Il trucco sta nell’ascoltarsi. Metti una mano nel punto del quarto chakra e prova a sentire il tuo respiro, il tuo battito cardiaco. Chiudi gli occhi.
Quello è il punto dell’equilibrio. Il centrale di sette.

Un terzo modo per emozionarmi, l’ho trovato nello yoga. Non ti so dire se è la novità o se davvero mi emozionerà sempre ma le sensazioni che provo sono quasi indescrivibili.
Dico “quasi” perché vorrei provare a trasformare in parole.
Ieri ho provato una nuova tipologia, la maestra era un’altra e la sala piena. L’atmosfera era calma e soffusa, delle candele sulla lunga vetrata liberavano profumi e già ancor prima di iniziare, mi sentivo nel posto giusto. Un esercizio di stretching prima di quelli più faticosi, mi ha fatto entrare nella mia dimensione. Sono stupita perché nonostante si è in gruppo, ognuno vive la propria esperienza, strettamente personale. Lei ha intonato dei mantra che di tutta risposta il gruppo, cioè noi, doveva ripetere. Un canto in sanscrito che richiamava il contatto con l’universo. Lei aveva una voce profonda ed angelica, liberava un’energia unica.

Momenti di pura emozione.

Momenti in cui stai lì, sdraiata sul tappetino blu con un cuscino sotto la testa.
Momenti in cui ti chiedi…
“Ma davvero sto facendo tutto questo? Ma davvero mi sta facendo così bene? Ma davvero sono riuscita a raggiungere una tale sensazione di benessere?”

Tra sudore e respiri a bocca aperta, lo yoga risulta faticoso ma estremamente liberatorio. Ogni muscolo trova il suo momento e quel punto lì, alla bocca dello stomaco, si scioglie completamente. Si apre. Si libera.

Beh, queste sono le mie emozioni. Spero che anche tu abbia i tuoi segreti per liberarti dalla tensione di una “giornata no”, per sentirti in equilibrio anche dopo una litigata o per piangere quando è da troppo tempo che non versi una lacrima.

Se non ci avevi mai pensato, trova i tuoi angoli di pace in cui liberare le tue emozioni. Prenditi il tempo di vivere fino all’ultimo respiro ogni tua emozione.

Che sia gioia
che sia dolore
sempre di emozione si tratta.

Erica, anzi Atmosferica.

Cinque mesi.

Ehi!

Ehi!

Ehi!

Aspetta un momento…

Stavo per tralasciare una data importante o sbaglio?

Ma non mi dici niente?

Non mi avvisi?

La data ufficiale della partenza dall’Italia è il 12 di Novembre 2015 ma poiché sono approdata in terra australiana il giorno seguente, mi prendo la libertà di festeggiare anche il giorno 13.

Perché no.

13 Aprile 2016

Mamma mia.

Cinque mesi.

 Questi cinque mesi che finiscono, aprono la strada al sesto con troppe novità. Troppi cambiamenti ed equilibri persi e poi ritrovati. Salti nel vuoto intervallati da piccoli passi, giornate di pioggia e scoperte importanti.

Un mese fa ero a Melbourne.
Ricordi?
Sembra ieri.
Sembra troppo tempo fa.

Dammi cinque minuti per ripercorrere questi trenta giorni.
Mi sembrano trecento.
Mi sembrano un secondo.
Sto cecando di fare un passo indietro insieme a te.
Aiutami ti prego.
Dammi tempo.

Realizzare che oggi inizia il capitolo di lettura numero sei, mi fa un po’ effetto. Mi sento catapultata qui, a parlare del tempo che ha fatto una corsa.
Mi ha fregato.

Ma quanto corre?
Che fiatone.

Mi sento talmente impacciata da non trovare le parole. È come se avessi incontrato per caso una persona che non vedevo da tempo. Camminavo per la strada spensierata, quando all’improvviso ho sentito urlare il mio nome.

“ERICA??”

Mi sono voltata e…

Oh merda!

“Ma sei proprio tu?”

Che imbarazzo!

“Ma cosa ci fai qui?”

Forse mi sento arrossire perché è stato un mese trasformante. Ancora più degli altri già affrontati in riflessioni passate e puntuali. Sono imbarazzata perché non ho fatto in tempo a specchiarmi, a riconoscermi e l’amico incontrato per caso, mi vede così, spettinata e struccata, vestita a casaccio e per niente presentabile.

La fine del viaggio on the road con l’arrivo a Sydney, la vendita di Vando, la ricerca di una casa, un lavoro, persone nuove in una sconosciuta città, il senso di soffocamento, una realtà piena di tutto quando fino a quel momento il tutto era il deserto, il vuoto, il niente, il muto e il cielo.

Un mese ricco di trasformazione personale, ansia da città seguita dalla calma dell’anima, la mia. Mille incertezze ma la certezza di esserci, per me stessa. Troppi rumori e confusione. Una nuova sfida che giusto ora sto capendo di aver vinto. Sì perché anche qui ho vinto.

Ho vinto la Perdizione iniziale.

Sto costruendo piano piano una mia quotidianità, una routine scandita dagli orari lavorativi. Organizzo le mie giornate e passo del tempo in compagnia di amici, mi sono aperta a nuove scoperte come quella dello yoga o di gite fuori porta. Sto riprendendo l’energia che inizialmente mi mancava e le sto dando tutto il tempo di cui necessita per tornare in forma.

La città di Sydney mi ha sconvolta ma in senso positivo. Ho toccato il fondo una decina di giorni fa quando pensavo di aver perso ogni carica motivazionale. Non te ne ho parlato prima perché me ne sto rendendo conto ora. Se butto un occhio indietro, mi vedo spenta e priva di stimoli.

Ho cercato di non perdermi. Mi sono aggrappata ad un paio di persone senza che lo sapessero, ho aspirato un po’ della loro buona energia per ricaricare le batterie. Sono stata brava a non perdere tutta la carica rischiando di spegnermi, ho catturato sorrisi e colori caldi, ascoltato canzoni e mangiato dolci.

Dovevo solo portare pazienza. Dovevo darmi il tempo di abituarmi e amalgamarmi senza avere fretta di sentirmi adeguata e all’altezza di una città di dimensioni galattiche.

Cinque mesi.

Sydney.

Mi ritrovo qui come dopo un torpore, una fitta nebbia.
Ok, ora vedo bene.
C’è luce.

Il sesto mese sta per cominciare.

Erica, anzi Atmosferica.

La Mancanza.

Oggi mi viene da parlarti della Mancanza.
Non voglio farlo con aria triste o stile malinconico, anche perché sono emozioni che ora come ora non mi appartengono. Voglio parlartene con libertà, spiegarti cosa sento e cosa è diventata per me la Mancanza. Te ne voglio parlare ora dopo un periodo di riflessione, ho capito molto a riguardo e sono arrivata a conoscerla talmente bene che mi sembra quasi di poterla toccare con mano.
Ne percepisco la consistenza, l’odore e il sapore.
La Mancanza.

Quante volte, nella vita di tutti i giorni, si dice “Mi manchi”, quante volte si sente, o si pensa di sentire, la Mancanza di qualcuno dopo qualche giorno di separazione…qualche ora…

Quante volte…

In quel caso penso non si tratti di Mancanza vera.
Penso che sia l’insofferenza dell’attesa e l’impazienza che ci tiene sospesi fino all’incontro successivo. Quella persona, che sia la dolce metà o un genitore, che sia l’amica o una sorella, è per noi essenziale e fondamentale per completare quello che è il puzzle della nostra quotidianità. L’esprimere Mancanza, in quel caso, è un modo per dimostrare affetto, per far sapere che senza di lui/lei, il nostro puzzle sarebbe incompleto e quel pezzo mancante sarebbe insostituibile.

Voglio parlarti di una Mancanza diversa. Voglio dirti che quando hai a che fare con un puzzle nuovo, perennemente incompleto e terribilmente difficile, ogni giorno cerchi negli occhi delle persone i pezzi Mancanti, cerchi luoghi per prendere spunti di colore, sapori e profumi per completare, ma a fine giornata, il tuo puzzle è comunque ancora tutto da inventare.

Questo posto mi porta a sentire la Mancanza come fosse un sentimento mai provato, del tutto nuovo. Dopo questi mesi trasformanti,  tutto è cambiato.
Quando avevo a portata di mano tutte le persone per me importanti, non ci facevo caso e sottovalutavo molto di quel che ora sento vuoto, sordo e muto. Il mio puzzle era bello ed ero orgogliosa del disegno che ogni giorno ne veniva fuori. Una bella sorpresa. Un bel gioco.

La Mancanza, quella vera, si sperimenta solo con La Lontananza, quella vera.

Migliaia di chilometri ti tengono distanti dal profumo della mamma, ore di fuso creano squilibrio e senti delle voragini nello stomaco che non si possono saziare nemmeno con cucchiaiate di Nutella. Arrivi a renderti conto che di lei ti manca il suo sorriso, di lei ti manca la sua voce. Di lei ti manca il modo in cui muove le mani e di lei il modo che ha di guardare nel vuoto. Speciale. Strano. Singolare. Di lei ti manca la sua mano e con lei, se potessi, faresti una passeggiata sul lungomare, ora.
La Mancanza ti fa guardare intensamente delle fotografie silenziose fino al punto di volerne percepire profumi e suoni, ti fa stare a guardare un tramonto e ti fa pensare che forse sarebbe bello condividerlo, ti fa ascoltare una canzone e ti fa chiudere gli occhi facendoti immaginare la voce della tua sorellina, che l’aveva intonata chissà quante volte.
Quella canzone.
L’aveva cantata a te.

Vivo bene la Mancanza perché so che avrà fine. Non la vivo con sofferenza perché gliene sarò grata per tutta la vita. La sto ringraziando. Seriamente. Quando respirerò quel profumo e tra le mani avrò quelle mani, sarò la persona più felice del mondo. Ringrazierò la vita, il mio coraggio e questo viaggio per avermi insegnato il valore della semplicità e nessuno mai, potrà farmi scordare tutto questo turbinio di emozioni che mi ha travolta fino a non farmi respirare.
Come ora.
Mentre ti scrivo queste parole.

Ho detto che non voglio più dire “Mi manchi”.
Non sopporto più la monotonia di questa frase che non mi permette di esprimere il crescere della Mancanza, l’immensità dell’impotenza che sento nel dire due parole che rimangono lì, scritte su un telefono.
Rimangono ferme, astratte, senza sapore, senza odore.
Che schifo.

Che saranno mai in confronto a quel che provo davvero?
Come posso mandare un messaggio concreto che faccia arrivare tutto il mio amore vero?

Ho capito una cosa semplice.

Basta il pensiero.
Quello arriva sempre quando è sincero.

Tu lo sai che parlo di te.
Io sono riconoscente alla vita perché ci ha fatto incontrare.

Quando mi lamentavo per le sofferenze e i dispiaceri, quando parlavamo insieme di delusioni e sconfitte, non pensavamo a quanto eravamo fortunate a trovarci vicine, davanti ad un caffè, sotto ad una coperta o in riva a un lago.
Era normalità?
No, non credo proprio.
I nostri occhi si esploravano, le nostre voci si univano e se volevamo, potevamo toccarci. Potevamo annusarci. Potevamo abbracciarci.

Quanto eravamo fortunate?

Tu sai quanta potenza abbiamo nel cuore e quanto brilleremo insieme.

Sarà tutto nuovo.

Sarà semplicemente amore.

Erica, anzi Atmosferica.

Grazie Vita.

Sto tornando da Coogee.
Non voglio aspettare di arrivare a casa per scrivere perché devo fissare queste sensazioni adesso. Ora. Sul bus M50.
Dopo il lavoro, verso le due di pomeriggio, ho deciso bene di andare verso il mare. Ero già stata a Coogee in un pomeriggio nervoso e confuso, oggi avevo la serenità di ritornarci.
Già l’altra volta, avevo visto una scuola di Yoga, proprio lì, affacciata sul mare.
Una grande vetrata dava sull’oceano e sempre in modo confuso avevo pensato che sarebbe stato bello provare, salire quelle scale e chiedere informazioni.
Beh, non ero entrata. Non ero pronta.

Oggi, sono andata con l’intenzione di capire se stavo davvero meglio. Volevo vedere lo stesso mare e la stessa spiaggia, volevo riportarmi davanti alla stessa scuola e capire se davvero mi sentivo meglio. Più predisposta insomma.

Sono arrivata verso le tre e trenta, una mezz’ora di bus è passata leggera con le canzoni di Mengoni a tenermi compagnia. Caro Marco, sei ormai la colonna sonora dei miei viaggi. I pensieri erano leggeri. Stavo bene.

Mi sono rilassata per un po’ sul prato verde a ridosso della spiaggia, guardavo l’orizzonte e nel frattempo constatavo che ero in equilibrio con la vita. Una pace profonda e una calma piatta.

Ho ringraziato me stessa. Ero tornata dove dovevo tornare.
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Devi sapere che sono sempre frizzante e molto spesso vorrei riuscire a incanalare la mia energia senza disperderla in modo sbagliato o senza trattenerla nello stomaco.
La parola “Yoga” è volata alle mie orecchie più volte negli ultimi giorni, questa disciplina mi ha sempre incuriosita ma credo di non essere mai stata pronta.

Fino ad oggi.

È così che mi sono avvicinata alla scuola, un edificio verde su due piani. Sulla parete all’esterno sono riportati in maniera ordinata, originale e chiara gli orari di tutti i corsi. Gesso bianco su uno sfondo nero.
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Alle 17 sarebbe iniziata la lezione per principianti. Era il mio momento. Una voce silenziosa mi ha invitato ad entrare e in pochi secondi mi sono trovata dentro. Profumo e pace.

Quella vetrata che dava sul mare era come una visione perfetta. Quando mi immaginavo una sala dove praticare Yoga, non dico che sognavo proprio quella visione ma quasi.
Il mare, il sole, un parquet chiaro e cuscini a volontà.
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La maestra era, anzi, è una ragazza bionda e giovane. Il suo accento australiano era stranamente comprensibile e ben scandito. Seguivo le sue istruzioni partendo dalla respirazione.
Fondamentale nello Yoga e nella vita.

Posizioni faticose ma rilassanti mi distendevano i muscoli, le braccia facevano forza ma il corpo ringraziava. Lasciavo entrare l’energia da quella vetrata e la musica soft mi cullava. Rilassavo i polmoni e il collo, mi allungavo su quel tappetino blu.

Avevo bisogno di una guida, un’esperienza nuova. Pochi minuti sono bastati per entrare in un mondo tutto mio ma aperto all’ascolto.

Al concludersi della lezione, l’indicazione della maestra mi chiedeva di stare sdraiata con le braccia distese lungo i fianchi, i palmi rivolti verso l’alto e il collo rilassato.
Proprio in quel momento, quando la luce si è fatta soffusa, è arrivata lei che con le sue mani calde mi ha massaggiato le tempie.
Un profumo di olio essenziale mi è rimasto sulla pelle e mi è entrato nel naso.
Il sole stava salutando.
Un tocco magico. Giuro.
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Con le sue parole mi ha fatto concentrare su ogni singola parte del mio corpo. Dovevo liberare ogni tensione e sciogliere ogni nodo.
Piedi, caviglie, gambe, fianchi, pancia, petto, collo, braccia, mani, dita.
Con gli occhi chiusi dovevo sentire il contatto con la terra e ascoltare il mio corpo e il suo equilibrio.

Era quello che cercavo.

Namastè e Grazie Vita.

Erica, anzi Atmosferica.

Di nuovo pronta.

Domenica pomeriggio.
Ricorderò tutto.
Ho catturato ogni immagine e profumo, gli uccelli parlavano e le persone si confidavano. Ho riempito le mie tasche di fotografie e passi.
Ora ti racconto. Ora ti faccio vedere.

🙂

Royal Botanic Gardens.
Oggi mi sono sentita pronta per andare.
Un parco, un angolo di pace, un ritrovo e un incontro.
Le persone siedono sul prato verde, la città guarda da lontano e la baia coccola la quiete. A due passi dalla Sydney Opera House, si aprono i cancelli dell’immenso giardino a ridosso del lago.
Ops, del mare.
Una distesa di erba curata dona acqua alle radici di alberi, ognuno con un nome, e ad aiuole colorate.
Come ti dicevo la città guarda da lontano, è silenziosa e per nulla invadente. Rispetta il suono della natura e la vedi solo se alzi lo sguardo, se vai oltre.
La pulita passeggiata in riva al lago, ops…al mare, separa l’acqua dalla terra e se ti volti, vedi la super costruzione di punte triangolari e subito attaccato il ponte.
Pare una montagna russa.

Ho visto…
Un padre che giocava con la figlia.
Due amiche sedute su una panchina di legno.
Amici che scattavano una foto di gruppo.
Lei passeggiava con il cane.
Lui sedeva sul prato con le gambe incrociate.
Un bimbo leccava un gelato a due gusti. Cioccolato e fragola. Aveva tutta la bocca impiastricciata.
Tre ragazze facevano Yoga su verdi materassini. Che posizioni strane.
Una famiglia indiana mi ha colpito. L’ho guardata passare.
Un anziano signore offriva briciole di pane a volatili di ogni tipo. Era solo.
Due innamorati si tenevano la mano, parlavano francese.
Il sole stava tramontando dietro ad un palazzo.
Il giardino era in ombra.
Un giovane ragazzo teneva tra le braccia suo figlio. Avrà avuto un mese di vita.
Lui stava sdraiato con gli occhi chiusi, l’altro leggeva un giornale.
Una ragazza bionda stava affacciata al muretto, guardava il lago… ops, il mare.
(Ero io forse?)
Pensavo a quante cose si possono fare.
Altri due innamorati correvano vicini, erano tedeschi.
Un bambino piangeva, credo fosse stanco di camminare.
Lei sedeva su un asciugamano rosso, leggeva un libro.
Loro passeggiavano in silenzio, forse dopo un litigio.

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Ho camminato tra le viuzze. Ho cercato un’uscita che non fosse l’entrata. Era grande e ad ogni bivio, un’indicazione. Quante indicazioni!
Scalini di cemento salivano verso la città, seguivo la torre dorata di Westfield. Ogni volta che non voglio perdermi, quella è una direzione sicura. Vicino a casa.

Avevo il fiato corto, ad un certo punto. Solo dopo l’ultimo scalino ho guardato verso l’alto.
Che giramento!

Sono arrivata a casa. Ero soddisfatta. Ad accogliermi un cielo infuocato voleva dirmi:
“Brava, esplora!”
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Sto ritrovando un equilibrio che avevo perso?
Sto imparando a conoscere attivamente con grinta?
Mi rendo conto che ora assorbo molto di più quel che vedo. Da quando sono a Sydney, avevo un po’ perso questa sensazione.

Era come se la bottiglia fosse piena fino all’orlo. Non trovavo spazio per altro.
Dopo un viaggio del genere, ci ho messo un po’ per tornare ad essere una spugna asciutta pronta ad assorbire, una bottiglia vuota pronta a contenere.

Di nuovo.

Erica, anzi Atmosferica.

Cara Zia Angi…

Ore 18 di questo venerdì pomeriggio. Come vedi, Buio.
Guardo questa immagine dalla mia stanza e mi sento persa. Oppure mi sento trovata. Non so, devo prendermi del tempo per ascoltarmi.

Come fai a “trovarti” se non ti sei “persa”?
“Perdere” per arrivare al nucleo, al nocciolo, all’essenziale, all’essenza di quello che siamo…
…Ma Sydney te lo permette?

Un bacione, Zia Angi.

Ciao Zia Angi,
vorrei ringraziarti perché con questo commento, hai scaturito in me una riflessione lunga tutto il giorno. Ora ti racconto quello che frulla nella mia testa e affronterei volentieri insieme a te questo vasto e complesso argomento chiamato “Perdizione”.

Quello che penso io è che tutti ci siamo persi, ci stiamo perdendo o ci perderemo. Tutti ci perdiamo ogni giorno. Anche solo immergendoci nei nostri pensieri ci perdiamo. Parlando per me, io intendo la perdizione come la qualsiasi situazione che mi presenta un bivio, una doppia scelta, un’incognita. Banalmente, ogni giorno è pieno di perdizione. Il primo momento è quello del risveglio. Anche in quel caso siamo davanti ad un bivio, ad una voce motivante che ci dice di alzarci dal letto perché fuori c’è il sole oppure ad una voce pigra che ci suggerisce di dormire ancora qualche ora.

La perdizione fa parte di tutti noi e di tutti i nostri momenti privati e condivisi. Bisogna riconoscerla e conoscerla, affrontarla e sceglierla, parlare con lei e rispondere alle sue domande.

Se ci pensi, cara Zia Angi, ci sono persone talmente perse da non aver mai avuto la forza e il coraggio di prendere grandi decisioni per la loro vita o per loro stesse. Decisioni di ogni tipo, facili o difficili. Quelle sono le persone che non sanno decidere se acquistare la maglietta nera o quella bianca, non sanno se hanno voglia di mangiare carne o pesce, non sanno rispettare un appuntamento e non sanno dare un consiglio ad un amico. Sorridono, ti guardano con occhi pieni di luce e vivono un po’ sulle nuvole, nel mondo delle favole dove niente va preso seriamente. Parlo di loro non per giudicarle negativamente, anche perché sto semplicemente dicendo che vivono una vita di perdizioni consecutive senza rendersene conto. Io mi perdo sempre e mi piace un sacco. Quello che ci differenzia è solo quel pizzico di consapevolezza. Quindi fondamentalmente sono persa quanto loro. Ci tengo a dire però, che sono le persone che forse vivono le emozioni più forti, affrontano la vita con sorpresa e perennemente in bilico. Forse a loro piace il senso del rischio e dell’inaspettato, fanno pazzie e grandi dimostrazioni, amano intensamente e regalano verità. Sono loro a non saper che strada prendere ma quando con fatica riescono a decidere, piangono dall’emozione nel vedere cosa si nasconde dietro l’angolo.

Ci sono persone, d’altro canto, che hanno talmente paura di perdersi e di trovarsi indecise o impreparate da programmare ogni singolo istante della propria realtà. Sono loro che hanno paura, non vogliono imprevisti, ancor prima di andare al negozio, scelgono che vogliono la maglietta nera, programmano settimanalmente il menù di pranzo e cena, arrivano dieci minuti in anticipo ad un appuntamento e ascoltano attentamente le confessioni dell’amico formando nella loro testa il consiglio di cui questo potrebbe necessitare, ancor prima che egli dimostri di averne bisogno. Come fossero a scuola e dovessero sostenere un importante esame. La spesa la fanno il sabato in tarda mattinata, la benzina una volta a settimana e le pulizie la domenica prima del giro al parco o al centro commerciale se c’è brutto tempo. Non disprezzo nemmeno queste persone. Dico loro che dovrebbero vivere in maniera meno schematica per assicurarsi una vita piena di tramonti arancioni, stelle cadenti e leggere risate con gli amici. Vorrei dire a loro che programmare ogni giornata con vere e proprie tabelle di marcia, è limitante.
E se il piano va storto?
Se si buca la gomma della macchina?
Se il treno è in ritardo?
Se l’appuntamento con il fidanzato salta?
Se Tizio non risponde al telefono?
Se un imprevisto di lavoro le trattiene in ufficio?
Se Caio fa una sorpresa e citofona alle 10.30 del sabato mattina proprio quando stanno uscendo per andare a fare la spesa all’Esselunga?
Non dovrebbe essere un dramma.
Dovrebbero essere semplicemente abili e felici nello stravolgere i piani e optare per un pranzo fuori con Caio, amico che non vedevano da una vita. Un caro amico.
Ed è qui che scatta la perdizione, è qui, che intervengono ansia, cattivo umore e nervoso.

MA PERCHÈ?

Cara Zia, sarebbe bello che ognuno si mettesse in gioco e decidesse di affrontare ogni giorno con la naturalezza e la predisposizione ad accogliere quel che viene. Sarebbe bello che ogni giorno sia inteso come un regalo e che ognuno acquisisca la consapevolezza che la perdizione fa parte di ognuno di noi e di ogni momento più o meno importante. Questa rende la vita frizzante, non banale, emozionante, curiosa e sorprendente. La rende sempre diversa, persa, in continua ricerca e ricalcolo. La rende bella.

Per quel che riguarda la fine della giornata, il momento di più grande perdizione, per me, è la gestione dei pensieri che scoppiano come fuochi d’artificio nella mia testa appena rilasso la schiena sul materasso e la testa sul cuscino. Il cervello rimane acceso, gli occhi aperti e una serie di scintillanti colori, mi fanno stare sveglia.
Per un po’.
Mi abbagliano, non mi fanno dormire, mi ipnotizzano in uno spettacolo ogni volta nuovo e io sono curiosa di seguirli, guardarli. Mi lascio travolgere. Mi piace la mia perdizione.

Alla tua domanda, cara Zia Angi, rispondo che Sydney lo permette.
Sì.
La risposta è sì.
Sydney offre tonnellate di perdizioni, permette di ritornare al nucleo, al nocciolo, all’essenziale, all’essenza di quello che siamo…
Ma sai Zia…
…questa città potrebbe chiamarsi anche New York, Londra, Madrid, Los Angeles, Melbourne, Parigi o Mosca.
Ogni città non può essere più forte del mondo che abbiamo dentro.
Resta sempre e comunque una città, troppo piccola per paragonarla all’immensità che è la nostra anima.

Ti abbraccio e ti voglio bene, tua Erica.