Desiderio avverato.

Che cinema ragazzi!

La città di Sydney è un risucchio continuo! Energia, tempo, emozioni, fiato…un risucchio di ogni cosa e di ogni genere.

Sono arrivata da 24 ore e già la mia vita è cambiata dieci volte.

Ho iniziato sin da subito una ricerca assetata di una stanza anche se non conosco ancora bene le zone e i quartieri. Sì, lo so che AVREI DOVUTO e potuto accontentarmi di una sistemazione momentanea ma, come ben sapete, morivo dalla necessità di avere un letto tutto mio su cui farmi una dormita di una giornata intera e un armadio in cui sistemare ordinatamente i miei vestiti chiusi in valigia da tre mesi.

Sì. Dico che AVREI DOVUTO, perchè così non ho fatto.

Sono già sistemata amici.

Ieri sera, per cena, io e Mattia abbiamo incontrato un ragazzo che mi ha contattata attraverso un annuncio in cui segnalavo che sarei arrivata a Sydney a breve e che avrei avuto bisogno di una stanza a brevissimo. Bene, Vincenzo si è dimostrato disponibile e molto gentile, invitandoci a fare due passi per mostrarci una piccola zona della città e fare due chiacchiere.

Anche Vincenzo avrebbe potuto fornirmi una soluzione per una stanza, ma l’uscita a tre, avvenuta ieri sera, era di accoglienza. Pura accoglienza.

Con un Kebab tra le mani e una fame di curiosità, abbiamo iniziato a dirigerci verso Darling Harbour. Solo il nome mi ha sempre riempita di adrenalina. Tra una chiacchiera e l’altra, Vincenzo si è presentato e raccontato a noi, facendoci sentire a casa. La stanchezza mi faceva sbadigliare ma appena ho visto tutte queste luci…

…NON MI SENTIVO PIÙ STANCA.

La mia fantasia ha iniziato a viaggiare. Numerosi ristoranti e locali in riva alla baia creavano una fantastica atmosfera, le luci dei grattacieli mi abbagliavano e mi sentivo piccola, minuscola, una formica.

Sentirmi impotente è sempre molto stimolante per me. Divento più creativa, il mio cervello galoppa alla velocità della luce, cerco di trovare idee e soluzioni per crescere dentro e per sentirmi meno spaventata da ciò che vedo.

La solita vocina interiore, la mia cara amica, ha iniziato a straparlare ma non sono riuscita a placarla:

“Erica Cara, prova ad immaginare come sarebbe bello abitare in uno di quei grattacieli! Pensa che figata sarebbe vivere lassù, al ventesimo/trentesimo piano, e poter godere ogni sera delle luci e della magia proiettate nell’acqua calma del mare.”

Sognavo, parlavo silenziosamente e intanto facevo prendere forma ai miei desideri.

Stamattina la giornata vedeva in programma due perlustrazioni in due diverse case che offrivano un letto disponibile.

La prima vicino alla Central Station, ore 12.

La seconda in Kent Street, ore 14.

Entrambe offrivano comodità e una bella atmosfera. La prima era nel centro, distante una ventina di minuti a piedi dalla seconda, situata a Darling Harbour.

Ebbene sì, la seconda casa è situata al 22esimo piano in uno di quei grattacieli in fotografia.

Avevo il desiderio di vivere lì no?

DESIDERIO AVVERATO.

Erica, anzi Atmosferica.

Canberra. Aiuto!

Allora…

…allora…

…come vi ho detto ieri, devo cercare di rimanere concentrata e centrata. Sono a Sydney, in poche ore la città mi ha letteralmente mangiata.

La prima impressione è questa. Sono arrivata nel pomeriggio ma è già sera, il tempo è volato. Devo rendermi conto da che parte sono girata, imparare i nomi delle vie, cercare una casa senza lasciarmi condizionare dalla fame di questa città. Vuole girarti, farti perdere concentrazione e il senso del tempo.

Non ce la farà amici.

Il mio livello di attenzione è stellare.

Facciamo un passo indietro.

Stamattina eravamo a Canberra. Un piccolo giro nella parte centrale della città, è bastato per percepirne la serietà. Edifici nuovissimi e moderni. Sembra che abbiano costruito tutto nello stesso giorno. Ieri.

In occasione del Canberra Day, molte persone saranno sicuramente andate a farsi un tuffo in mare. Era deserta. Non un bar aperto, non un negozio illuminato e non una persona per strada. Desolazione totale.

Abbiamo così optato per una bella visita guidata al Parlamento. Che ci vai a fare a Canberra se non per fare un bel tour gratuito nelle aule parlamentari con tanto di guida?
Un bel giro di perlustrazione di un paio d’ore, ha riempito la nostra mattinata. Il ragazzo australiano ci riempiva di informazioni e aneddoti che arrivavano alle nostre orecchie come fiumi in piena. Due grandi sale occupano le due ali dell’immenso candido edificio: “The House of Representatives” e “Senate”. Una verde e una rossa. Nuove, nuovissime.

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Ho sorriso quando ci è stato spiegato che gran parte delle colonne sono costruite con marmo proveniente dall’Italia. La guida li ha nominati come Marmo di Carrara (bianco) e Marmo Cipollino (verde).

“Cipollino is a little onion.” ha esclamato sorridendo.

Tradotto, intendeva dire che “Cipollino” in italiano significa “piccola cipolla”.

E come dargli torto! 🙂

Bene! È stato molto interessante e ho sentito tutta la gioventù di questo paese, ho respirato aria di nuovo in questa maestosa costruzione aperta nel 1988. Ho visto ritratti dipinti su tela dei primi ministri, ho guardato video esplicativi e documenti originali chiusi in una teca. Camminato su parquet lucido che quasi quasi mi ci sarei potuta specchiare, ho visto eleganti fontane senza magia, ho percorso lunghi vuoti corridoi e salito scalinate in marmo bianco.

Una bella visita culturale prima di tuffarmi in questa vulcanica città, ci voleva.

Vi aggiorno presto, pensatemi intensamente.

Erica, anzi Atmosferica.

Riflessioni di Viaggio.

Amici miei, come mi ha detto una persona speciale facendomi sorridere…

…ormai viaggio più di un piccione!

Sono connessa da Canberra, la capitale d’Australia. Mai nessuno ne parla, mai che senta nominare questa città, mai mi è capitato di parlare con qualcuno che l’abbia visitata o ci abbia vissuto anche per un lungo o breve periodo che sia.

La domanda sorge spontanea…

Perché?

Sono venuta così a curiosare. Nel tragitto che collega Melbourne a Sydney, una deviazione porta il nome di Canberra. Una città piccola ma ricca, importante ma misteriosa. Domani andrò a toccare con piedi le sue strade e con mano gli edifici che la abitano. Finalmente conoscerò il suo volto e respirerò la sua aria! Non avrei mai potuto tirare dritto senza dedicarle almeno una mezza giornata. Mai.

Sono parecchio stanca e accaldata. Oggi abbiamo macinato 600 chilometri per arrivare qui, portandoci più vicini a Sydney. Non so se si percepisce ma sono gasata e vogliosa di mettermi in gioco in una grande città piena di folla! Uh la folla!Dovrò muovermi per cercare un lavoro e una casa, farò nuove amicizie, mi stabilizzerò e mi rilasserò.

Ho bisogno di fermarmi e guardare la realtà da un punto saldo. Ripercorrerò tutto il viaggio che mi ha portato fino a lì e magari andrò a rileggermi qualche articolo scritto nei mesi passati. Nella mia testa un turbinio di emozioni mi sconvolge e capovolge ogni volta che focalizzo quel che è stato e che provo a immaginare quel che sarà.

Scusate ma devo mantenere l’attenzione e non perdere di vista chi sono, cosa sto facendo, dove sto andando e perchè. Non voglio essere precisa o troppo inquadrata, semplicemente non voglio perdermi. Non sarà facile tenere a bada ogni tipo di emozione e sensazione. Mi prenderò tempo per riposarmi, perché si… Devo riposarmi.

Quando avrò un morbido materasso sotto la schiena e potrò abbassare le tapparelle fino a lasciar fuori anche il minimo spiraglio di luce, mi sembrerà di sognare ad occhi aperti.

Sono le ultime notti in Vando e il pensiero mi rattrista. È come se dovessi dire addio ad un compagno di avventura degno di lode, sempre presente ed estremamente protettivo. Lo saluterò augurandogli una buona continuazione di viaggio attorno alla grande Australia. Trasporterà altre persone, regalerà altre emozioni e sarà un guerriero per almeno altri 100 mila chilometri.

Sarà di altri e magari prenderà altri nomi.

Lui saprà per sempre, però, che “Vando” è stato solo per noi.

Erica, anzi Atmosferica.

Quattro mesi a Melbourne.

Scrivervi dall’88esimo piano dell’Eureka Skydeck di Melbourne, è una figata pazzesca.

In parole spicce, mi trovo sulla punta del grattacielo più alto da cui è possibile vedere tutto, scrutare le costruzioni e capire la conformazione della città. Da quassù è molto facile capire quanto dista dal mare, seguire il corso del fiume che la attraversa e spaziare oltre la parte centrale dove una zona periferica molto vasta fa da contorno.

Come dice il titolo dell’articolo, inizia oggi il quinto mese di viaggio. Il quarto si conclude, quindi, con l’incontro con Melbourne…

…e che incontro!

La giornata di perlustrazione è iniziata con un giro panoramico sul tram 35. L’unica linea gratuita che compie un tour rettangolare, seguendo il perimetro della parte centralissima della città. Subito sono rimasta sconvolta dal sovraffollamento del mezzo, fiumi di parole, fiumi di persone per la strada e fiumi di diverse culture. È proprio vero che qui si respira un’aria europea tanto che questo corso d’acqua che caratterizza la scena, mi ha ricordato per un momento Londra. Sarà anche il tempo coperto e grigio, sarà che tendo sempre ad associare una città nuova con un’altra già vista e visitata, ma questo è quello che ho pensato.

Decine di costruzioni altissime mi danno l’idea di pienezza e di crescita. Qui credo facciano bene ad innalzare edifici verso il cielo, non c’è più spazio! Una sensazione del tutto opposta me l’ha data Perth, e chi mi legge dagli inizi, ricorda bene l’impressione negativa e vuota che mi davano quei palazzoni di pura facciata.

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Melbourne è viva, variegata e piena di gente di tutti i tipi. Turisti da ogni dove scattano centinaia di fotografie, ragazzoni dallo stile azzardato attraversano a passo spedito con un caffè d’asporto tra le mani, donne eleganti parlano di lavoro al cellulare, molti bambini piangono nei passeggini e le ragazze si esibiscono in lunghe sfilate.

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Questo è quello che vedo insieme a tanti colori. La cattedrale dallo stile gotico, è immersa tra costruzioni pazzesche e super moderne dove il colore fa da linea guida nel progetto. Vetrate rosa, taxi gialli, infrastrutture fuxia e blu. Pennellate qua e là rendono il tutto più sorprendente, insieme alle giostre che colorano il fiume di mille luci.

Sono felice di essere qui e di essere riuscita a farmi un’idea di questa città tanto nominata ma mai spiegata. Ho potuto constatare che mi piace e se l’istinto non mi spingesse verso Sydney, ci rimarrei qualche mese. È molto giovane e arzilla, è ben servita da efficienti linee di tram e treni, da quassù vedo lo stadio, campi da tennis e lunghi vialoni alberati. Vedo un parco, il mare e una piazza chiusa tra bizzarri edifici.

È nuova, è veloce e grande, molto grande.

Beh, è stato un potente incontro che segna l’inizio del quinto mese. Melbourne ha riacceso in me la voglia di città anche se non è ancora questo il luogo e il momento. È come se avessi conosciuto una persona che mi abbia aperto gli occhi verso un nuovo mondo. Un concetto già conosciuto ma mai approfondito o paragonato all’alternativa. È come se ora riuscissi a cogliere l’essenza della città.

Avendo vissuto in luoghi deserti e per niente popolati per questi mesi di viaggio, ora la città mi chiama. È un richiamo che sento forte e chiaro, sento l’adrenalina di una nuova sfida, voglio rivivere tra la folla veloce che cammina spedita prendendomi la calma di osservare.

Sono pronta e consapevole che tutto ciò che vediamo, è il riflesso di quel che siamo. Una città ti sorride se sei tu il primo a sorridere, altrimenti, ti verrà solo voglia di scappare.

Erica, anzi atmosferica.

Non era mica finita…

Essì cari amici miei, la Great Ocean Road non era mica finita…

Abbiamo campeggiato ad Apollo Bay per la notte. Pioggia torrenziale e mare impetuoso sono stati i protagonisti in questa sosta e vi giuro che non è semplice vivere in un Van, quando appena apri la porta, qualsiasi cosa che sta sul ciglio si bagna inevitabilmente, si è costretti a dormire chiusi dentro senza nemmeno lasciare che uno spiffero faccia circolare un po’ d’aria e tutto diventa più stretto e scomodo.

Quando piove è davvero difficile.

Stamattina abbiamo quindi proseguito la gita, percorrendo la restante parte di strada che ci mancava per ultimare lo scenico tragitto. Le sorprese a quanto pare non erano finite! Da Apollo Bay la strada costeggia il mare offrendo un panorama del tutto diverso da quello visto ieri. Oggi l’oceano era costantemente alla nostra destra, a pochi metri da noi.

Scusate ma lo devo dire…

Era davvero infinito!!

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Ad ogni tornante, l’orizzonte si faceva sempre più ampio e mi sembrava quasi di percepire la sfericità della Terra. Difficile spiegarlo a parole ma se mi affacciavo sul mare, sembrava che l’orizzonte davanti a me fosse più lontano degli orizzonti di destra e sinistra. Non so, una sensazione davvero sferica, Atmosferica.

🙂

Ad un certo punto…

Qualche macchina parcheggiata sul lato destro, segnalava un punto interessante. Cosa si nascondeva dietro quei cespugli?

La conformazione della strada lasciava pensare che ci fosse una piccola spiaggia ma nulla di nuovo o degno di una meritata fotografia.

Non appena superati i cespugli che oscuravano la vista, mi sono emozionata. La baia era interamente ricoperta da piccoli, medi e grandi ammassi di pietre, sassi. Credo che ogni persona passata di lì, abbia contribuito con la propria opera d’arte. Un gruppo di ragazzetti creativi, avrà dato vita a questa iniziativa che con il tempo, si è alimentata fino a ricoprire tutto lo spazio disponibile.

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Ero stranita, curiosa e soprattutto avrei voluto anche io aggiungere un pezzo al “puzzle”. Così ho fatto. Ho raccolto qualche sasso qua e là, dove avanzavano. Mi sono accovacciata e per qualche minuto mi sono impegnata nella mia traballante costruzione. Mentre assemblavo quei tondeggianti piccoli massi, mi chiedevo come fosse possibile che tutte le altre costruzioni, sicuramente artigianali, potessero reggere senza crollare alla prima folata di vento.

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Non ne ho la più pallida idea ma sono sicura che tutta quella meraviglia, mi ha fatto sentire speciale. Speciale per il semplice fatto che ero lì, speciale perché ci ho messo del mio con il cuore e speciale soprattuto perché percepivo voglia di unione e condivisione. Un accordo segreto, un progetto mondiale, un’intesa particolare tra i viaggiatori della Great Ocean Road. Quanti artisti lungo la via!

Beh, fantastico.

Mi sono sentita parte di tutto ciò e questa in pole-position è la mia piccola costruzione.

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Con molta gioia e un filo di stanchezza, ho il piacere di comunicarvi che sono connessa da Melbourne. Non ci siamo ancora addentrati nel pieno movimento della città ma devo dire che il fitto traffico alle porte, ci ha già permesso di capire qualcosina di questa metropoli. Che intasamento! Ho già visto un paio di tram, bianchi e verdi. Hanno la forma simile a quelli di Milano, mi riferisco a quelli arancioni per intenderci.

Domani vi saprò dire qualcosa di più sicuramente, intanto godetevi ancora per un po’ questo spettacolo!

Erica, anzi Atmosferica.

Great Ocean Road.

La Great Ocean Road, che costeggia la costa sud del Victoria, ha aperto le danze con la “Bay of Islands” (immagine in copertina). La baia era appiattita dal tempo uggioso ma quegli scogli possenti, prendevano comunque forma tra le creste delle onde. Ammassi di roccia tanto grandi da essere identificati come “Islands” (isole), erano modellati dal mare un po’ come la forza delle dita può dare forma ad un pezzo di argilla che gira sul tornio, creando un bel vaso di forma particolare e personale.
I colori stratificati portavano a pensare che un tempo il livello del mare era davvero davvero alto, lasciando un’impronta ancora oggi ben visibile.

Proseguendo di circa un chilometro, eccoci al “The Grotto”, anch’esso raggiungibile attraverso una passerella in legno che dal parcheggio raggiungeva il punto di vista o visita, decidete voi.
Anche qui la potenza del mare si è costruita un rifugio, a intervalli di cinque/dieci minuti, un’onda più potente delle altre schizzava fino al punto più alto tra le rocce, andando a formare una pozza di acqua tiepida e calma. Questa grotta mi dato emozioni contrastanti e vicine. L’irruenza a pochi centrimetri dalla calma, l’invadenza non distante dalla riservatezza, il freddo a due passi dal caldo e la profondità dalla piattezza. Contrari ravvicinati e in contatto tra loro mi facevano paura.

Non poteva essere vero.

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Il terzo stop è segnalato da un cartello marrone, con una scritta chiara che indicava dopo 300 metri, il successivo “Lookout”, un’altra finestra sull’oceano:

“The London Bridge”.

Mentre percorrevo il nero sentiero asfaltato, mi domandavo cosa mai avrei potuto vedere da lì a pochi metri, non appena mi fossi affacciata sul mare.

“Un ponte? Il ponte di Londra…? Cioè?”

Ebbene sì, la roccia erosa dalle acque andava a formare un ponte tra le onde schiumeggianti. Un tempo, anche la parte di roccia più spostata a sinistra era un tutt’uno con il pezzo rimasto attualmente, resistito alle forze oceaniche. Diciamo che esisteva un ponte, con due arcate. Una è la sopravvissuta.

Immagino che tonfo e che inondazione quando quella parte di roccia ha deciso di staccarsi e tuffarsi in mare. Aiuto!

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Dopo pochi chilometri, un’altra deviazione: “The Arch”. Ancora una volta, la perfezione e la simmetria dell’energia oceanica, ha modellato con precisione lo scoglio. Una forma tondeggiante fuori e tondeggiante dentro, sopra e sotto.

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La pioggia non si placava e la nebbia si faceva sempre più fitta, mano a mano che proseguivamo sulla costa. L’ultimo stop doveva essere il più suggestivo, incredibile.

“Twelve Apostles”

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“I dodici apostoli”.

Il grigiore del cielo non mi permetteva di spaziare e quei dodici grandi scogli, che più che apostoli mi sembravano grandi totem, erano coperti e offuscati.
Ne vedevo sei, al massimo sette. Li ho contati più volte perché li avrei voluti identificare tutti ma nervosamente ci ho dovuto rinunciare. In una bella giornata di sole mi sarei persa tra la luce dorata di quelle rocce rosse, sarebbe stato bello.

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Non mi resta che cercare di dare una chiave di lettura più profonda a questo tempo malinconico e riflessivo.

Posso dirvi che l’atmosfera era magica, gli apostoli misteriosi, il mare incazzato ma io ero comunque felice.

Erica, anzi atmosferica.

Il meglio di me.

Ecco che in un batter d’occhio, mi trovo a scrivervi dal Victoria, la Regione che ospita la città di Melbourne. In pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il Western Australia e il South, posizionandoci così ai posti di blocco per una nuova meta. La strada che ci separa dalla grande città si chiama Great Ocean Road e anche solo il nome può dirvi molto. È uno dei tratti più spettacolari dell’Australia a cui è difficile rinunciare scegliendo così di percorrerlo non badando a strade alternative, più brevi.

La connessione Wi-Fi in questo campeggio di Warrnambool è potente e stranamente di durata giornaliera. Posso così prendermi la calma di scrivervi e sbizzarrirmi più tardi sul web facendo un sano zapping tra siti di mio interesse.

Oggi me la godo.

Siamo partiti stamattina da Mount Gambier (Sembra anche a voi un nome francese?) dove abbiamo passato la notte e prima di riaccendere i motori, abbiamo visitato il Blue Lake. Un lago formatosi nella bocca di un vulcano che mette a tacere ogni possibile lamentela o borbottìo. Sulla ringhiera lucchetti colorati, di amici o innamorati, hanno attirato la mia attenzione diventando parte integrante del paesaggio, della visione.

Una giornata grigia e umida ci ha accompagnato fino a qui, per 187 chilometri verso sud-est.

Per combattere con il problemino di cui vi ho parlato ieri, mi sono piazzata alla guida, ricercando stimoli creativi nella concentrazione. Quando si viaggia, tutto passa veloce ma può succedere che pensieri birichini, vogliano essere ancora più veloci azzardando con un sorpasso sulla sinistra (Qui è vietato!!). Ti trovi così sorpreso e impotente davanti a un azzardo del genere, vai su tutte le furie ma devi placare l’istinto di accelerare per corrergli dietro.

È difficile ma devi, altrimenti finisci per farti male.

Nel tragitto abbiamo deviato per Portland, un paesino sulla punta di una piccola penisola, attraversando valli verdi coperte dalla nebbia. Eh sì, una fitta nebbia. Il paesaggio era collinare e la strada seguiva le sue curve, mucche nere nere pascolavano nutrendosi di sana erba e pecore grigie grigie si intonavano con il cielo. Non avrei mai pensato di imbattermi in banchi di nebbia del genere ma appunto per questo, è stato suggestivo. Sorprendente.

Sulla punta di Portland, ho visto l’orizzonte dell’oceano annebbiato e ho iniziato a “canticchiare” inconsciamente quella poesia di Carducci che la Maestra Enza mi aveva fatto imparare a memoria alla scuola elementare.

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar.”

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La prima strofa faceva così e continuavo a ripetere quella perché parlare de  “l’aspro odor dei vini” o dello spiedo che gira sui ceppi accesi scoppiettando, mi sembrava del tutto fuori luogo.

🙂

La Maestra Enza.

Che ricordi che ho rispolverato…

Mi voleva bene ed ero la sua seconda preferita dopo la Bonfanti, la sua cocca nonché mia migliore amica. Ricordo che quando aveva bisogno di un quaderno di italiano per ricordare a che punto si fosse fermata con la spiegazione la lezione precedente, chiedeva sempre il suo. Il mio lo chiedeva solo quando la Bonfanti era assente.

Iniziai così a scrivere come lei e a comportarmi come lei perché sotto sotto, avrei voluto essere io la cocca della Maestra Enza. Ricordo che era una signora di mezza età e portava occhiali da vista con lenti spesse spesse. Sulle sue labbra non mancava mai un filo di rossetto e sulle sue unghie uno smalto rosato. Quando si arrabbiava faceva abbastanza paura e quando si lasciava andare a momenti di dolcezza, mangiava il suo Pocket Coffee che custodiva golosamente nel taschino.

Al momento di imparare le poesie a memoria diventavo matta. Mia mamma mi aiutava e ricordo che ripetevo la stessa manfrina più e più volte, commettendo più e più volte gli stessi dannati errori.

Invece che dire…

“Va l’aspro odor dei vini..”

dicevo…

“Va l’aspro odore del vino…”

Banale errore che toglieva poesia alla poesia. Non riuscivo ad immedesimarmi nello scrittore, nella sua mente, nelle immagini da lui descritte. Studiavo come fossi una macchinetta, senza capire il significato di quei versi in rima che mi facevano impazzire per lunghe ore. Al momento dell’interrogazione, mi batteva il cuore, mi sudavano le mani e ripetevo meccanicamente quel che avevo ripassato fino alla noia, la sera precedente.

Volevo essere perfetta, almeno come la Bonfanti. Volevo prendere un bel voto e tornare a casa soddisfatta dalla mamma. Ogni volta però, qualcosa mi bloccava e non riuscivo mai a dare il meglio di me.

Vorrei incontrare la Maestra Enza, vorrei farle leggere una poesia scritta da me. Magari quella che ho scritto quando “Il deserto, mi ha parlato.” oppure quella che ho scritto su “Una panchina blu e bianca…” in quel poetico 4 Dicembre. Vorrei recitargliela e prendere finalmente un voto, il mio voto.

Il meglio di me.

Erica, anzi Atmosferica.

Il blocco dello scrittore.

Oggi sono totalmente bloccata.

La mia mente ripensa ad un simpatico aneddoto, accaduto circa un mese fa quando ancora lavoravo in Farm a Pemberton.

Matteo in uno dei nostri discorsi, ricordo che mi parlò di quanto fosse stupito dal fatto che io avessi qualcosa da dire ogni giorno. Questa sua riflessione, lo portò a rivolgermi una domanda:

“Ma se un giorno ti capiterà di avere il “blocco dello scrittore” che farai? Di che parlerai? Non scriverai?”

In maniera disinvolta e simpatica risposi:

“Beh, parlerò del “blocco dello scrittore” e cercherò di capire cosa mi lascia senza parole…”

🙂

Credo sia arrivato il giorno.

Non che non abbia nulla da raccontare, anzi avrei molto da dire, ma credo che i miei pensieri siano così fitti e nervosi da non farsi prendere, analizzare, selezionare. Sento un forte baccano nella mia testa, accentuato dal vento che mi sbatte in faccia entrando dal finestrino di sinistra.

Potrei provare insieme a voi, a capire il motivo di questo intasamento. Voglio provare a gettare l’amo e, se un po’ di fortuna mi assisterà, pescherò i pesci più grossi e sostanziosi… In questo mare agitato che non si dà pace. Mi sono resa conto di questa difficoltà quando, dopo aver scritto qualche riga, cancellavo e riscrivevo. Cancellavo e riscrivevo di nuovo. E poi ancora…

Vorrei parlare a voi Donne che mi leggete, vorrei scrivere del nostro viaggio che da Adelaide sta proseguendo verso sud e vorrei, attraverso la scrittura, spegnere questa forte insofferenza che mi chiede insistentemente un letto, una stanza, un armadio.

Procedendo con ordine, vorrei dire a tutte voi Donne che siete una potenza incredibile. Non dimenticate mai, e dico mai, quanto siete speciali per voi stesse, per le altre Donne e per gli Uomini della vostra vita. Se non ci fosse questa forte forza che mi tira verso il basso, oggi, riuscirei a trasmettervi più energia e motivazione ma vi chiedo di cogliere questa mia vicinanza espressa in poche righe e senza troppi giri di parole.

Tanti auguri a tutte voi e se per caso oggi non riceverete gialle mimose, fregatevene perché non sono dei banali fiori a determinare il vostro grado di importanza nel mondo e nella vita. Voi siete vita. Voi date la vita.

I fiori colorano una stanza di profumo, voi rendete il mondo migliore.

Vi dedico il tramonto di Adelaide, con i suoi colori e la sua atmosfera. Condivido con voi questa palla infuocata che illuminava i miei vestiti e l’acqua del mare, diffondendo una luce dorata nel buio della sera.

Il secondo argomento da affrontare è il nostro viaggio. Stiamo scendendo verso la città di Melbourne ma prima di toccare la meta, faremo delle soste lungo la strada. Ovviamente. Potete geolocalizzarci a Mount Gambier, a sud di Adelaide di circa 400 chilometri. Nonostante sia iniziata da qualche giorno la stagione autunnale, qui il caldo non si è ancora placato e finché lì da voi non smette di nevicare, penso che per la storia dei contrari, qui continuerà a persistere un caldo direttamente proporzionale al vostro freddo.

Il terzo argomento è quello della sofferente insofferenza che mi colpisce sempre senza preavviso. Sto ascoltando il mio corpo e i miei bisogni, sto parlando tanto nel mio silenzio e sto andando a fondo di parecchie questioni. Mi sto analizzando. Ormai è dal 28 Dicembre che vivo una vita nomade, dormendo in un Van Mitsubishi, caro e insostituibile Vando. Gli sarò per sempre grata dei meravigliosi posti che mi ha fatto vedere sfidando temperature ardenti e tempeste impetuose, ma il mio fisico inizia a cedere. Ultimamente sento il bisogno di sprofondare in un letto, di ripiegare ordinatamente i miei vestiti in un armadio e di avere un bagno tutto mio, senza doverlo condividere con le signorotte che sto incontrando nei campeggi di tutta Australia. Credo di aver bisogno di stabilità e di spazi solo miei dove potermi ritrovare e riordinare, rilassare e ascoltare. Dall’altro lato però, questo mio bisogno deve essere placato ancora per qualche giorno. Devo fare pace con corpo, anima e cervello perché non è ancora il momento…

Non posso fermarmi, non ora.

Erica, anzi Atmosferica.

A spasso per Adelaide.

Vi porto con me in perlustrazione nella città di Adelaide, South Australia.

Dopo una sveglia afosa e faticosa, abbiamo raggiunto il centro distante UNDICI insofferenti chilometri dalla West Beach, area in cui abbiamo campeggiato per tre notti. Il tragitto in mezzo al traffico lento e la cappa di smog causata dal tempo uggioso e umido, non erano di buon auspicio. Mattia, ad ogni semaforo più lungo di trenta secondi, faceva andare la gamba nervosamente tanto che, ad un certo punto, ha esclamato:

“Il mio livello di sopportazione è pari a ZERO!”

Sono scoppiata in una risata fragorosa delle mie, rendendomi conto che la mia sensazione si rispecchiava totalmente nella sua. Giuro che sarei scesa e me la sarei fatta a piedi, ci avrei messo meno. Dopo intere giornate a macinare chilometri senza trovare il minimo ostacolo o rallentamento, è inevitabilmente scaturito in noi questo odio irrefrenabile nei confronti delle comuni regole di circolazione.

Il sistema viario lo definirei rettangolare. È questa la forma della parte principale della città, attraversata da ordinate ampie strade che si intersecano perpendicolarmente. Un grande rettangolo, al centro del quale si trova Victoria Square, circondato sul perimetro da parchi verdi curati con precisione.

Dopo aver parcheggiato Vando, abbiamo iniziato la nostra lunga camminata che si sarebbe protratta per circa quattro ore, concludendosi con una bella abbuffata di sushi.

Quanto mi mancava!

Ho iniziato a camminare con il naso all’insù, cercando per chissà quale motivo, grattacieli o alte costruzioni. Niente di questo genere all’orizzonte. Dopo aver vissuto più di un mese a Perth, la mia mente associa ad ogni città, immensi e possenti palazzoni ma qui, nemmeno l’ombra.

L’area identificata come “China Town” non manca. Vie piene zeppe di negozi e ristoranti cinesi sono state le prime attraversate e fin lì, nulla di nuovo. Mi sembrava di stare in una qualunque città già conosciuta dove accessori di ogni genere vengono venduti a basso prezzo e dove non mancano insegne incomprensibili e negozi per turisti. A voce alta pensavo e sorridevo…

“Ma quindi?? Dove inizia la città?”

Ero curiosa di conoscere la sua identità, la sua faccia, senza avere di mezzo realtà insediate successivamente.

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Svoltato l’angolo, eccoci in Victoria Square. Delusione. La piazza era totalmente ricoperta da tendoni bianchi di forma tondeggiante che non mi permettevano di vedere dall’altra parte. Davanti a me vedevo una fontana che perdeva ogni magia a causa di quelle impalcature ingombranti che ho cercato di non inquadrare scattando la mia fotografia (come vedete in copertina) e, se alzavo lo sguardo, edifici alti quindici piani facevano da contorno. Sul perimetro della piazza viaggiavano a velocità lenta e ordinata un paio di tram che scorrevano su binari precisi e verdi.
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La nostra camminata prosegue così verso la via centrale, l’unica zona pedonale. Sia a destra che a sinistra, famosi marchi prendevano scena e parecchi artisti di strada intrattenevano il pubblico esprimendo le loro particolari doti.

Due di loro mi hanno colpito.

Lui e lei, due fratelli. Lui tredici anni e lei dieci. Circoscritta la loro area di esibizione con una corda rossa, invitavano i curiosi a disporsi vicini e lungo la riga. Lui aveva una buona parlantina e scherzava con i passanti proprio come fanno quelli di trent’anni più grandi. Recitavano una sorta di filastrocca per introdurre l’esibizione e per attirare quanta più gente possibile. Lei era piccolissima, indossava un top e un gonnellino rosa, che si abbinavano perfettamente alla sua scura carnagione. Seguiva il fratello in modo meccanico, sia nelle esclamazioni che nei loro passi di danza. Non sono riuscita a capire se lo facevano per passione o se la vita di strada li aveva obbligati ad inventarsi e reinventarsi. Lei era stanca, il caldo la indeboliva e tutte quelle capriole e torsioni erano per lei una fatica. Sapeva perfettamente quale mossa avrebbe seguito la precedente e si abbandonava tra le braccia di lui con totale fiducia e amore.

Una monetina se la sono meritata.

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Alla fine di quella via estremamente musicale e viva, abbiamo svoltato a sinistra. La strada terminava con maestose costruzioni tra alberi sempreverdi e siepi. Era l’Università di Adelaide che esprimeva bellezza all’interno di un parchetto aperto al pubblico.

Mi sono seduta su una panchina, dove la vista era coperta ma non disturbata dal verde che mi circondava. Mi sono per un attimo teletrasportata nei chiostri dove studiavo durante i miei anni universitari a Milano. Mi sedevo su un muretto, su un gradino, su una panchina e ricordo che leggere un’ora all’aria aperta, mi rendeva di più che tre ore incastrata in un banco e tra quattro mura. Mi piaceva. Respiravo in quel momento la stessa pace e la stessa atmosfera di conoscenza che in quei chiostri di Milano riempiva i miei polmoni. Sono rimasta seduta per una mezz’ora apprezzando il silenzio pulito che mi avvolgeva come le pareti di quei maestosi ed eleganti edifici.

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Ieri era domenica quindi nessuno studente all’orizzonte. Mi sarebbe piaciuto osservare l’andirivieni di ragazzotti australiani con le braccia cariche di libri e l’espressione orgogliosa. Gruppetti di ragazze che se la contavano sul marciapiede dopo aver posato le loro biciclette dipinte con colori pastello.

Mi sono immaginata questa ipotetica scena di un giorno infrasettimanale.

Tornando alla macchina la pioggia ha deciso finalmente di palesarsi senza più rimanere imbrigliata in nuvoloni neri e rumorosi. Mi sono spostata verso il ciglio della strada dove non sarei stata riparata dalla tettoia che copriva il marciapiede. Volevo sentire anche la pioggia di questa città e conservare dentro al mio cuore un ricordo particolare.

La pioggia di Adelaide.

Erica, anzi Atmosferica.

Se Vuoi, Puoi.

“Parecchi chilometri più avanti, ormai quasi arrivati al primo obiettivo, veniamo colpiti in piena faccia da una visione. A bocca aperta fissiamo un po’ più avanti, a sinistra. Scopriamo il punto di incontro tra il foglio piatto di terra gialla che ci ha accompagnato fino a quel momento ed il mare. Rallentiamo e prendiamo una stradina laterale. Facciamo qualche centinaio di metri e arriviamo al bordo. Ci fermiamo. Siamo estasiati. In trance. La spianata bruciata termina bruscamente e precipita in mare, trasformandosi in scogliere mozzafiato dai colori stratificati, costantemente picchiate dalla forza delle onde che vi si infrangono senza pietà. Da un lato il cielo è ancora carico di nuvole scure ma dall’altro il sole è tutto impettito perché vuole colpire il mare, dandoci la possibilità di osservare avidamente le mille sfumature di azzurro che racchiude in sé. È tutto così selvaggio, crudo, mai toccato dall’uomo, millenario. I confini dell’Australia, quelli più aspri ed esposti, alti, impenetrabili, invivibili. Il vento ci scompiglia i capelli, il sole ci ferisce gli occhi ma non ce ne preoccupiamo. Quello che abbiamo di fronte è quello che tutti sognano di vedere prima o poi nell’arco della propria vita.”

“La storia di un’Immigrata allo Sbaraglio” di Francesca Cabaletti

Sono queste le parole che Francesca Cabaletti, nelle vesti di Immigrata allo Sbaraglio, utilizza nel suo libro per descrivere quella magica immagine che si presenta senza preavviso davanti ai suoi occhi, e a quelli di suo marito, durante la traversata del Nullarbor Plain, il deserto. Credo che sia riuscita a descrivere magnificamente e senza sforzo lo spettacolo che quella visione le abbia scaturito fuori e dentro, un insieme di colori e forze vitali che si incontrano in un punto.

Quel punto.

Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovata anche io a percorrere quella stessa strada infinita.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei potuto constatare la potenza e la verità di quella descrizione che mi aveva tanto affascinata quanto lasciata incredula.

Mi sono trovata così ad inserire parole chiave nella sezione di ricerca del libro digitale che tengo gelosamente nel mio telefono, per andare a rileggere spezzettoni in cui lei descrive con tanta precisione ed emozione quell’indimenticabile esperienza. Quell’infinita traversata. Quelle strane emozioni che risultano incomprensibili fino a che non le si vive in prima persona.

Ora, rileggendo le sue parole, tutto è comprensibile, credetemi.

Ricordo che prima di partire, mi ritrovavo a leggere i suoi libri e i suoi articoli nei miei viaggi in treno che mi portavano al lavoro o la sera, prima di dormire. Fantasticavo dando colori e profumi alla mia immaginazione, chiedendomi se mi sarebbe stato possibile, un giorno, toccare con mano quella sabbia o sentire sulla mia pelle la salsedine trasportata dal vento impetuoso.

Leggevo senza riuscire a programmare perché la pianificazione della partenza era già troppo ingombrante ma, dentro di me, sapevo che mi sarei portata là dove il cuore batte più forte e la vita sembra quasi un sogno. Prima o dopo, mi sarei trovata in quel punto, dove ti rendi conto che tutto è possibile, anche il dolce incontro tra un’arida pianura ed un mare pieno di rabbia.

Mi sono così trovata anche io in quel posto, percorrendo la stessa stradina laterale di rossa terra battuta. Mi sono trovata anche io ad incassare potenti emozioni causate da giocosi scherzi della natura.

Uh…come si diverte.

Nel momento in cui stai respirando, ti colpisce con una folata che ti sposta di mezzo metro. Nell’attimo in cui stai per schiacciare il bottone sulla macchina fotografica, ti accorgi che il cielo ha cambiato improvvisamente colore e rimani lì a guardare pietrificata dimenticandoti di immortalare l’immagine. Nell’istante in cui pensi di aver osservato abbastanza, il mare esprime il suo disaccordo ricoprendoti di schizzi il viso.

Tutto questo è da vivere.

Questo è il motivo per cui sono qui.

Per vivere.

Sono qui per fare mie queste sorprese. Sono qui perché questa terra ti apre talmente tanto che non puoi più pensare di nasconderti dietro a inutili paure, ai “Potrei” e ai “Vorrei”. Sono qui perché se tutto questo esiste, è giusto che vada vissuto e io personalmente, non ci avrei mai rinunciato.

Ringrazio Francesca Cabaletti che nel suo libro autobiografico , ha stimolato all’ennesima potenza la mia voglia di scoperta e di ricerca, mi ha detto in tutte le salse che avrei potuto volare se solo avessi osato e che le storie del “Potrei” e del “Vorrei” sono tutte cazzate.

Quel punto di incontro ne è la testimonianza.

Se Vuoi, Puoi.

Erica, anzi Atmosferica.